Floris sfida il Bildungsroman coi suoi Backstreet Boys del Nomentano

Giovanni Choukhadarian

“E’ un romanzo di formazione, della tua formazione”. Quando, all’inizio di una delle efferate interviste, Fabio Fazio lo ha apostrofato così, il neoromanziere Giovanni Floris è stato costretto ad ammettere: “Tu lo dici”. Onest’uomo, il Floris: ma andrà subito chiarito che, essendo egli uno splendido quarantasettenne, la sua idea di Bildungsroman è del tutto in linea coi tempi. Prima di tutto, quindi, non si racconta la storia di un eroe, ma di un gruppo di persone. Via quindi subito i fantasmi irripetibili di un Martin Eden, di Bel Ami, di Hans Castorp o, più in piccolo, del Barbino di “Seminario della gioventù” del giovane Aldo Busi. Qui si narra di cinque giovanotti, dai tempi del ginnasio fino all’età adulta (erano cinque amici al bar, osserverebbe Gino Paoli, non incluso nella vasta colonna sonora del libro).

    “E’ un romanzo di formazione, della tua formazione”. Quando, all’inizio di una delle efferate interviste, Fabio Fazio lo ha apostrofato così, il neoromanziere Giovanni Floris è stato costretto ad ammettere: “Tu lo dici”. Onest’uomo, il Floris: ma andrà subito chiarito che, essendo egli uno splendido quarantasettenne, la sua idea di Bildungsroman è del tutto in linea coi tempi. Prima di tutto, quindi, non si racconta la storia di un eroe, ma di un gruppo di persone. Via quindi subito i fantasmi irripetibili di un Martin Eden, di Bel Ami, di Hans Castorp o, più in piccolo, del Barbino di “Seminario della gioventù” del giovane Aldo Busi. Qui si narra di cinque giovanotti, dai tempi del ginnasio fino all’età adulta (erano cinque amici al bar, osserverebbe Gino Paoli, non incluso nella vasta colonna sonora del libro). Anche i luoghi dell’azione sono meno disagevoli di quelli imposti dalla tradizione otto-novecentesca. Non più il collegio militare del giovane Törless, né la Stalingrado assediata di Romain Gary, ma i familiari paraggi del Nomentano, a Roma, che l’autore conosce così bene da dedicare lo scritto a una delle sue vie più note. Siccome poi il romanziere è un uomo Rai, egli sa quali sono i modi del racconto praticati dall’ente di stato. Non sarà perciò un caso se, come nelle serie da due puntate di maggior successo, i fatti sono raccontati in flashback. Il notaio Roberto Ranò, coetaneo di Floris e voce narrante, rinchiuso a Rebibbia in custodia cautelare, sta rendendo l’interrogatorio di garanzia a una pm così descritta: “Avrà sessantacinque anni. Bionda, capelli lunghi tirati in una coda. Calze a rete, gonna sopra il ginocchio, camicetta con le ruche in trina, stile vamp. Ma da dove l’hanno presa?”. Superato lo smarrimento, il professionista, coetaneo di Floris, prende a parlare e, incurante delle necessità giudiziarie, confessa la vita sua e del suo gruppo di amici. Il principale fra questi, al punto da intitolare il libro, è Marco Bonetti, regista candidato all’Oscar, anche lui ristretto in carcere. Bonetti, spiega il notaio all’inizio dell’interrogatorio, è capace, fin da ragazzo, di “sporgersi un paio di centimetri oltre il confine”, laddove Ranò ci si avvicina, ma si tiene sempre a distanza di qualche metro e al momento della verità arretra di qualche metro. Se qualche lettore pensasse che ci si sta spostando nei territori della linea d’ombra di Joseph Conrad, poche pagine più avanti cambia idea. Sotto il titolo piuttosto veltroniano di “Un pantheon”, alle pagine 33 e 34 compare una lista di squadre di calcio, con relative formazioni. Più avanti, a pagina 47, i capi d’abbigliamento; e poi, in fila, a pag. 65 la roba da mangiare, a pag. 75 i complessi punk e dark (abbastanza confusi, ma non si farà gli schizzinosi), a pag. 99 i grandi eventi della vita politica nazionale e internazionale, a pag. 113 i ricordi della vita da buon borghese romano degli anni Ottanta (dall’amaro Riccadonna a Karl Popper, passando per Fantozzi), per chiudere, a pag. 173, con Le trombe dell’Apocalisse. Per il notaio Ranò e il giornalista Giovanni Floris, Apocalisse sono, senza distinzione, la morte di Madre Teresa e quella di Lucio Battisti, “Pulp Fiction” e il web, Vladimir Putin e i Backstreet Boys. Et voilà, è questa la chiave d’accesso al romanzo: la mescolanza, il confortante minestrone di alto, medio e basso, scritto con una lingua piana, che sorride piacione, al modo dell’autore in quarta di copertina. Alla fine, quando si racconta il festino orgiastico che ha determinato l’arresto, scappa anche qualche parolaccia, che fa politicamente scorretto, ma non impegna. A pag. 213, dopo avere assistito a vent’anni di bighellonaggi dei signorini, il lettore è d’accordo con l’ultima battuta del regista Marco Bonetti: “Ora andiamo al mare”.