Eulogia accorata di un cagionevole dark per il suo Maglificio della salute

Camillo Langone

Qualità? Eccellenze? Made in Italy? Non gliene frega niente a nessuno e chi dice il contrario è un contaballe o un ignorante. Forse forse in campo alimentare, visto il successo dei supermercati per laureati che Oscar Farinetti ha disseminato da Torino a Bari. Ma negli altri settori niente, gli italiani comprano guardando la griffe o il prezzo, null’altro, come se non avessero più il tatto, come se non avessero più una patria né una cultura. Per questo piango la morte del Maglificio di Borgomanero ossia della mia maglia della salute. Ero a Borgomanero in altre faccende affaccendato quando mi ha colto la ferale notizia. Dopo pranzo (un ottimo pranzo, in Italia ci si consola mangiando) volevo andare allo spaccio del maglificio: “Ha chiuso settimana scorsa”. E il maglificio? “Ha chiuso qualche mese fa”.

    Qualità? Eccellenze? Made in Italy? Non gliene frega niente a nessuno e chi dice il contrario è un contaballe o un ignorante. Forse forse in campo alimentare, visto il successo dei supermercati per laureati che Oscar Farinetti ha disseminato da Torino a Bari. Ma negli altri settori niente, gli italiani comprano guardando la griffe o il prezzo, null’altro, come se non avessero più il tatto, come se non avessero più una patria né una cultura. Per questo piango la morte del Maglificio di Borgomanero ossia della mia maglia della salute. Ero a Borgomanero in altre faccende affaccendato quando mi ha colto la ferale notizia. Dopo pranzo (un ottimo pranzo, in Italia ci si consola mangiando) volevo andare allo spaccio del maglificio: “Ha chiuso settimana scorsa”. E il maglificio? “Ha chiuso qualche mese fa”. Il Maglificio di Borgomanero, fondato nel 1927, era un’eccellenza tattile italiana, numero uno per quanto riguarda l’intimo maschile: infilarsi una sua maglia è come farsi accarezzare da una bella donna. Fra poco sarà un piacere del passato, finirà nel regno delle ombre insieme al taglio di capelli del rinomato Carletto in piazza Bisceglie a Trani: lui lavava e massaggiava il cuoio capelluto senza supplemento, a lungo, tu te ne uscivi con la testa fresca, riposata e nuova. Dopo Carletto ho conosciuto solo barbieri frettolosi, alcuni inetti e tutti più costosi, ma non sono qui per elencare nostalgie, non sono Francesco Guccini che si lamenta della fine delle cabine telefoniche, chi se ne frega delle cabine telefoniche, sono meglio i telefonini, io sono oggettivo, non mi interessano gli oggetti del passato, mi interessano gli oggetti migliori e le maglie di Borgomanero erano migliori, di gran lunga, e ancora lo sono per i felici pochi che, come me, dispongono di scorta. Io le venero e le accudisco e me le godrò fino a quando Dio, l’usura e le tarme vorranno. Infatti sono qui con la canfora naturale, la canfora artificiale, i chiodi di garofano, le buste di plastica con la chiusura ermetica, per far durare il più a lungo possibile queste meraviglie 70 per cento lana vergine 30 per cento seta, di colore nero (sì, possiedo maglie della salute nere, sono un cagionevole dark). Povero, povero il mio Maglificio di Borgomanero! Borgomanero, che in passato ebbe la sventura di ospitare uno dei primi nuclei brigatisti (Curcio bazzicava da queste parti), oggi ha la disgrazia di trovarsi in provincia di Novara quindi in territorio di Cota, il più inerte degli amministratori leghisti, azzoppato da una vicenda di scontrini e di mutande ovviamente non confezionate in loco, perché se agli italiani non gliene frega nulla del prodotto italiano non è che i nordisti si tormentino per i prodotti del nord, chissà quante cravatte verdi made in China. Borgomanero ha la sfortuna di trovarsi nel Piemonte sbagliato, il Piemonte settentrionale, la faccia buia del Piemonte vincente di Eataly e Slow Food, della Langa e del Monferrato, dei tartufi e del Barolo. Qui fanno il Boca che del Barolo è un parente strettissimo (figlio della medesima uva Nebbiolo) ma un parente povero, non di moda, 40.000 ettari vitati nell’Ottocento e oggi solo poche centinaia, eccolo qui il declino. Me lo racconta, a Cavallirio, Silvia Barbaglia che produce vino buono ma deve cambiare etichette, mettono tristezza. Tutto è triste quassù e se ne accorse perfino il per nulla gaudente Ceronetti: “Già Vercelli a paragone di Novara è un’ilarità: Novara t’incassa nello zinco piombato”. La fine del Maglificio di Borgomanero significa anche altro ossia la fine della borghesia che andava in merceria e lo deduco dalle parole di Alessio Arezzi, amico di amici e giovane manager che nel 2012 ha tentato l’impossibile, ossia la rinascita del Maglificio già allora moribondo: “Quando sono arrivato io le mercerie chiudevano una dietro l’altra e le sopravvissute boccheggiavano, pagavano a 150-180 giorni, con cambiali, una cosa mai vista prima”. Ormai anche gli avvocati, i medici, perfino i notai comprano da Intimissimi o, peggio, da Calvin Klein Underwear, e pazienza se sono maglie il cui ciclo produttivo (tessitura, finissaggio, taglio, confezione, stiro) non si svolge all’interno delle mura aziendali, come accadeva nel Maglificio, e nemmeno dei confini nazionali. Mi accompagna in questo funerale l’organizzatore di Novara Jazz, Corrado Beldì, che mi consiglia una puntata al santuario di Boca, giusto, bisogna accendere una candela, e da lì scolliniamo arrivando a Grignasco che mi ricorda qualcosa, ah, certo, la Filatura di Grignasco (“Chiusa”, mi dice) e poi sfioriamo Ghemme che, mi sovviene, è sede della gloriosa tessitura Crespi (“In liquidazione”, fa lui). Riposa in pace Maglificio di Borgomanero. E bruci in eterno chi ti ha fatto morire, gli italiani che pensano solo a mangiare, che ingrassano i cinesi e i Farinetti rinunciando alle carezze delle maglie più belle.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).