Geopolitica e guerre economiche del whisky, il nuovo bene rifugio

Maurizio Stefanini

Whisky per superare la crisi. Non nel senso di starsene ubriachi fino a quando non passa: il Platinum Whisky Investment Fund, appena lanciato a Hong Kong, è il primo private equity fund che offre ai risparmiatori la possibilità di investire in Single Malt Scotch Whisky. Per la precisione, l’idea non è nuova: già a fine ’800 il personaggio di un romanzo di Archibald Joseph Cronin, noto in Italia per sceneggiati di culto in bianco e nero come “La cittadella”, era un vecchio usuraio che nella Londra vittoriana investiva i suoi guadagni in whisky, che poi acquisiva valore man mano che invecchiava ed era pure esente da ogni dazio fino a quando non arrivava il momento di pagare l’imposta sul consumo.

    Whisky per superare la crisi. Non nel senso di starsene ubriachi fino a quando non passa: il Platinum Whisky Investment Fund, appena lanciato a Hong Kong, è il primo private equity fund che offre ai risparmiatori la possibilità di investire in Single Malt Scotch Whisky. Per la precisione, l’idea non è nuova: già a fine ’800 il personaggio di un romanzo di Archibald Joseph Cronin, noto in Italia per sceneggiati di culto in bianco e nero come “La cittadella”, era un vecchio usuraio che nella Londra vittoriana investiva i suoi guadagni in whisky, che poi acquisiva valore man mano che invecchiava ed era pure esente da ogni dazio fino a quando non arrivava il momento di pagare l’imposta sul consumo. In tempi più recenti, le Farc in Colombia usavano spesso il whisky come comodo strumento di transazione tra la coca e le armi. Ma l’antica trovata oggi si è sposata agli strumenti della moderna finanza, e offre un’originale alternativa in tempi di valute fluttuanti e di oro declinante. Lanciato con un obiettivo di 10 milioni di dollari e una sottoscrizione minima da 250 mila, attiva dal prossimo giugno, il fondo è d’altronde gestito da Rikesh Kisdhani: un operatore indiano che ha già fatto un lavoro analogo con l’investimento in vini. E la garanzia è data da un andamento del mercato che ha visto le vendite mondiali di Single Malt scozzesi aumentare in 10 anni del 190 per cento, da 390 milioni di dollari all’anno a 1,1 miliardi. Soprattutto in Asia, dove fa status tra i nuovi ricchi. Anche per questo la sede scelta è a Hong Kong. 
    Ma a sei mesi dal referendum sull’indipendenza scozzese anche il cancelliere dello Scacchiere George Osborne ha puntato sullo Scotch per infliggere un colpo basso ai separatisti, presentando alla Camera dei Comuni una legge finanziaria che ha congelato la tassa sul whisky. In passato in Scozia e Irlanda la distillazione clandestina fatta “al chiaro di luna” per non pagarci le tasse, il famoso “moonshine”, era un potente strumento di protesta sociale, celebrato da canzoni e film. Folclore a parte, lo Scotch rappresenta oggi un export da 4,25 miliardi di sterline, un quarto di tutto l’export alimentare britannico. Cui vanno aggiunti altri 30 milioni di sterline di indotto del turismo alle distillerie e 35 mila posti di lavoro: con il 4 per cento del pil, il whisky è la seconda risorsa della Scozia, dopo il 13 per cento del petrolio. E addirittura le 275 mila sterline di valore aggiunto a lavoratore dello Scotch rappresentano meno del petrolio, ma più dello stesso settore finanziario. Come dire, il whisky tira più della stessa City. Fondi a parte, gli ultimi anni hanno visto nel settore un fermento per cui, ad esempio, per 120,5 milioni di euro l’italiana Campari si è appena presa la canadese Forty Creek.
    Ed è fermento anche negli Stati Uniti, nella cui storia è rimasta la Whisky Rebellion del 1791-’94: la guerriglia di contadini degli Appalachi contro un’imposta di distillazione voluta dal segretario al Tesoro Alexander Hamilton, che gravava proprio sul miglior modo che avessero per “immagazzinare” i surplus di cereali. “Una nuova Whisky Rebellion”, secondo la formula del Wall Street Journal, è in corso adesso tra la Diageo, colosso britannico degli alcolici cui fanno capo tra l’altro note etichette come Johnnie Walker e J&B, e la Jack Daniel’s. Quest’ultima, finora monopolista del Tennessee Whisky grazie a una normativa tagliata su misura, che impone l’invecchiamento in un tipo di fusti di quercia fabbricato dalla stessa Jack Daniel’s, utilizzabile solo una volta e che costa 600 dollari al pezzo. La Diageo, che ha anch’essa stabilimenti in Tennessee, si è alleata con vari produttori artigianali locali per estendere l’etichetta anche a chi riusa i fusti vecchi. La Jack Daniel’s obietta inorridita che in quel modo si produrrebbe solo del volgare Bourbon, come nel vicino Kentucky. Da un anno la battaglia continua nella legislatura locale, dove una proposta di legge pro Diageo è stata fatta dal repubblicano Bill Sanderson.