Difesa del governo
Storia del ministro che scorta Renzi nella caccia agli aerei americani
Renziana per convinzione razionale più che per “amor fou”, si è pian piano adeguata al modello “ministro della Difesa europeo”. In una ventina d’anni ha salito tutta la scala: consigliere comunale nella sua città, assessore, segretaria provinciale, parlamentare, presidente di commissione, sottosegretario, ministro
C’è una valle di montagna a cui Roberta Pinotti deve tutto: è lungo i sentieri delle Alpi Marittime e del Mercantour che il neoministro della Difesa si è persa per ritrovarsi, molti anni fa. La valle era lunga e stretta, il sole in alcune ore del giorno arrivava sbieco. Era quello che ci voleva d’estate, quello che serviva a una turista non di massa che ad agosto non va a pigiarsi con l’asciugamano in un quadretto di spiaggia libera, ma si inerpica su su per i boschi e le piccole pietraie, per andare a guardare panorami e magari pure pitture rupestri dell’eta del Bronzo (raffiguravano armi rudimentali, pugnali e alabarde, e chissà se era un segno del destino per la donna che si sarebbe occupata, un giorno, di eserciti, navi e aerei da combattimento).
Roberta Pinotti si era rifugiata lassù, con suo marito, in un’estate dei primi anni Novanta, per riprendere le forze dopo un periodo psicologicamente molto duro, come raccontò nel 2005 a Federica Fantozzi sull’Unità: la ricerca di un figlio che non arrivava (oggi Pinotti di figlie ne ha due), le cure mediche anti infertilità, il tentativo di fecondazione assistita cui si era sottoposta pur restando cattolica praticante (tentativo poi abbandonato), il dubbio sul futuro professionale (buttarsi o no sempre di più nella politica attiva in cui già militava da laureata in Lettere e ancora precaria insegnante?) e un’irrequietezza persistente.
Era proprio il mezzo del cammin della sua vita e Roberta Pinotti non sapeva bene che cosa fare. Ma la Valle delle Meraviglie, così si chiama il luogo dove riuscì improvvisamente a rasserenarsi, fece la magia: tornata a Genova, a settembre, Pinotti aspettava una bambina. E aveva deciso di fare politica nel vero senso della parola, tanto che nel giro di una ventina d’anni salirà tutta la scala: consigliere comunale nella sua città, assessore, segretaria provinciale, parlamentare, presidente di commissione, sottosegretario, ministro.
A quel tempo Pinotti aveva diretto al massimo dei gruppi scout e sperimentato così, soltanto in modo rudimentale, quella che poi chiamerà la propria “propensione al comando”, affinata successivamente nei panni di professoressa di liceo (“guardate gli occhi, sono ancora quelli che si sollevano dal registro per pronunciare il nome dello studente da interrogare”, dice scherzando un collega di partito). Fatto sta che all’inizio degli anni Novanta il tema militare e della “difesa” non solo non era comparso neppure all’orizzonte di casa Pinotti, ma neanche pareva uno dei temi passibili di approfondimento.
La giovane Roberta si occupava per lavoro e nel partito di Pubblica istruzione, e alla Difesa intesa come ambito d’azione politica ci arrivò dagli antipodi, e cioè dalla vicinanza alle associazioni pacifiste cattoliche che nei primi anni Duemila si preoccupavano di commercio d’armi. Chi le produce? chi le compra? per quali motivi? a quali condizioni di utilizzo?, erano le domande che le suddette associazioni ponevano agli allora Ds: ci vuole una legge, dicevano. Fu così che all’ingresso in Parlamento, con una bimba piccolissima da allattare negli sgabuzzini della Camera, Pinotti fu invitata a occuparsi di contenimento del commercio d’armi direttamente all’interno di una commissione – la commissione Difesa, appunto, come ha raccontato lei stessa alle “Invasioni barbariche”, qualche giorno fa.
