Mirino sui sindacati

Claudio Cerasa

A voler cominciare dalla tattica, la partita che Renzi sta giocando in vista del Consiglio dei ministri di domani suona come l’ultimo capitolo del romanzo della rottamazione. Questa volta, però, il protagonista del romanzo non è il solito dinosauro del Pd ma è una creatura a due teste formata dal più grande sindacato dei lavoratori, la Cgil, e dal più grande sindacato degli imprenditori, Confindustria. E la tattica ci dice questo: domani, contestualmente alla presentazione del piano sul lavoro, Renzi premerà il pulsante reset dell’èra della concertazione; cercherà di imporre un cambio di verso in Cgil e in Confindustria; offrirà un assist a Maurizio Landini e al fronte che punta a superare l’èra di Camusso

    A voler cominciare dalla tattica, la partita che Renzi sta giocando in vista del Consiglio dei ministri di domani suona come l’ultimo capitolo del romanzo della rottamazione. Questa volta, però, il protagonista del romanzo non è il solito dinosauro del Pd ma è una creatura a due teste formata dal più grande sindacato dei lavoratori, la Cgil, e dal più grande sindacato degli imprenditori, Confindustria. E la tattica ci dice questo: domani, contestualmente alla presentazione del piano sul lavoro, Renzi premerà il pulsante reset dell’èra della concertazione; cercherà di imporre un cambio di verso in Cgil e in Confindustria; offrirà un assist a Maurizio Landini e al fronte che punta a superare l’èra di Camusso; darà una sponda al fronte che vuole superare l’èra di Giorgio Squinzi; indirizzerà (facendo svenire Squinzi) buona parte dei 10 miliardi di euro previsti per il taglio al cuneo più sull’Irpef che sull’Irap; darà (facendo svenire Camusso) un colpo di accetta a quel sistema di ammortizzatori sociali, come la cassa integrazione in deroga, che negli ultimi anni ha drogato il mercato del lavoro; e aprirà; e proporrà (facendo probabilmente svenire Fassina) un nuovo modello di contratto che prevede un apprendistato della durata di tre anni. Il percorso seguìto da Renzi per poter annunciare domani in Cdm la frase “sììì, abbiamo tagliato le tasse!” è tutto tranne che lineare e i collaboratori del presidente del Consiglio non si sono ancora abituati all’idea di definire il taglio dell’Irap o dell’Irpef scambiandosi messaggini su WhatsApp. Eppure un senso politico c’è. Enrico Morando, vice ministro dell’Economia, lo spiega così.

    “La nostra idea – dice Morando – è quella di far cambiare verso al rapporto della politica con i sindacati. Il ragionamento è il seguente. Qualche settimana fa è stato firmato un accordo sulla rappresentanza. Bene, cosa ce ne facciamo? La mia risposta è questa: lo mettiamo alla base di un nuovo modello contrattuale. Puntando su tre pilastri: legge sul salario minimo; contratto nazionale concluso secondo le procedure attuali, che vale per tutte le realtà in cui non si fanno accordi di secondo livello; contrattazione aziendale, di distretto, di gruppo, di filiera, di territorio, che può derogare al contratto nazionale, alla condizione che sia concluso tra parti che rispettano il nuovo accordo sulla rappresentanza. Quindi: il governo fa il suo, sul cuneo e sul salario minimo, e su nuove regole per la partecipazione dei lavoratori alla gestione delle imprese. Le parti sociali, però, devono dare un loro contributo. E devono accettare che il governo proponga una rivoluzione sul modello contrattuale. Il nostro modello è Schröder. E se i sindacati ci chiedono uno ‘scambio’, per noi significa questo: se vuoi avere qualcosa, devi anche dare qualcosa”.

    Il termometro per capire quanto Renzi riuscirà a resistere alle vecchie pratiche della concertazione sarà la quantità di risorse che il presidente deciderà di indirizzare verso il taglio del cuneo fiscale. Su questo punto Renzi non ha ancora deciso le proporzioni ma tutto gira attorno a un appunto ricevuto due giorni fa dal presidente del Consiglio. L’appunto dice che uno sgravio sull’Irap avrebbe senso qualora fosse sufficiente a dare nell’immediato un sostegno all’export delle imprese. Dice che però destinando 10 miliardi alle imprese la quota che spetterebbe alla riduzione del costo del lavoro diretto sull’export è appena di un miliardo. Dice che destinare i 10 miliardi sulle buste paga dei lavoratori che guadagnano fino a 26 mila euro lordi al mese farebbe invece aumentare lo stipendio del 5-8 per cento (l’equivalente dell’aumento dei salari privati negli ultimi 3 anni). E dice che se Renzi vuole avere un successo immediato sul piano dei consumi non può che seguire queste indicazioni. Lo schema che il segretario porterà domattina in Cdm (assieme ad alcuni provvedimenti creativi come la vendita delle auto blu in eccesso su eBay) è questo. Renzi punterà tutto sul tema “tasse”. Ma la vera partita che il premier giocherà sotto traccia riguarda un altro tema: la rottamazione della concertazione. I sindacati scalpitano. Camusso minaccia scioperi. Confindustria borbotta. Ma la sfida di Renzi per far cambiare verso alle corporazioni in fondo parte proprio da qui.   

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.