Essere millennial. E basta
I millennial non abitano in un universo bipolare. Non sono liberal ma nemmeno conservatori, non sono marxisti né capitalisti, non devono scegliere fra la Nato e il Patto di Varsavia, fra la Coca-Cola e la Pepsi, fra l’analogico e il digitale, fra Yankee e Dixie. Sono adepti della personalizzazione, del do it yourself, del prodotto irripetibile, rifiutano in blocco la contrapposizione in blocchi, sono culturalmente postumi alle dialettiche novecentesche che precipitano immancabilmente nello schema binario della tesi e dell’antitesi, raramente seguite da una sintesi.
I millennial non abitano in un universo bipolare. Non sono liberal ma nemmeno conservatori, non sono marxisti né capitalisti, non devono scegliere fra la Nato e il Patto di Varsavia, fra la Coca-Cola e la Pepsi, fra l’analogico e il digitale, fra Yankee e Dixie. Sono adepti della personalizzazione, del do it yourself, del prodotto irripetibile, rifiutano in blocco la contrapposizione in blocchi, sono culturalmente postumi alle dialettiche novecentesche che precipitano immancabilmente nello schema binario della tesi e dell’antitesi, raramente seguite da una sintesi.
La dicotomia, il dilemma, il duopolio sono forme estranee a questa generazione che acquista le singole canzoni interessanti senza disturbarsi con l’intero album. Tom Wolfe ha chiamato i baby boomers la “me generation”, per quell’impeto centripeto e narcisistico con cui i giovani americani degli anni Settanta affrontavano il mondo. I millennials sono la “me, me, me generation”, perché hanno abbattuto gli steccati ideologici in cui i loro genitori si muovevano per inaugurare l’èra della fluidità e dell’indistinzione, altro che antagonismo ideologico. L’idea di cambiare il mondo è ancora viva, ma come questo dovrebbe accadere è oggetto di discussione. Anzi no, non è oggetto di discussione affatto, ciascuno mette in piedi il proprio tentativo personalizzato e possibilmente leaderless e poi si vedrà. Quelli hanno fatto la rivoluzione sessuale nelle piazze e nelle università per smantellare un’impalcatura culturale tradizionale, questi hanno 51 opzioni fra cui scegliere alla voce “gender” su Facebook. E presto anche 51 saranno poche per questi voraci predatori della customizzazione dell’io. Il superamento del sistema binario per sguazzare nell’universo on demand di cui la rete è immagine digitale (lo strumento che ha vinto per distacco la competizione del web è una pagina bianca dove si può inserire ciò che si vuole: la possibilità non delude mai, lo sapeva bene anche Kierkegaard) è la costante generazionale che si declina in tutti i settori. Innanzitutto in politica.
Uno studio del think tank centrista-democratico Third Way sull’atteggiamento politico dei giovani americani nota che i millennials hanno bassissime capacità di adattamento alle proposte delle forze politiche, non vogliono cucinare gli avanzi di ideologie e persuasioni culturali che non appartengono loro. La mentalità è troppo formata dall’infinita serie di scelte possibili per finire imbrigliata in vecchi schemi ideologici quando si tratta di governare il paese. Le alternative sono soltanto democratici e repubblicani? Dov’è il mio partito à la carte? Dov’è la funzione “aboliamo tutti i partiti”? “Vivendo in un mondo a opzioni illimitate, i millennial non pensano di dover scegliere fra due opzioni limitate”, si legge nel report del pensatoio. Third Way annota il carattere politicamente “esplorativo” dei giovani anche pro domo sua, visto che propone una terza via politica fra democratici e repubblicani, ma il fatto che la metà dei giovani americani si definisca politicamente indipendente (secondo un sondaggio Pew) è un buon indizio circa il fatto che i partiti tradizionali non riescono a condensare i sentimenti gassosi di una generazione. Barack Obama si è affermato come fenomeno politico di riferimento delle giovani generazioni evocando “change” e “hope”, termini abbastanza generici perché ciascuno li potesse riempire con un progetto a propria misura. Si presentava come il presidente post ideologico, post partisan, post qualunque cosa: l’idea del superamento delle vecchie categorie era la sua forza. Anche la crescita del fenomeno libertario fra i ragazzi descrive una dinamica analoga: il senatore Rand Paul e compagnia predicano la liberazione dalle costrizioni dello stato e delle macchine burocratiche globali che sono i sottoprodotti di una cultura novecentesca lontanissima dalla sensibilità giovane.
I libertari piacciono nella Silicon Valley non per mere ragioni di pianificazione fiscale, ma perché quel progetto politico intercetta lo sradicamento di una generazione. Sradicamento anche virtuoso, perché sulla tabula rasa si costruiscono idee nuove e competitive, si può sperimentare con la complessità senza finire a girarsi i pollici nelle stanze polverose della contrapposizione ideologica. Sono pure pragmatici, questi giovani, ché non temono di pescare qua e là le idee che funzionano, garbatamente infischiandosene di passaporti di ortodossia e tessere di partito. Potendo butterebbero a mare i passaporti e le tessere in generale.
Third Way falsifica l’equazione per cui i millennial sono tutti liberal. I dati dicono, ad esempio, che c’è un massiccio adeguamento dell’opinione in favore del matrimonio gay, ma allo stesso tempo l’aborto è tornato a essere un tema problematico, non sepolto sotto le insegne di una visione ideologica organica. Chi dice che essere a favore del matrimonio fra persone dello stesso sesso significhi automaticamente essere pro choice? E’ il riflesso condizionato indotto da vecchi schemi che i millennial semplicemente non afferrano.
Matteo Renzi, che anagraficamente millennial non lo è, ma pesca idee e affinità nella generazione successiva più che in quella precedente, coltiva con sensibilità strategica quella certa ambizione post ideologica che la giovane generazione si ritrova addosso come un dato irriflesso, non masticato. I millennial descritti da Third Way non hanno la vocazione dei rottamatori, perché sono arrivati sulla scena quando tutto era già stato rottamato. Le sovrastrutture politiche sono sopravvissute, ma i contenuti di quei progetti sono già stati superati da una mentalità che non è nemmeno del tutto corretto definire nuovista: per essere novatori occorre almeno aver sperimentato il vecchio, in questo caso il Novecento dei blocchi ideologici, culturali, geopolitici.
In questi giorni il Wall Street Journal ha fatto una ricognizione fra abbottonatissimi amici e consiglieri di Hillary Clinton, che a mezza voce e microfono spento suggeriscono all’ex segretario di stato di non candidarsi alla Casa Bianca nel 2016. La forza politica, economica e d’immagine non le manca, è il più classico dei candidati inevitabili alla presidenza (spesso perdono, fra l’altro), ma c’è qualcosa di irrisolto nel proporre, una volta ancora, un arcinoto campione di un mondo ideologico estinto che potrebbe essere la nonna dei millenial che i liberal pretendono di aver capito.
Twitter @mattiaferraresi
Il Foglio sportivo - in corpore sano