E oggi c’è chi trasecola, tra i suoi amici di Areadem (la corrente pd che fa capo all’attuale ministro della Cultura Dario Franceschini, corrente mai abbandonata da Pinotti, renziana delle seconda ora): trasecolano all’idea che “Pinotti sia la donna di cui il Nobel Dario Fo scrive come fosse una guerrafondaia”, dice un amico in Senato. Dario Fo è stato infatti preso da incontenibile bizza al pensiero di un’“altra inchiesta” sugli F-35 (Pinotti, che ieri ha definito con i vertici del partito e del governo la linea da adottare sul tema, anche in vista dell’incontro di domani tra Matteo Renzi e Barack Obama, aveva parlato a Sky Tg24 di voler “attendere i risultati dell’indagine conoscitiva” del Parlamento prima di decidere eventuali riduzioni della flotta di cacciabombardieri, e nei giorni successivi ha detto: sospendiamo i pagamenti in attesa di indagini approfondite). Ma Fo era già partito con un’invettiva pubblicata dal Fatto. Una lunga lettera aperta in cui si citava addirittura il Pentagono come fonte di dubbi sul funzionamento di quelli che per Fo sono nient’altro che esosi “bidoni volanti” di produzione americana, roba che toglie indirettamente pane agli operai e rischia di essere “abbattuta da un fulmine”.
Pinotti vorrebbe invece prima attendere il Libro bianco sulla Difesa nel suo complesso (in preparazione) e indagare le ragioni eventuali dell’uso del cacciambombardiere stesso (qualcuno ci minaccia? e dove? e come ci si può difendere?), e solo dopo capire che cosa tagliare. Nel frattempo venderebbe più di trecento caserme (alcune possono essere “alberghi di lusso”, dice, facendo immaginare al cittadino meraviglie architettoniche nascoste e pure lunghi corridoi e fughe di porte che nemmeno l’hotel di “Shining”). Farebbe anche altro, per risparmiare, Pinotti, specie riconvertendo come cancellieri nel settore Giustizia i molti marescialli in esubero da quando la leva non è più obbligatoria, e però è sempre molto attenta a dire che tutti quei marescialli sono utilissimi, per carità, solo bisogna capire che a volte cambiano le priorità, e l’assetto dell’organico di conseguenza. In ogni caso Pinotti si trova a suo agio in mezzo a generali, parate e persino Frecce tricolori (ha fatto anche un volo di prova, morendo di paura), e capisce che la vita militare ha bisogno di tutta quella solennità.
Da quando si occupa di Difesa (circa dieci anni), Pinotti si è pian piano adeguata al modello “ministro della Difesa europeo”, e dice che non dovrebbe fare neppure notizia che questo ministro sia una donna, e che anzi chi lo fa notare tradisce un certo maschilismo (è accaduto quest’estate, a Radio2, durante “l’intervista cantata” a “Un giorno da pecora”: due intervistatrici canterine e una Pinotti ancora sottosegretario si erano allegramente scontrate sul tema, e Pinotti in kimono nero – o forse era una camicia, ma kimono pareva – si era divertita non tanto a parlare di Difesa quanto di ambizione: la sua). Sì, sono ambiziosa, ha sempre detto infatti il ministro a chi le ricordava l’accusa della sua ex avversaria (ma compagna di partito) alle primarie per sindaco di Genova Marta Vincenzi: era il 2012 e sia Pinotti sia Vincenzi erano state sconfitte da Marco Doria, ma Vincenzi si era poi scatenata su Twitter, adombrando “l’agitarsi di gruppi di potere dentro e a fianco del Pd”, rammaricandosi di “non aver dato una mazzata subito”. Pinotti è di ambizione “sfrenata”, aveva detto, solo che Pinotti la considera un pregio, la propria ambizione, se è diretta al “fare sempre meglio”. D’altronde questa è la disciplina del maratoneta, e il neoministro maratoneta lo è letteralmente (a New York ha percorso tutti i chilometri senza perdere colpi, in quattro ore e quarantanove minuti, e a Roma si sottopone agli allenamenti serrati suggeriti dal collega ministro dei Trasporti e alleato del Nuovo centrodestra Maurizio Lupi: alla mezza maratona Roma-Ostia Pinotti è comparsa in pole position, forte delle corse in zona Pincio, tutte le mattine alle sette e mezzo cascasse il mondo).
Renziana, come si diceva, Pinotti lo è per convinzione razionale più che per “amor fou”: si è convinta tardivamente e militarmente a sostenere l’ex sindaco di Firenze, tributando l’onore delle armi all’allora avversario di Pier Luigi Bersani alle primarie per la premiership del centrosinistra, nell’autunno del 2012. “Ha fatto un discorso della sconfitta senza pari, Renzi, e ha gestito da adulto” il disappunto, ha detto Pinotti all’indomani del giorno nero che avrebbe paradossalmente aperto a Renzi la strada della non lontana, futura vittoria per la segreteria del partito. Da allora Renzi è diventato per lei (nel frattempo sottosegretario alla Difesa con Enrico Letta) l’unica strada percorribile. Ma vallo a dire a Dario Fo.
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