• Si riduce il consenso politico per il numero uno delle Fs. S'affumano gli amici (dov'è D'Alema?). Ma se lascia, le ferrovie reggono?

Perché il ras delle rotaie Moretti è (quasi) rimasto da solo

Alberto Brambilla

Sono i giorni dell’abbandono per l’amministratore delegato delle Ferrovie dello stato Mauro Moretti? Sono pochi ad averlo appoggiato da venerdì scorso, quando ha minacciato le dimissioni qualora il governo dovesse davvero equiparare il compenso dei manager pubblici a quello del capo dello stato (per Moretti significa un decremento del 70 per cento del suo stipendio, da 873.666 euro a 248 mila annui). L’uscita incauta di un manager impulsivo come Moretti (“sarei pronto ad andarmene”) è rientrata poche ore dopo (“potrei farlo anche gratis ma i miei dirigenti devono essere adeguatamente pagati”, riportava il Corriere della Sera di ieri).

    Sono i giorni dell’abbandono per l’amministratore delegato delle Ferrovie dello stato Mauro Moretti? Sono pochi ad averlo appoggiato da venerdì scorso, quando ha minacciato le dimissioni qualora il governo dovesse davvero equiparare il compenso dei manager pubblici a quello del capo dello stato (per Moretti significa un decremento del 70 per cento del suo stipendio, da 873.666 euro a 248 mila annui). L’uscita incauta di un manager impulsivo come Moretti (“sarei pronto ad andarmene”) è rientrata poche ore dopo (“potrei farlo anche gratis ma i miei dirigenti devono essere adeguatamente pagati”, riportava il Corriere della Sera di ieri). Ma tanto è bastato per rivelare quanto il consenso politico attorno al manager della società a controllo pubblico si sia ridotto rispetto a qualche anno fa, quand’era considerato il “vero ministro dei Trasporti”. Per l’attuale titolare di quel dicastero, Maurizio Lupi, se Moretti vuole è libero di andare (“nessuno è indispensabile”, ha aggiunto ieri). Mentre il rivale Diego Della Valle, concorrente di Fs nell’alta velocità con Ntv, ne invoca le dimissioni. Così a difenderlo sono rimasti solo in quattro. Chi si è spellato le mani sulla tastiera del computer con messaggi di endorsement via Twitter è stato Fabrizio Barca, dirigente pubblico e personalità in cerca di un ruolo nel Pd. Pier Ferdinando Casini (Udc) ha esortato Moretti a non abbandonare il campo. Sarà, dicono i maligni, perché il suocero di Casini, il costruttore romano Francesco Gaetano Caltagirone, partecipa con una sua controllata, la Vianini Lavori Spa, alla vendita sul mercato di una quota di una costola di Fs, la Grandi Stazioni. Al contrario, ci si poteva aspettare dall’ex segretario del Pd, Guglielmo Epifani, e dalla Cgil di Susanna Camusso un attacco ai compensi paperoneschi, e invece dalla sinistra conservatrice s’è preferito un cauto sostegno a Moretti. D’altronde lui, al pari di Camusso, vorrebbe creare delle società uniche regionali per il trasporto pubblico. E poi in fondo Moretti è nato nella Cgil trasporti, che l’ha svezzato alla fine degli anni Ottanta. Ma dove sono gli amici del manager riminese dell’ala emiliana del Pd? Dove sono Pier Luigi Bersani e Vasco Errani? Gli uomini forti cui “è legatissimo” (dice Panorama) come Massimo D’Alema e Gianni Letta? E la simpatia del Quirinale? Renzi, poi, da sindaco di Firenze era affine al sistema Fs – la Busitalia, branch di servizi su gomma, rilevò la problematica società fiorentina del trasporto pubblico locale (Ataf) – ma da premier ha ritirato la candidatura di Moretti a ministro dello Sviluppo. Certo, non sarebbe stato facile per Renzi domarne il piglio decisionista ma per l’ingegner Moretti era l’occasione di diversificare un curriculum forgiato sulle rotaie e pensare a un futuro altrove. La realtà è che il “francescano”, come veniva chiamato un tempo per via del suo stile austero, in Fs si regge da solo. Moretti, amministratore delegato da otto anni e prima ancora capo di Rete ferroviaria italiana (Rfi), si è progressivamente sbarazzato di diversi dirigenti tenendo pochi fedelissimi in posti chiave, come Vincenzo Soprano (Trenitalia) e Michele Mario Elia (Rfi). E’ un plenipotenziario e “se domani mattina dovesse andarsene via – si dice tra addetti ai lavori – è alto il rischio che la struttura Fs imploda”. E’ sicuro di sé ai limiti dell’arroganza, ma tanto basta a vantarsi di avere portato Fs in utile e farlo pesare oggi alla presentazione del piano industriale a Milano.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.