Ecco perché anche Courtney Love ha la sua teoria sul Boeing 777

Giulia Pompili

Dare spazio a notizie infondate e non verificate, rilanciare suggestioni che provengono dai social network, dar voce all'assalto rabbioso giustizialista. Da quando l'aereo della Malaysian Airlines è scomparso, i giornali inglesi e quelli americani si stanno interrogando sul modo in cui viene affrontata la cronaca di una sparizione che offre poche notizie certe e di cui si è potuto dire nulla, quindi tutto. Sul web si è parlato di: un esperimento scientifico condotto dalla compagnia aerea ai danni dei passeggeri, un dirottamento – forse da parte della Cina, ma intanto la Corea del nord stava testando dei missili, e se fosse stato abbattuto? Un complotto degli alleati sovietici? – oltreché di un viaggio spaziale, temporale, di alieni e di teletrasporto.

    Dare spazio a notizie infondate e non verificate, rilanciare suggestioni che provengono dai social network, dar voce all'assalto rabbioso giustizialista. Da quando l'aereo della Malaysian Airlines è scomparso, i giornali inglesi e quelli americani si stanno interrogando sul modo in cui viene affrontata la cronaca di una sparizione che offre poche notizie certe e di cui si è potuto dire nulla, quindi tutto. Sul web si è parlato di: un esperimento scientifico condotto dalla compagnia aerea ai danni dei passeggeri, un dirottamento – forse da parte della Cina, ma intanto la Corea del nord stava testando dei missili, e se fosse stato abbattuto? Un complotto degli alleati sovietici? – oltreché di un viaggio spaziale, temporale, di alieni e di teletrasporto. Anche la cantante e chitarrista delle Hole, Courtney Love, vedova di Kurt Cobain – il frontman dei Nirvana morto suicida nel 1994 – che condivideva col marito l'assidua frequenza nei centri di riabilitazione per dipendenze di vario genere, ha voluto dire la sua sull'aereo. Courtney ha postato su Twitter la fotografia dall'alto di un fazzoletto d'oceano vicino all'isola di Pulau Perak, nello stretto di Malacca, dove i radar hanno segnalato la presenza del Boeing per l'ultima volta. Nella foto, modificata con Paint, il programmino per insegnare ai bambini a disegnare sul computer, sono evidenziate due zone con la matita rossa: “Non sono un'esperta, ma guardando bene queste sembrano un aereo e una chiazza di petrolio”. Cosa intendesse indicare è ancora da capire. Poi è venuto il momento di Rupert Murdoch, che il 9 marzo ha cinguettato: “Lo schianto del 777 conferma che i jihadisti vogliono tornare a creare problemi alla Cina. E' un'opportunità per gli Stati Uniti per unirsi in una causa comune, l'amicizia con la Cina mentre la Russia fa la bulla”. Terrorismo quindi, secondo lo Squalo. Che però qualche giorno dopo ha aggiunto dettagli: “Il mondo intero sembra sconvolto dalla scomparsa del 777. Forse non c'è stato nessuno schianto, è stato rubato, di fatto nascosto, forse nel nord del Pakistan, come Bin Laden”. Quindi non più estremisti cinesi, ma al Qaida – secondo l'analisi di Buck Sexton di The Blaze, in realtà, se davvero ci fossero i terroristi dietro la sparizione del boeing, non sarebbero di al Qaida ma del movimento jihadista del Turkestan orientale, l'Etim, molto attivo in Cina.

    Eppure c'è un altro mostro che accompagna le scombiccherate teorie cospirazioniste, l'istinto giustizialista. Il colpevole per un aereo che precipita – l'aereo, simbolo dell'evoluzione umana, macchina perfetta perché prodotto della migliore ingegneria e “il mezzo di trasporto più sicuro del mondo”, come si dice a chi ha paura di volare – deve essere trovato. E allora quando i primi sospettati – una coppia di iraniani in viaggio con passaporto rubato ma che non avevano null'altro che potesse somigliare al profilo di un terrorista – non davano più motivo di speculazioni,  dàgli al pilota. “Il pilota dell'aereo scomparso mostrava sui social network interesse per la democrazia e l'ateismo”, titolava l'altroieri Robert Mackey sul blog The Lede del New York Times. Titolo che suona ironico perché c'è davvero chi, in queste ore, sta cercando di trovare a tutti i costi qualcosa di sospetto nella vita del capitano Zaharie Shah. Nella sua passione per il volo, per esempio,  tale da fargli costruire un simulatore di volo con le sue mani e mettere i video su YouTube in cui, sorridente, ne spiega la fabbricazione. Nella sua passione per la democrazia, per cui la sua presenza, a poche ore dal volo, al processo contro Anwar Ibrahim, il leader dell'opposizione malese condannato per sodomia, è stata tradotta dai media come un chiaro segno di insofferenza politica che avrebbe potuto portare il capitano a schiantare l'aereo nell'oceano, lui con i suoi passeggeri.

    C'è una serie tv in programmazione su Sky che si chiama “Indagini ad alta quota” (nella versione originale canadese si chiama “Mayday”). Il segreto del successo dei mini-documentari di National geographic è l'impostazione thriller: di ogni incidente aereo – fatti di cronaca, non fiction – viene ricostruita l'indagine tecnica poi montata e trasmessa con l'identica tecnica narrativa del giallo-noir. Il sospetto è che anche per il Boeing 777-200, e per le 239 persone a bordo, la verità verrà fuori quando il circo mediatico cesserà di produrre fiction.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.