Speciale online flash 19:35

Il Giappone fa i conti con la musica

Giulia Pompili

Il fatturato dell’industria della musica globale, vale a dire tutto ciò che riguarda gli incassi delle case discografiche, dai servizi di streaming sul telefonino fino alla vendida del singolo vinile, è calato del 3,9 per cento nel 2013. Ma la colpa è solo del Giappone, che rappresenta più di un quinto del fatturato musicale globale.

    Il fatturato dell’industria della musica globale, vale a dire tutto ciò che riguarda gli incassi delle case discografiche, dai servizi di streaming sul telefonino fino alla vendida del singolo vinile, è calato del 3,9 per cento nel 2013. Ma la colpa è solo del Giappone, che rappresenta più di un quinto del fatturato musicale globale. Secondo il report pubblicato ieri dalla Federazione internazionale dell'Industria Fonografica (Ifpi), organizzazione no-profit che raccoglie la maggior parte delle industrie discografiche nel mondo, escludendo il mercato nipponico gli introiti dell’industria musicale sarebbero in calo solo dello 0,1 per cento. Addirittura l’industria europea ha ricominciato a crescere dopo dodici anni di profondo rosso, trainata dai cinque paesi più musicofili (Italia, Francia, Germania, Olanda e Inghilterra) e dagli One Direction, la band più remunerativa del momento. E’ quasi tollerabile anche quel 26 per cento di utenti internet che usufruisce di sistemi illegali per ascoltare la musica (secondo la Digital citizens alliance il fatturato pubblicitario dei siti pirata nel 2013 si è aggirato intorno ai 227 milioni di dollari).

    Ma cosa succede alla patria del J-pop, il Japan pop, un business che ha monopolizzato la scena musicale giapponese degli ultimi dieci anni con intuizioni a volte discrete a volte mostrificanti? Cosa succede al mercato che ha dato i natali al gruppo AKB48 (il nome viene da Akihabara, il quartier generale a Tokyo), che nel 2011 ha fatturato 200 milioni di dollari con la sola vendita dei dischi?  Quello delle AKB48 è un caso di scuola. Composto da quasi cento elementi che ruotano tra di loro, sono i fan a decidere chi si esibisce e chi no, le ragazze e i musicisti hanno regole di vita ferree durante la militanza nel gruppo, e le regole che si estendono anche ai membri non umani come il robot Eguchi Aimi, e alle ragazze più intraprendenti come Minami Minegishi, che si rasò i capelli per aver dormito una notte con il suo fidanzato. In Giappone ovunque ci si giri c’è una pubblicità, un gingle, un poster delle AKB48. E come le AKB48 ci sono altre centinaia di band che nascono continuamente in Giappone. Eppure quest’anno il mercato musicale nipponico è crollato del 16,7 per cento rispetto all’anno precedente. Meno 23 per cento le vendite sul digitale, -13 per cento il mercato fisico.

    A raccontare le stranezze del modello di business giapponese ci ha pensato il Wall Street Journal. Anzitutto le suonerie, che erano una fetta sostanziosa del mercato – i giapponesi spendevano molti soldi per personalizzare i suoni del proprio telefonino, più che in ogni altra parte del mondo – e che con l’arrivo degli smartphone hanno smesso di essere vendute (la personalizzazione passa ora attraverso internet). E poi c’è il digitale. Le case discografiche giapponesi controllano quasi la totalità del mercato. Secondo i dati ifpi il cento per cento dei dischi più venduti in Giappone e Corea del sud è rispettivamente giapponese e sudcoreano (seguito dagli altri due mercati ultranazionalisti, quello italiano e quello brasiliano). Come per la lobby degli editori di giornali, anche i discografici nipponici si stanno opponendo alla digitalizzazione della musica. Mentre Spotfy, Deezer e tutti i servizi per sottoscrizione e abbonamento tengono in piedi il mercato europeo e americano, in Asia i dischi si vendono ancora. Anche più di uno per ascoltatore. E’ infatti prassi per le case discografiche regalare qualcosa con l’acquisto di un album (un cd delle AKB48 costa di media trenta dollari), e non è inusuale vedere ragazzi che comprano molte copie dello stesso album. Il Wsj cita l’esempio di Shigeru Kimura, 22 anni, che ha comprato 15 copie di un cd delle AKB48 per poter vincere, grazie alla casa discografica, l’incontro con alcuni membri della band. Tatsuyoshi Kimura, studente del college, spende 30-40 dollari al mese in acquisto di cd. Ma ora c’è la crisi, e YouTube è molto più economico, se ne saranno accorte anche le Machikado Keiki Japan, gruppo J-pop il cui nome significa più o meno "la situazione economica per le strade del Giappone", che si vestono (o svestono) in base all'andamento dell'indice Nikkei (ne avevamo parlato qui).

    Per seguire il mondo del J-pop è indispensabile il blog del giornalista Patrick St. Michel, makebelievemelodies.com
     

     

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.