Speciale online 10:30
Non c'è barriera che può fermare Pirlo. A Bologna Ballardini non sa più che fare
Le uniche barriere che funzionano con Andrea Pirlo sono quelle che lui stessa innalza intorno al proprio privato. Di materiale ce ne sarebbe, vista la recente separazione dalla moglie causata da una storia d'amore che ha fatto inarcare il sopracciglio ai perbenisti animatori della vita sociale torinese. Ma l'uomo è di poche parole e il mutismo diventa assordante quando le domande provano a insinuarsi in terreni possibilmente minati. Anche a Bologna avevano un giocatore bravo a battere le punizioni. Alessandro Diamanti non sarà Andrea Pirlo per storia personale ma, fatte le debite proporzioni, assolveva identica funzione in maglia rossoblù. Ma da quelle parti da molto (troppo) tempo non se la passano bene, tra presidenti umorali, soci litigiosi e risorse sempre più scarse.
Le uniche barriere che funzionano con Andrea Pirlo sono quelle che lui stessa innalza intorno al proprio privato. Di materiale ce ne sarebbe, vista la recente separazione dalla moglie causata da una storia d'amore che ha fatto inarcare il sopracciglio ai perbenisti animatori della vita sociale torinese. Ma l'uomo è di poche parole e il mutismo diventa assordante quando le domande provano a insinuarsi in terreni possibilmente minati. Lui le disinnesca, come domenica sera ha disinnescato le voglie del Genoa in una partita complicata per la Juventus. Fino a quando Gigi Buffon non ha parato un rigore, fino a quando il destro di Pirlo non ha sollevato con dolcezza il pallone dal limite per guidarlo inesorabile alle spalle di Perin. Una punizione d'autore, senza cadere nel solito armamentario di "maledette" e quant'altro, come amano fare gli etichettatori di partite in tv. Una punizione alla Pirlo, e basta. Come in casa bianconera sono abituati da tempo, in una storia recente che parte da Michel Platini, passa attraverso Alex Del Piero e si conclude, per l'appunto, con l'attuale responsabile in cabina di regia. Tutta gente che ha lasciato il segno, quando si è trattato di fissare una partita con un calcio da fermo: parabole dolci e micidiali, buone per vincere partite e per collezionare scudetti. Perché c'è tanto, tantissimo Pirlo in quello che la Juventus si appresta a celebrare come il terzo consecutivo della gestione di Antonio Conte e il quarto personale (sempre consecutivo) del centrocampista, che ha cominciato la sua serie nel 2011 con il Milan. E oggi, dall'alto delle vittorie e degli umilianti 40 punti in più in classifica, appare chiaro il clamoroso errore di prospettiva fatto dalla società rossonera, come avvenuto dieci anni prima al momento della frettolosa cessione da parte dell'Inter. Quella società che nel 2011, per l'appunto, rifiuta di far sottoscrivere a Pirlo il triennale richiesto, lasciandolo colpevolmente libero di accordarsi con la Juventus. Uno sbaglio che ha accomunato un po' tutto e un po' tutti: il desiderio di Allegri di liberarsi di una presenza che non riteneva funzionale al progetto tattico, l'analisi di uno staff medico che riteneva il giocatore ormai logoro, l'idea di una dirigenza che cominciava a pensare a un rinnovamento della vecchia guardia senza immaginare i disastri che avrebbe combinato quella nuova. A Pirlo è bastato spostarsi di qualche chilometro nella vita privata e mantenere inalterata la posizione sul campo: davanti alla difesa, sempre a chiedere palla anche quando lo marcano in due, con i compagni ben felici di liberarsi da situazioni scabrose, coscienti che sarà lui a dipanarle. Una squadra costruita intorno a lui e cresciuta intorno a lui, di successo in successo, di titolo in titolo. Con l'obiettivo di arrivare insieme fino al 2017, quando gli anni saranno 38 e le strategie del Milan una storiella su cui ridere sopra, dandosi reciprocamente di gomito.
Anche a Bologna avevano un giocatore bravo a battere le punizioni. Alessandro Diamanti non sarà Andrea Pirlo per storia personale ma, fatte le debite proporzioni, assolveva identica funzione in maglia rossoblù. Ma da quelle parti da molto (troppo) tempo non se la passano bene, tra presidenti umorali, soci litigiosi e risorse sempre più scarse. Così, quando dalla Cina ha chiamato il Guangzhou di Marcello Lippi, il Bologna ha spalancato le porte di fronte ai 9 milioni promessi, imbarcando il giocatore sul primo volo disponibile. Diamanti, dall'altra parte del mondo, ha continuato a segnare (quattro reti in quattro partite). La sua vecchia squadra, da questa, ha continuato ad arrancare. Davide Ballardini le sta provando tutte, ma c'è poco da fare quando il tuo reparto offensivo ruota intorno al trio Bianchi-Cristaldo-Acquafresca, sei gol in tre. Il Bologna non va a segno su azione da cinque partite e domenica, per rendere meno umiliante la sconfitta di Livorno, ha dovuto ottenere un rigore, incapace persino di spaventare una controparte ritrovatasi con due uomini in meno, causa espulsioni. Una manifestazione di impotenza che non è di un solo pomeriggio, ma di una gestione stagionale intera, a cominciare dalle scelte di mercato di un'estate fa. Una volta andare al Dall'Ara faceva sentire la gente come parte di una comunità gioiosa e disincantata al tempo stesso, oggi mette soltanto tristezza. Ancor più di una classifica in cui i rossoblù sono entrati ufficialmente in zona retrocessione: non è bello a cinquant'anni dall'ultimo scudetto.
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