Mafia e politica

Voto di scambio, il pasticcio chiodato fa gola a boss e pm

Giuseppe Sottile

Deve essere proprio una maledizione della giustizia italiana. Ogni qualvolta si parla di mafia il primo tentativo dei moralisti – o dei demagoghi o dei manettari – è quello di cancellare il sacrosanto principio della prova. Non si spiegherebbe altrimenti la predilezione delle procure più politicizzate per il concorso esterno. La formulazione molto vaga del reato consente a molti pubblici ministeri non tanto di applicare la legge quanto di interpretarla. E l’interpretazione, si sa, è per l’antimafia chiodata il più efficace strumento di interferenza politica.

    Deve essere proprio una maledizione della giustizia italiana. Ogni qualvolta si parla di mafia il primo tentativo dei moralisti – o dei demagoghi o dei manettari – è quello di cancellare il sacrosanto principio della prova. Non si spiegherebbe altrimenti la predilezione delle procure più politicizzate per il concorso esterno. La formulazione molto vaga del reato consente a molti pubblici ministeri non tanto di applicare la legge quanto di interpretarla. E l’interpretazione, si sa, è per l’antimafia chiodata il più efficace strumento di interferenza politica. Ormai lo sanno pure le pietre: se la definizione del reato non prevede una rigida e rigorosa cultura della prova, per un magistrato che voglia andare al di là del proprio ruolo sarà molto facile scambiare un “sentito dire” o “un odore di fritto” per qualcosa di corposo e criminalizzante. Non a caso è stata necessaria una sentenza a sezioni riunite della Corte di cassazione per delimitare finalmente, dopo oltre vent’anni di allegra gestione giudiziaria, i confini del concorso esterno in associazione mafiosa.

    Ma la lezione è servita a poco e per rendersene conto basta gettare uno sguardo al dibattito che si è riproposto in questi giorni tra i due rami del Parlamento a proposito del voto di scambio. O, meglio, sulla nuova formulazione del articolo 416 ter del codice penale. Da un lato c’è il fronte giustizialista per il quale è sufficiente il sospetto di una semplice promessa elettorale per inchiodare un uomo politico all’ipotesi di avere beneficiato del voto mafioso. Dall’altro lato c’è il fronte garantista che giudica la formulazione della norma a dir poco incostituzionale: se non è provata la consapevolezza, da parte dell’uomo politico, di avere avviato uno scambio con i mafiosi e non c’è la prova che lo scambio sia poi effettivamente avvenuto, tutto diventa vago e impalpabile, dunque discrezionale. E basterà il riferimento di un picciotto o di un boss a una promessa, fatta chissà quando e chissà dove, per attivare una procura e mettere in moto un’inchiesta capace di squinternare una legittima carriera o una legittima ambizione. “Un’arma impropria nelle mani di chi vuole paralizzare ogni attività politica, soprattutto al sud”, ha avvertito ieri Renato Brunetta che sa bene e da molti anni quali sono i metodi di certa magistratura italiana.

    Il capogruppo di Forza Italia non si è limitato a definire il testo “eversivo”. Ha anche annunciato la presentazione di oltre mille emendamenti: un roccioso ostruzionismo, con il quale il centrodestra spera di costringere il Pd e i grillini a restringere le vaghezze dell’ipotesi di reato e ad assegnare concretezza allo scambio di favori tra la politica e le cosche.

    La riformulazione del 416 ter torna alla Camera dopo un passaggio al Senato che, secondo Brunetta, è stato devastante. Il testo, approvato dai deputati nel luglio del 2013, aveva ottenuto un consenso unanime, anche da parte del Pd, e ancorava il reato a un testo che dava uno spazio quasi nullo al gioco dell’intepretazione: “Chiunque accetta consapevolmente il procacciamento di voti con le modalità previste dal secondo comma dell’articolo 416 bis in cambio dell’erogazione di denaro o di altra utilità, è punito con la reclusione da quattro a dieci anni”. Ma il Senato, sull’onda di nuove emotività e, anche di una nuova competizione a sinistra, in particolare tra Pd e M5s, ha finito per dare fiato e spazio al trombonismo moralista: ha eliminato l’avverbio “consapevolmente” e ha introdotto l’inafferrabilità della promessa: “Chiunque accetta la promessa di procurare voti mediante ecc. ecc.”.

    Per bloccare “l’eccessiva e inammissibile estensione della fattispecie di reato”, sostiene Brunetta, il provvedimento deve tornare in commissione. A suo avviso la norma, così come è venuta fuori dal Senato, non serve a combattere né la corruzione né le collusioni tra mafia e politica. Anzi, regala ai mafiosi un potere in più, quello di sputtanare ed eliminare per via giudiziaria  qualche uomo politico non gradito; e ai magistrati un più agile strumento di interferenza nella vita dei partiti e delle istituzioni. “Anche il Pd ha delle perplessità su questa legge”, ha sottolineato il capogruppo di Forza Italia, “ma non lo dice per timore del partito di Repubblica e di Roberto Saviano. E questa è pura ipocrisia”.

    • Giuseppe Sottile
    • Giuseppe Sottile ha lavorato per 23 anni a Palermo. Prima a “L’Ora” di Vittorio Nisticò, per il quale ha condotto numerose inchieste sulle guerre di mafia, e poi al “Giornale di Sicilia”, del quale è stato capocronista e vicedirettore. Dopo undici anni vissuti intensamente a Milano, – è stato caporedattore del “Giorno” e di “Studio Aperto” – è approdato al “Foglio” di Giuliano Ferrara. E lì è rimasto per curare l’inserto culturale del sabato. Per Einaudi ha scritto anche un romanzo, “Nostra signora della Necessità”, pubblicato nel 2006, dove il racconto di Palermo e del suo respiro marcio diventa la rappresentazione teatrale di vite scellerate e morti ammazzati, di intrighi e tradimenti, di tragedie e sceneggiate. Un palcoscenico di evanescenze, sul quale si muovono indifferentemente boss di Cosa nostra e picciotti di malavita, nobili decaduti e borghesi lucidati a festa, cronisti di grandi fervori e teatranti di grandi illusioni. Tutti alle prese con i misteri e i piaceri di una città lussuriosa, senza certezze e senza misericordia.