Non solo Lucchini. La sfilata dei cavalieri bianchi e pataccari

Alberto Brambilla

Sono decine i funzionari di esotiche aziende estere che in questi sei anni di recessione si sono presentati al ministero dello Sviluppo economico, dove si discutono le più rilevanti crisi aziendali d’Italia, con altisonanti piani industriali (farlocchi) e promesse (fallaci) di non licenziare nessuno. Ma un bluff come quello della Lucchini non si era ancora visto. Lunedì i tecnici del ministero hanno respinto l’assurda offerta d’acquisto dell’acciaieria più antica d’Italia da parte della holding tunisino-giordana Smc. Il progetto di investire la cifra monstre di tre miliardi di euro per rilevare gli impianti, salvare oltre duemila posti di lavoro, smaltire le scorie, tenere acceso l’anti economico altoforno di Piombino e costruire un polo alberghiero in Toscana era tutta una bufala.

    Sono decine i funzionari di esotiche aziende estere che in questi sei anni di recessione si sono presentati al ministero dello Sviluppo economico, dove si discutono le più rilevanti crisi aziendali d’Italia, con altisonanti piani industriali (farlocchi) e promesse (fallaci) di non licenziare nessuno. Ma un bluff come quello della Lucchini non si era ancora visto. Lunedì i tecnici del ministero hanno respinto l’assurda offerta d’acquisto dell’acciaieria più antica d’Italia da parte della holding tunisino-giordana Smc. Il progetto di investire la cifra monstre di tre miliardi di euro per rilevare gli impianti, salvare oltre duemila posti di lavoro, smaltire le scorie, tenere acceso l’anti economico altoforno di Piombino e costruire un polo alberghiero in Toscana era tutta una bufala. Alla Smc non sanno nemmeno cosa sia un tondino e hanno solo un milione di euro in cassa (la proposta era in contanti). La principale controllata del ramificato gruppo, la tunisina Med Food, produce ed esporta piatti pronti a base di carne. In Italia possiede una mini-azienda che fa componenti per microonde. Il suo fantomatico magnate Khaled al Habahbeh, giordano d’origine, dieci anni fa è stato arrestato negli Stati Uniti per truffa bancaria – un modo per ottenere prestiti – ed era già noto alle autorità per avere confezionato droghe sintetiche (sottoprodotti delle metanfetamine) i cui proventi – sospetta la Cia – finivano nell’orbita dei terroristi libanesi di Hezbollah, scriveva il Sole 24 Ore. E’ stata un’illusione, delle peggiori. Eppure il sindaco di Piombino, Gianni Anselmi, per mesi ha portato gli arabi in palmo di mano – a maggio ci sono le comunali e s’è già prenotato per dirigere l’autorità portuale. Identico l’entusiasmo dei sindacati, accecati dal miraggio della piena occupazione. I tecnici del Mise invece non hanno mai dato credito alla Smc. Intanto, però, la cordata italiana d’imprenditori siderurgici per rilevare pezzi della commissariata Lucchini s’è allontanata. Ci sono altre dieci offerte. Gli svizzeri di Klesch, in campo da un anno, latitano a presentare garanzie finanziarie.

    I casi di cavalieri bianchi inesistenti sono stati diversi, anche nel settore automobilistico. C’è stato sconcerto al Mise due anni fa, quando Qiu Kunjian, sedicente presidente del fondo Hotyork Investment, non si presentò all’incontro decisivo per soccorrere la boccheggiante fabbrica di auto di lusso De Tomaso. La società di Hong Kong prometteva 1,5 miliardi per l’azienda fondata da Gian Mario Rossignolo ma si trattava di un banale veicolo finanziario alle cui origini c’era una compagnia deputata alla creazione di holding schermo in paradisi fiscali. In Italia le trattative avevano visto coinvolta anche la boutique finanziaria dell’influente famiglia Segre, la piemontese Bim, e studi legali milanesi. Ma nulla di serio. Adesso alla De Tomaso il curatore fallimentare tratta con la britannica Lotus. Sempre i cinesi i “salvatori” degli impianti campani della Irisbus, gli autobus Fiat. Funzionari italiani portavano carte bilingui (ideogrammi con traduzione) a certificare un piano già concertato tra Mostafa Zeauddin Ahmad della Amsia Motor – che sul suo sito web pubblica solo immagini virtuali di concessionari e veicoli – e la Dongfeng Shiye Auto Industrial, a dir loro, una sussidiaria del colosso asiatico Dongfeng. Anche qui, una chimera. Ma il destino di 300 operai è tuttora legato ai cinesi, stavolta della King-Long. Che dire poi della riconversione dello stabilimento ex Fiat di Termini Imerese da parte dall’italiana Dr Motor? Con l’avallo dell’agenzia governativa Invitalia e il sostegno della politica siciliana, nel maggio 2012 il ben intenzionato imprenditore molisano Massimo Di Risio sgomitò per comprare la fabbrica in cambio di sgravi, ma si scoprì che era talmente indebitato da non potere neanche iniziare i lavori. Termini aspetta ancora.

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.