Urne di fuoco in Turchia
Erdogan chiude anche YouTube (colpa di un leak su piani di guerra in Siria)
Ieri l’Authority per le telecomunicazioni della Turchia ha bloccato l’accesso nazionale al sito YouTube, che consente di vedere gratis milioni di video su internet. Il provvedimento d’emergenza ordinato dal governo turco arriva una settimana dopo il blocco di Twitter, uno dei social media più usati al mondo, e a soli due giorni da elezioni locali che sono considerate un test sulla popolarità del primo ministro Recep Tayyip Erdogan. L’interruzione forzata di YouTube è arrivata dopo che qualcuno ieri mattina ha caricato sul sito la registrazione audio di un incontro tra alcuni degli uomini più importanti di Erdogan che discutono la possibilità di cominciare operazioni militari contro lo Stato islamico in Siria.
Ieri l’Authority per le telecomunicazioni della Turchia ha bloccato l’accesso nazionale al sito YouTube, che consente di vedere gratis milioni di video su internet. Il provvedimento d’emergenza ordinato dal governo turco arriva una settimana dopo il blocco di Twitter, uno dei social media più usati al mondo, e a soli due giorni da elezioni locali che sono considerate un test sulla popolarità del primo ministro Recep Tayyip Erdogan. L’interruzione forzata di YouTube è arrivata dopo che qualcuno ieri mattina ha caricato sul sito la registrazione audio di un incontro tra alcuni degli uomini più importanti di Erdogan che discutono la possibilità di cominciare operazioni militari contro lo Stato islamico in Siria. Tra i presenti alla seduta ci sono il direttore dei servizi segreti turchi, Hakan Fidan – considerato un fedelissimo del primo ministro e uno degli uomini più influenti della regione – il ministro degli Esteri Ahmet Davutoglu e il vicecapo di stato maggiore Yasar Güler. Erdogan è impegnato nelle tappe finali di un tour di comizi di enorme successo per il voto di domenica e dal palco dice che la diffusione su internet di quella registrazione è un attacco alla sicurezza nazionale e che alcune parti sono state manipolate. Davutoglu dice che “è un atto di guerra”. Lo Stato islamico è un gruppo militare con migliaia di combattenti che si è staccato dalla leadership centrale di al Qaida e ora controlla grandi aree dell’Iraq e della Siria. Il capo dello Stato islamico è un ex professore di Teologia iracheno, Abu Bakr al Baghdadi, che di fatto esercita sul nord-est della Siria e sul nord-ovest dell’Iraq – entrambe aree che confinano con la Turchia – il potere di uno stato non ancora dichiarato.
Due settimane fa la Turchia ha minacciato una rappresaglia militare contro lo Stato islamico, che aveva annunciato in un video un attacco alla tomba di Suleyman Shah, nonno di Osman primo, fondatore dell’impero ottomano. La tomba è un piccolo lembo di territorio turco su territorio siriano, a poca distanza dal confine ed è costantemente sorvegliata da una ventina di soldati delle forze speciali. In tempi normali sarebbe soltanto una curiosità diplomatica, ma ora lo Stato islamico vuole attaccarla – perché le tombe sono venerate e la loro esistenza incoraggia la popolazione a violare il principio cardine del monoteismo: soltanto Dio può essere venerato.
Nella registrazione illegale una voce che è stata collegata al sottosegretario degli Esteri, Feridun Sinirliogu, dice che un’operazione militare contro lo Stato islamico “avrebbe legittimità internazionale. Li definiremo come al Qaida, su questo non ci sono discussioni”. La presunta voce del capo dei servizi commenta che “la giustificazione per un’operazione può essere creata. Quello che importa è creare la volontà”.
La Turchia è il primo paese a parlare di operazioni militari contro lo Stato islamico, evoluzione diretta del gruppo che combatté contro i soldati americani in Iraq. Il 20 marzo tre europei dello Stato islamico di origini balcaniche con mitra e granate hanno ucciso tre persone in uno scontro a fuoco a un posto di blocco nella regione di Nigde. Fino a oggi la Turchia ha funzionato come una retrovia per il gruppo, che in Siria combatte allo stesso tempo contro il regime del presidente Bashar el Assad e contro i ribelli. Ora secondo fonti d’intelligence citate dal sito al Monitor ha un piano per attaccare bersagli dentro il paese. A gennaio l’esercito turco sul confine ha cannoneggiato un convoglio dello Stato islamico in Siria uccidendo un comandante, Abu Jaffar al Daghestani – dal Daghestan.
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