Ceffoni e carezze

Claudio Cerasa

Ceffoni e carezze. Triangolazioni e cavalli di Troia. Messaggi incrociati e obiettivi paralleli. I ceffoni sono quelli pubblici che Matteo Renzi molla da alcune settimane ai sindacati più importanti d’Italia, ovvero la Confindustria di Giorgio Squinzi e la Cgil di Susanna Camusso, e sono ceffoni con i quali il presidente del Consiglio prova ogni giorno a segnalare la sua distanza dalle pratiche del passato e dalla parola “concertazione”. Le carezze sono invece quelle private che il capo del governo offre da alcune settimane ai leader ombra dei sindacati più importanti d’Italia, ovvero Gianfelice Rocca e Maurizio Landini, e sono carezze con le quali il presidente del Consiglio prova ogni giorno a segnalare la sua vicinanza alla parola rinnovamento e la sua volontà di far cambiare verso non solo alla sinistra ma anche a Confindustria e Cgil.

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    Ceffoni e carezze. Triangolazioni e cavalli di Troia. Messaggi incrociati e obiettivi paralleli. I ceffoni sono quelli pubblici che Matteo Renzi molla da alcune settimane ai sindacati più importanti d’Italia, ovvero la Confindustria di Giorgio Squinzi e la Cgil di Susanna Camusso, e sono ceffoni con i quali il presidente del Consiglio prova ogni giorno a segnalare la sua distanza dalle pratiche del passato e dalla parola “concertazione”. Le carezze sono invece quelle private che il capo del governo offre da alcune settimane ai leader ombra dei sindacati più importanti d’Italia, ovvero Gianfelice Rocca e Maurizio Landini, e sono carezze con le quali il presidente del Consiglio prova ogni giorno a segnalare la sua vicinanza alla parola rinnovamento e la sua volontà di far cambiare verso non solo alla sinistra ma anche a Confindustria e Cgil. Già, ma in che senso? E come si sta muovendo la squadra del premier per riuscire a rottamare la concertazione e a sostenere un nuovo metodo? Gli schemi sono due. Il primo riguarda l’universo del più grande sindacato dei lavoratori, dove Renzi ha scelto di triangolare con il capo della Fiom, Landini, per isolare Camusso e imporre un nuovo equilibrio all’interno della Cgil. Dal punto di vista numerico Camusso può contare ancora su un consenso che neanche Nardella a Firenze (i primi dati che arrivano dai congressi regionali dicono che la mozione Camusso ha raccolto il 97 per cento dei voti, dicono che l’avversario di Camusso, Giorgio Cremaschi, ha raccolto solo il 3 per cento dei consensi, dicono che l’emendamento Landini alla mozione Camusso ha raccolto tra il 12 e il 13 per cento e dicono che quando a maggio verrà celebrato il congresso nazionale non ci sarà gara per la segreteria, l’opposizione potrebbe raggiungere persino una quota inferiore al 20 per cento ottenuto all’ultimo congresso). I numeri dicono questo. Ma dal punto di vista politico il senso dello strano asse tra il capo della Fiom e il capo del Pd una sua spiegazione ce l’ha. E potrebbe portare a un risultato clamoroso. A Corso Italia, sede della Cgil, terrorizzati, la mettono così: “I numeri del congresso importano poco. Renzi e Landini, se vogliono, possono rompere l’unità del sindacato”.
    Rompere l’unità del sindacato significa non una scissione, non un tentativo di misurarsi fuori dal perimetro di Corso Italia (la Fiom ha 350 mila iscritti sui 6 milioni totali della Cgil) ma coincide con un processo più semplice: trattare autonomamente con il premier, scavalcare il segretario, non rispettare le decisioni del direttivo, promuovere un sistema di relazioni tra sindacalisti e governo sul modello dei sindacati di categoria americani, rottamare il modello confederale, dar vita a una primavera araba delle categorie dei sindacati (non solo della Fiom) e far sì che i capi dei sindacati (Cgil, Cisl e Uil) vedano perdere il proprio potere di veto giorno dopo giorno. Landini, rivendicando già da tempo un suo rapporto privilegiato con il capo del governo, al punto di trattare in prima persona con lui su alcuni dossier chiave (dagli ammortizzatori sociali alla rappresentanza dei sindacati nelle aziende), si muove già seguendo questo spartito. E il motivo per cui Renzi ha scelto di triangolare con un sindacalista che si trova su posizioni meno riformiste rispetto a quelle di Camusso è legato non solo alla volontà di coprirsi a sinistra ma anche di innescare un processo di revisione degli attuali equilibri sindacali. Un processo che – eccoci al secondo schema – somiglia molto a quello che Renzi sta provando a innescare anche in Confindustria. Ieri Squinzi ha cercato di non perdere contatto con Renzi e ha promesso che il suo sindacato sarà “sostenitore leale del governo”. Il sostegno di Squinzi però non cambia le carte in tavola e con Confindustria l’idea di Renzi è sempre la stessa: giocare di sponda con il fronte degli industriali ostili a Squinzi (la scelta di Guidi allo Sviluppo, che al congresso del 2012 appoggiò Bombassei, avversario di Squinzi, non è casuale), triangolare con il futuro rottamatore di Viale dell’Astronomia (Rocca, capo dell’Assolombarda, con cui Renzi ha un rapporto privilegiato), far emergere una Confindustria da combattere (quella dei sussidiati, che coincide con la Confindustria che rappresenta il mondo delle società pubbliche) e una da promuovere (quella dei tassati, che coincide con la Confindustria che dovrebbe rappresentare il mondo delle piccole e medie imprese). Con la Fiom, il terreno sul quale Renzi cercherà di giovarsi dello strano asse con Landini è doppio: contratto unico a protezioni crescenti e rafforzamento della contrattazione aziendale a discapito di quella collettiva. Con la Confindustria 2, invece, il terreno sul quale Renzi cercherà di giovarsi dell’asse con Rocca è un altro: sostegno al taglio dei sussidi pubblici in cambio di riduzione dell’Irap (a Palazzo Chigi parlano di un risparmio sui sussidi tra i 5 e gli 8 miliardi l’anno) e revisione del sistema degli ammortizzatori (Squinzi non vuole toccare la Cig, Rocca sì, e il governo entro aprile presenterà sul tema un disegno di legge). Ceffoni e carezze. Lo schema è quello. E sarà seguendo questo schema che Renzi proverà a trascinare il jpg. degli abbracci Squinzi-Camusso nella stessa cartellina in cui tempo fa è finita la foto di Vasto. Quella in basso a destra. Quella con su scritto la parola trash.

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    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.