Frida Kahlo

Annalena Benini

Dipingeva se stessa, disse una volta, perché era la cosa che conosceva meglio. La forma più vicina, più conosciuta nel profondo, nelle vene e nel dolore, nell’esuberanza gioiosa di vivere che faceva contrasto con la compostezza del volto: una faccia intensa, severa, lei che non giudicava e si metteva i fiori nei capelli, fiori dappertutto, scimmie e pappagalli e rane e tutti erano suoi figli, e il suo compagno era suo figlio e lei lo dipingeva a volte come un bambino da allattare, da proteggere. Frida Kahlo, la pittrice messicana simbolo di ogni modernità, ribellione piena di grazia e resistenza al dolore, è da giovedì in mostra a Roma alle Scuderie del Quirinale, e le signore si mettono i fiori colorati nei capelli mentre guardano i suoi quadri, sperando di rubarle un po’ di quella libertà compostissima, vissuta dentro un corpo protetto dal busto di gesso che ha indossato per molti anni.

    Dipingeva se stessa, disse una volta, perché era la cosa che conosceva meglio. La forma più vicina, più conosciuta nel profondo, nelle vene e nel dolore, nell’esuberanza gioiosa di vivere che faceva contrasto con la compostezza del volto: una faccia intensa, severa, lei che non giudicava e si metteva i fiori nei capelli, fiori dappertutto, scimmie e pappagalli e rane e tutti erano suoi figli, e il suo compagno era suo figlio e lei lo dipingeva a volte come un bambino da allattare, da proteggere. Frida Kahlo, la pittrice messicana simbolo di ogni modernità, ribellione piena di grazia e resistenza al dolore, è da ieri in mostra a Roma alle Scuderie del Quirinale, e le signore si mettono i fiori colorati nei capelli mentre guardano i suoi quadri, sperando di rubarle un po’ di quella libertà compostissima, vissuta dentro un corpo protetto dal busto di gesso che ha indossato per molti anni: lei conteneva il dolore e lo mostrava nell’arte, e ha cambiato l’arte facendo arte di se stessa, permettendosi tutto, anche di superare la fama del suo amatissimo Diego Rivera, del quale ha scritto che lui era il fiume e lei era l’argine, e quindi non poteva soffrire se lui la tradiva, se andava per il mondo a soddisfare la sua curiosità di vita. “Ma io non credo che gli argini di un fiume soffrano nel lasciarlo scorrere, né che la terra soffra quando piove. Per me, tutto ha una compensazione naturale. Dentro il mio difficile e oscuro ruolo di alleata di un essere straordinario, ottengo la ricompensa di un punto verde dentro una quantità di rosso: ricompensa di equilibrio” (“Doppio ritratto”, Frida Kahlo e Diego Rivera, nottetempo). Tutto per lei aveva una compensazione naturale, e nei momenti di non amore Frida Kahlo cercava altro amore e altri amanti, altra vita, nei momenti di grande dolore lei dipingeva quel dolore, con le vene che escono dalle gambe, con il sangue rosso, i vestiti rosa e con i bambini che non riuscivano a nascere dal suo corpo e che lei ha dipinto e amato sempre. Ebbe un incidente terribile a diciotto anni, mentre su un autobus in Messico pensava alla sua futura vita da medico, e invece con la colonna vertebrale e le ossa spaccate, un corrimano che la trapassò da parte a parte, troppe fratture per poter vivere con leggerezza e senza armature, senza immobilità forzata, scelse di dipingere il corpo femminile, ma soprattutto il proprio, di liberarne la potenza e farla volare ovunque. E con grande successo: quella se stessa con le sopracciglia unitissime, e un uomo, sempre Diego Rivera (lei lo celebrava sempre anche mentre lo oscurava), che sorge dalle sopracciglia serrate in un’unica curva, e quell’ombra nera ed eterna sopra le labbra, orgogliosa e seduttiva, sfacciata, senza ceretta, l’hanno resa il simbolo di qualcosa di grandioso e liberatorio, che le donne vogliono celebrare e appuntarsi al petto. E’ la messa in mostra generosa di sé, nel dolore più grande e nella gioia più viva, nelle scimmie che le si arrampicano sulle spalle, nella fierezza di essere latinoamericana dallo sguardo fermo, nella vanità di quelle gonne lunghe e colorate che coprivano almeno una parte del tormento e del camminare faticoso. “¡Viva la Vida!” scrisse su un quadro pochi giorni prima di morire.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.