La terza vita

Annalena Benini

Aveva fondato da poco l'Huffington Post, che portava il suo cognome (da sposata) e diventava a velocità supersonica uno dei siti più seguiti al mondo. Arianna Huffington aveva, nel 2007, cinquantasette anni, due figlie grandi, cinque BlackBerry sempre accesi, tacchi alti, sorriso da squalo gentile, un posto alto nelle classifiche delle persone più influenti del pianeta, una rete fittissima di relazioni e molte idee su come cambiare il giornalismo ed esserne la regina. “Stavo sdraiata sul pavimento del mio ufficio in una pozza di sangue. Lo spigolo della scrivania mi aveva tagliato un occhio e spaccato lo zigomo. Ero crollata per la stanchezza e la mancanza di sonno”, ha scritto Huffington nel suo nuovo libro.

    Aveva fondato da poco l’Huffington Post, che portava il suo cognome (da sposata) e diventava a velocità supersonica uno dei siti più seguiti al mondo. Arianna Huffington aveva, nel 2007, cinquantasette anni, due figlie grandi, cinque BlackBerry sempre accesi, tacchi alti, sorriso da squalo gentile, un posto alto nelle classifiche delle persone più influenti del pianeta, una rete fittissima di relazioni e molte idee su come cambiare il giornalismo ed esserne la regina. “Stavo sdraiata sul pavimento del mio ufficio in una pozza di sangue. Lo spigolo della scrivania mi aveva tagliato un occhio e spaccato lo zigomo. Ero crollata per la stanchezza e la mancanza di sonno”, ha scritto Huffington nel suo nuovo libro (esce oggi in America e Inghilterra): “Thrive: The Third Metric to Redefining Success and Creating a Life of Well-Being, Wisdom and Wonder”. Quel giorno, e nelle settimane a venire, nelle sale d’aspetto dei medici, in attesa di una Tac e di un’ecografia al cuore, la donna che incarna l’idea stessa di carriera ripensò al successo e si chiese: è questo? E’ così che ci si sente, ricche e potenti, con le ossa rotte e con il cuore gonfio? Come uno sgabello a due gambe (denaro, potere) che per un po’ può anche stare in piedi, ma prima o poi si ribalterà. Serve un terzo elemento, scrive Arianna Huffington nel libro della sua analisi finale sul successo femminile: un po’ di saggezza. Lei l’ha scoperto in età matura, dopo avere lavorato diciotto ore al giorno e sette giorni su sette per la maggior parte del tempo (ed è diventata una fanatica del sonno), ora vuole farne la terza rivoluzione femminista: dopo le suffragette che hanno combattuto per dare il voto alle donne, dopo Betty Friedan e Gloria Steinem, che hanno lottato per il ruolo femminile nella società (ed è una rivoluzione non ancora compiuta, scrive Huffington), ecco la consapevolezza che molte donne non vogliono arrivare in cima al mondo e restarci, perché si paga un prezzo troppo alto in termini di felicità, benessere, salute. Perché le persone che ci stanno accanto hanno bisogno di noi, e noi di loro. E perché un successo a due gambe non è quello che stiamo, davvero, cercando (Arianna Huffington, però, promuove questa battaglia e detta nuove regole per la felicità delle piccole cose dopo avere saziato, nei decenni trascorsi, la fame di carriera, dopo essere arrivata a guardare il mondo dall’alto). E’ un libro molto personale, è un inno all’amore e alla comprensione profonda di ciò che davvero ci serve: la giornalista, scrittrice, direttrice, orgogliosa del proprio naso e delle origini greche, racconta tutto ciò che le è servito per capire, e descrive il giorno in cui la madre, anziana e molto malata, pretese di andare con lei e sua sorella a fare la spesa, a comprare olive, formaggi, salumi, dolci greci per imbandire un pranzo sontuoso, con le figlie di Arianna, allora bambine, con la famiglia intorno. Fino a che cadde a terra, e non permise che nessuno l’aiutasse ad alzarsi. Volle aprire una bottiglia di vino rosso, un bicchiere per tutti, e le persone che aveva amato stettero accanto a lei, su quel pavimento, ad ascoltare e raccontare storie. Morì così, senza sprecare un istante. “Continuo a pensare a questa lezione”, scrive Arianna Huffington, che ha condiviso anche i problemi di droga di una delle figlie, laureata a Yale, per spiegare la necessità di trovare una connessione profonda con le vite degli altri. Smettere di ferire le nostre relazioni, la nostra felicità, dice. O almeno ascoltare la sveglia della vita vera, nei mille modi in cui suonerà.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.