Kerry alza i toni con i russi, ma i russi fan campagna in Crimea

Paola Peduzzi

John Kerry ieri ha fatto il gran rifiuto e ha detto di no a Vladimir Putin: non ci saranno incontri formali fino a che non prenderai in considerazione le nostre proposte. Dopo giorni di avvicinamenti e allontanamenti, il segretario di stato americano ha messo un freno alle mire della Russia, e ha fatto sapere al suo collega russo Sergei Lavrov che per avere colloqui diretti è necessario sospendere il referendum in Crimea. Il voto è previsto per domenica, le truppe russe, senza segni di riconoscimento, hanno già iniziato la campagna elettorale, sarà difficile dire di no alle pretese di Mosca da quelle parti.

    John Kerry ieri ha fatto il gran rifiuto e ha detto di no a Vladimir Putin: non ci saranno incontri formali fino a che non prenderai in considerazione le nostre proposte. Dopo giorni di avvicinamenti e allontanamenti, il segretario di stato americano ha messo un freno alle mire della Russia, e ha fatto sapere al suo collega russo Sergei Lavrov che per avere colloqui diretti è necessario sospendere il referendum in Crimea. Il voto è previsto per domenica, le truppe russe, senza segni di riconoscimento, hanno già iniziato la campagna elettorale, sarà difficile dire di no alle pretese di Mosca da quelle parti.

    Per l’occidente il referendum è illegale e blocca ogni possibile negoziato, anche se nelle cancellerie a ovest di Kiev si dà ormai per persa la Crimea, e si lavora a piani di contenimento per evitare che Putin si prenda tutto l’est ucraino – se vale il principio “lì si parla russo”, tutto può accadere. Il governo di Kiev non vuole cedere e ha fatto richiesta formale a Stati Uniti e Regno Unito di tenere fede a quell’accordo del 1994 che prevede di garantire l’integrità territoriale dell’Ucraina anche a costo di intervenire militarmente. Ma per i russi questo governo può anche inveire, tanto non conta nulla: non è legittimo, ha ripetuto ieri Viktor Yanukovich, ex presidente ucraino, aggiungendo che i leader di Kiev sono “una gang di fascisti”.


    Gli europei preparano le sanzioni, è probabile che qualcosa si decida lunedì, a referendum in Crimea già avvenuto: a quel punto le sanzioni saranno più dure, come dice a mezza voce la capa della diplomazia europea Catherine Ashton? Chissà. La credibilità della diplomazia occidentale è ai minimi, il primo a saperlo è Putin che ascolta il gran abbaiare al di là dei suoi confini ma è certo che nessuno lo morderà. Gli americani sono stati duri con le loro sanzioni, le misure adottate sono restrittive, ma si tratta pur sempre di una strategia d’emergenza. Kerry usa ora i toni forti (è il poliziotto cattivo) ma la domanda è sempre la stessa: cosa accade se Putin continua a ignorare le istanze americane? In questi casi sarebbe utile una dottrina, se mai ne fosse stata architettata una dall’Amministrazione Obama. Invece si gioca nei consessi internazionali, soprattutto al Consiglio di sicurezza dell’Onu, che da giorni fa riunioni e da giorni esce senza nemmeno una bozza.


    Sul banco dell’America all’Onu siede Samantha Power, che in un passato nemmeno troppo lontano rappresentava la fazione degli idealisti, cioè di quelli che hanno a cuore la libertà – la richiesta di libertà da popoli oppressi ancora di più – e la lotta ai regimi, con ogni mezzo, anche quello militare. Quando Obama dichiarò guerra alla Siria, lei pronunciò il discorso in cui meglio si spiegavano le motivazioni di quell’intervento: poi la guerra non è stata fatta e, forse per l’umiliazione, la Power ha smesso di fare anche il minimo indispensabile per ricordare al mondo, e al suo presidente, che una strategia per contenere Mosca andava studiata, altrimenti la Russia si sarebbe presa tutti gli spazi possibili, legittimi e no. Ed eccoci qui: la Power ha risposto male al collega russo, dicendogli che l’integrità territoriale in Ucraina non è in discussione. Si sono beccati un po’, anche in modo acido, ma lo stallo è ancora lì, e non si intravvede una soluzione: Putin manda avanti le truppe, noi ci logoriamo nei cavilli procedurali.

    La Power tutto il resto del tempo tuìtta, soprattutto sulla Repubblica Centrafricana, ma anche sul Sudan e sul Congo, ogni tanto fa il bollettino dei morti e dei profughi in Siria, puntualizzando il numero dei bambini che sotto gli attacchi di Assad muoiono in continuazione. Qualche giorno fa è riuscita anche a fare una gaffe via twitter su questioni decisive come l’antisemitismo, roba che Putin oltre che stare ad ascoltare divertito la cagnara occidentale, si sarà bevuto una vodka alla salute della Power.

    • Paola Peduzzi
    • Scrive di politica estera, in particolare di politica europea, inglese e americana. Tiene sul Foglio una rubrica, “Cosmopolitics”, che è un esperimento: raccontare la geopolitica come se fosse una storia d'amore - corteggiamenti e separazioni, confessioni e segreti, guerra e pace. Di recente la storia d'amore di cui si è occupata con cadenza settimanale è quella con l'Europa, con la newsletter e la rubrica “EuPorn – Il lato sexy dell'Europa”. Sposata, ha due figli, Anita e Ferrante. @paolapeduzzi