Se la Crimea è l'antipasto
Kiev, dal nostro inviato. “Oggi e fino adesso, ho arruolato 52 volontari”. Un colonnello che si occupa di creare dal nulla la Guardia nazionale ucraina mostra un foglio compilato con la biro, fa scorrere il dito sulla lista, indica con il mento le finestre rigate dalla pioggia che batte sul pomeriggio di Kiev. “Però oggi c’è cattivo tempo, ieri erano di più”. Siamo all’interno di un bar abbandonato trasformato in ufficio reclutamento e dentro c’è il tipico assortimento di uomini che ruota attorno al Maidan, la piazza della rivoluzione ucraina: alcuni in mimetica regolamentare perché sono dell’esercito come il colonnello che sta parlando, altri in una mimetica casereccia perché appartengono alla milizia che ancora non molla l’accampamento – “staremo qui fino al 25 maggio, giorno delle elezioni presidenziali” – altri in abiti civili.
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Kiev, dal nostro inviato. “Oggi e fino adesso, ho arruolato 52 volontari”. Un colonnello che si occupa di creare dal nulla la Guardia nazionale ucraina mostra un foglio compilato con la biro, fa scorrere il dito sulla lista, indica con il mento le finestre rigate dalla pioggia che batte sul pomeriggio di Kiev. “Però oggi c’è cattivo tempo, ieri erano di più”. Siamo all’interno di un bar abbandonato trasformato in ufficio reclutamento e dentro c’è il tipico assortimento di uomini che ruota attorno al Maidan, la piazza della rivoluzione ucraina: alcuni in mimetica regolamentare perché sono dell’esercito come il colonnello che sta parlando, altri in una mimetica casereccia perché appartengono alla milizia che ancora non molla l’accampamento – “staremo qui fino al 25 maggio, giorno delle elezioni presidenziali” – altri in abiti civili. Tutti però con lo stesso taglio di capelli corto. Un volontario è venuto con il figlio piccolo, un altro è nervoso e parla ruotando la coppola tra le mani, un altro è con una fidanzata in piumino turchese. Aspettano sotto le luci spente il loro turno per farsi avanti.
La formazione della Guardia nazionale volontaria è stata annunciata la settimana scorsa dal governo provvisorio di Kiev, l’obiettivo dichiarato è raggiungere quota ventimila uomini che dovranno essere impiegati “soltanto per compiti di sicurezza interna”. Soltanto. In realtà quello interno è il fronte più impegnativo perché dentro la Crimea ci sono già ventimila soldati russi in assetto da combattimento (“milizie di auto-difesa” le chiama il Cremlino): è il doppio del numero consentito in teoria dai trattati tra Mosca e Kiev. Inoltre sabato pomeriggio c’è stata un’incursione di 80 paracadutisti russi a bordo di elicotteri in un impianto gasiero fuori dalla Crimea – dove ancora scatena qualche allarme – e nelle città dell’est ci sono problemi di violenza con le parti della popolazione che stanno con l’Amministrazione Putin.
Ieri mattina durante la conferenza stampa del governo all’Hotel Ukraina è arrivata un’altra misura d’emergenza: un po’ più di 600 milioni di dollari in un colpo solo per nuove spese militari – su un budget annuale dello stato di 50 miliardi – per apparire meglio preparati in questo stato di quasi guerra con il vicino più grande. L’esercito di Kiev ha circa seimila militari pronti sul serio a combattere, contro i duecentomila russi già vicini al confine.
Questa è la reazione ucraina all’esito del “referendum” plebiscitario di domenica, che indica la volontà credibile dei crimeani di unirsi alla Russia – anche se i dati di Sebastopoli, dove avrebbe votato il 123 per cento degli aventi diritto, hanno un sapore di truffa nordcoreana. La reazione occidentale è stata imporre sanzioni: ieri sia l’Unione europea sia gli Stati Uniti hanno annunciato misure contro russi e ucraini che ricoprono ruoli-chiave in questa crisi, senza però colpire ai livelli più alti. Secondo Washington, sulla lista ci sono gli ideologi, gli strateghi e i sostenitori dell’annessione della Crimea alla Russia – gli americani ora usano la definizione di “entità crimeana”, che è un modo per non riconoscere la validità del voto e riconoscere però che c’è stato un cambiamento.
La domanda è se il presidente russo Vladimir Putin si accontenterà della Crimea o se ha deciso di considerarla soltanto una prima tappa in attesa di prendere anche l’est dell’Ucraina. A Kharkov, a Donetsk e altrove nell’oriente una parte degli ucraini nominali – parte non maggioritaria a giudicare dalle manifestazioni sotto la bandiera russa – desidera lo stesso trattamento di Sinferopoli e Sebastopoli: russificazione immediata, adozione del rublo (completa entro il 2016) e del fuso orario di Mosca, nazionalizzazione immediata delle proprietà di stato ucraino – per le basi militari invece c’è una tregua che dovrebbe durare fino a questo venerdì. La Crimea è stata già il boccone principale o è stata soltanto l’antipasto? Si teme una strategia simile, intrapresa da piccole avanguardie militari e da provocatori. Ieri il Daily Beast citava fonti d’intelligence americana che hanno osservato un aumento delle attività della Spetsnaz, le forze speciali russe addestrate a operare anche in abiti civili. Nei giorni scorsi si è parlato sui giornali ucraini della presenza nell’est dei russi di “Chernaja sotnja”, la Centuria nera, estremisti di destra monarchici e antisemiti che si sono costituiti in forza volontaria “di aiuto” al sud-est ucraino.
Nel Maidan semivuoto del doposbornia rivoluzionario, dove la musica suona inutile sugli spazi ormai vuoti, gli attivisti rimasti a presidiare non temono l’intervento diretto dei carri armati russi, ma atti di provocazione ancora indefiniti, che potrebbero innescare e legittimare interventi armati irresistibili come è successo a sud.
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