Ucraina, Lagarde pronta a finanziare il debito in cambio di riforme
Entro venerdì, Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, avrà tutti gli elementi per decidere che ruolo giocare nella complessa partita ucraina, dopo il risultato del referendum secessionista in Crimea. La scorsa settimana, il primo ministro ucraino è stato ricevuto alla Casa Bianca. Ha ottenuto l’assicurazione che l’Amministrazione fornirà al suo governo aiuti finanziari diretti e indiretti. I primi andranno oltre il semplice miliardo di garanzie discusso dal Senato nei giorni scorsi che lo Studio ovale ha posto sul tavolo nel contesto di una missione esplorativa volta a saggiare le acque in territorio repubblicano.
Entro venerdì, Christine Lagarde, direttore generale del Fondo monetario internazionale, avrà tutti gli elementi per decidere che ruolo giocare nella complessa partita ucraina, dopo il risultato del referendum secessionista in Crimea. La scorsa settimana, il primo ministro ucraino è stato ricevuto alla Casa Bianca. Ha ottenuto l’assicurazione che l’Amministrazione fornirà al suo governo aiuti finanziari diretti e indiretti. I primi andranno oltre il semplice miliardo di garanzie discusso dal Senato nei giorni scorsi che lo Studio ovale ha posto sul tavolo nel contesto di una missione esplorativa volta a saggiare le acque in territorio repubblicano. Oltre all’assicurazione di aiuti diretti, il primo ministro Arseniy Yatsenyuk ha ottenuto la rassicurazione che il più grande azionista del Fmi appoggerà un generoso programma d’assistenza che, a pochi isolati di distanza, sempre a Pennsylvania Avenue, hanno già messo a punto nelle linee fondamentali e in questi giorni stanno rifinendo. A fine febbraio le autorità ucraine avevano approcciato il Fmi con l’urgente richiesta d’intervento, a cui Lagarde aveva risposto prontamente, inviando una missione esplorativa a Kiev. Il fatto che a guidarla nei colloqui più delicati con il primo ministro sia stato Reza Moghadam, direttore del dipartimento europeo e anche il funzionario più ascoltato da Lagarde, lascia presagire che le decisioni strategiche siano state già prese. In altre parole, i prossimi giorni serviranno ad affinare la tattica con cui l’alta direzione deciderà d’interporsi tra i maggiori azionisti rappresentati nel consiglio di amministrazione, prima della sua approvazione formale, che avverrà – a meno di significativi colpi di scena – poco prima della prossima riunione ministeriale prevista a Washington per metà aprile. Nell’anno in corso l’Ucraina deve fronteggiare scadenze di pagamento per 12 miliardi di dollari, cui se ne aggiungono altri 4 da restituire al Fmi per il precedente programma assistenziale. Considerando arretrati già accumulati e altre poste passive, a Washington stimano che per tenere l’economia ucraina a galla servano almeno 20 miliardi di dollari, e solo per quest’anno: Lagarde si sta orientando verso un prestito apripista di 15 miliardi di dollari circa. L’approvazione di un programma di assistenza e l’impegno contestuale di Kiev a introdurre un pacchetto di riforme concordato preventivamente con il Fmi eserciterebbe un effetto catalitico consentendo l’aggregazione di altri creditori, dalla Banca mondiale, che sta vagliando un pacchetto di 3 miliardi, alla Unione europea, che ne ha promessi 11. Nel complesso, le autorità ucraine hanno richiesto 35 miliardi per il periodo 2014-’15. L’approccio apripista ha, ovviamente, l’appoggio dell’Amministrazione Obama, tesa a scaricare il grosso dell’onere finanziario della partita sulle istituzioni finanziarie internazionali. Il segretario al Tesoro americano, Jack Lew, si è già riferito al Fmi come “prima linea di difesa”. Certo, un sostanzioso aiuto non dispiacerebbe neanche a Mosca che del Fmi è legittimo azionista. I russi, pur con la cautela che il gioco delle parti impone, sono consapevoli delle enormi ripercussioni che vi sarebbero se l’economia ucraina implodesse, essendone uno tra i maggiori creditori. Per il Fmi, si tratta d’interporsi in una delicata partita geopolitica giocata da Russia, Stati Uniti e Ue. In confronto, il ruolo di interposizione svolto, con sostanziali costi reputazionali e dubbia efficacia, nella crisi dell’Eurozona fra Germania, le agenzie europee e le economie sotto stress del sud Europa, sembra una cosa minore. Solo lo scorso dicembre, il cda del Fondo, nel rivedere il precedente programma con l’Ucraina – anch’esso per 15 miliardi, approvato nel 2010 e in seguito abbondonato in quanto il governo di allora non aveva mantenuto gli impegni presi – notava che eventuali nuovi programmi assistenziali sarebbero venuti con “minori risorse e maggiore condizionalità”. Esattamente, il contrario di quello che potrebbe essere deciso a giorni.
Le ripercussioni della crisi ucraina stanno accelerando la metamorfosi del G8, nel quale la Russia non è riuscita mai a integrarsi pienamente. Il primo ministro canadese lo ha definito “G7+1”. Non è un caso che abbia già richiamato il suo ambasciatore. Mentre la Camera bassa del Congresso ha richiesto alla Casa Bianca di “espellere” la Russia dal G8. Il summit sotto la presidenza russa previsto per l’inizio di giugno a Sochi sembra a dir poco a rischio. Il giro di valzer che il Fmi potrebbe compiere e il ricompattamento del G7 sono, tuttavia, nulla rispetto ai costi che la crisi ucraina potrebbe avere per il G20, nel quale la Russia ha tenuto un profilo assai basso sino all’anno passato. Nello scorso summit di San Pietroburgo, la crisi siriana, pur non ufficialmente all’ordine del giorno, di fatto dominò (e avvelenò) le conversazioni tra i leader. Il padrone di casa, Vladimir Putin, aveva accettato all’ultimo momento la proposta di Barack Obama di discutere della questione siriana nella cena informale – l’unico momento di conversazione spontanea tra i leader – solo quando aveva saggiato la possibilità di mettere in difficoltà la sua controparte, come infatti accadde. A Brisbane, il gran cerimoniere sarà il primo ministro australiano, Tony Abbott. Ma a Canberra hanno fondati timori che la crisi ucraina rovini ugualmente il loro summit autunnale e, soprattutto, cristallizzi il G20 sulla crescente contrapposizione tra i paesi emergenti e quelli avanzati che la presidenza di turno australiana mirava, invece, a integrare.
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