Twitter e la politica. Come si conquista il consenso? Una lezione per il Pd

Claudio Cerasa

Sara Bentivegna insegna Teorie delle comunicazioni di massa all’Università la Sapienza di Roma e ha appena pubblicato con l’editore Franco Angeli un libro (“La politica in 140 caratteri”) in cui ha provato a mettere insieme tutto quello che è utile sapere sul rapporto tra la parola “politica” e la parola “Twitter”. Bentivegna descrive l’impatto che il secondo social network più famoso del mondo ha avuto all’interno della comunicazione elettorale, racconta le reazioni a catena generate dai flussi comunicativi su Twitter, spiega come in alcuni casi gli “influencer” della rete siano diventati eredi dei vecchi opinion leader.

    Sara Bentivegna insegna Teorie delle comunicazioni di massa all’Università la Sapienza di Roma e ha appena pubblicato con l’editore Franco Angeli un libro (“La politica in 140 caratteri”) in cui ha provato a mettere insieme tutto quello che è utile sapere sul rapporto tra la parola “politica” e la parola “Twitter”. Bentivegna descrive l’impatto che il secondo social network più famoso del mondo ha avuto all’interno della comunicazione elettorale, racconta le reazioni a catena generate dai flussi comunicativi su Twitter, spiega come in alcuni casi gli “influencer” della rete siano diventati eredi dei vecchi opinion leader, indaga sul modo in cui Twitter ha innescato alcuni meccanismi significativi sia all’interno dell’informazione su carta sia all’interno dell’informazione televisiva, approfondisce il modo in cui la forza di un politico si misura ormai anche dalla sua capacità di saper dettare l’agenda con un tweet e aiuta l’osservatore a individuare tre grandi fasi che costituiscono il cuore dell’attività su Twitter di un politico: la fase delle promozione (dove il politico si preoccupa di promuovere qualcosa che lo riguarda), la fase dell’informazione (dove il politico si preoccupa di fidelizzare i propri follower offrendo informazioni che lo riguardano), la fase della conquista (dove il politico si preoccupa di attivare un’emozione per attirare verso il suo profilo nuovi follower, e nuovi potenziali elettori). Bentivegna non arriva a dire che, politicamente parlando, esista una relazione diretta tra chi è popolare su Twitter e chi è popolare nel paese – e se così fosse, in fondo, un leader come Nichi Vendola (410 mila follower) dovrebbe valere almeno la metà di un leader come Matteo Renzi (1 milione di follower), dovrebbe contare tre volte tanto Angelino Alfano (176 mila follower) dovrebbe avere un peso politico simile a quello di François Hollande (600 mila follower) o di Nicolas Sarkozy (470 mila follower) e alle ultime elezioni avrebbe dovuto prendere più o meno i voti che ha conquistato Pier Luigi Bersani (386 mila follower). Il ragionamento della professoressa ci porta a una conclusione diversa: non è detto che essere popolari su Twitter significhi essere automaticamente molto popolari nel paese; è vero invece che non riuscire a essere popolari su Twitter, per un politico, è la spia di un problema più grande: non avere in tasca gli strumenti giusti per conquistare consenso. Ci permettiamo di azzardare un assioma: la capacità di utilizzare Twitter è direttamente proporzionale alla capacità di conquistare follower in uno spazio diverso dalla rete. E volendo fare un passo in avanti si potrebbe dire che la riflessione si inserisce all’interno di un filone di pensiero che riguarda la questione della personalizzazione della politica. Le esperienze delle ultime campagne elettorali sembrano essere lì a dimostrare che la vera forza di un leader si misura attraverso la sua capacità di consegnare al partito un valore aggiunto, un plusvalore, che possa essere un elemento in più rispetto al voto che quel partito sarebbe in grado di prendere a prescindere dal leader (e il fatto che Bersani abbia un quarto dei follower di Grillo è un indizio che sembrerebbe confermare la tesi). In questo ragionamento, Twitter c’entra nel senso che lo si può considerare un termometro utile a calcolare non solo l’abilità di un politico a misurarsi con la velocità dei processi comunicativi, o a dettare l’agenda con un tweet, ma anche la sua capacità di conquistare voti e di essere popolare. Soprattutto in quella fascia di elettori-follower maggiormente rappresentata nell’universo di Twitter (gli utenti attivi su Twitter, fonte AudiWeb, in Italia sono circa 1,9 milioni con un’età media di 24 anni). Parafrasando Bentivegna si può dire che un leader che vuole dare un plusvalore al suo partito non può non essere in grado di conquistare follower su Twitter. E volendo fare un altro passo in avanti si potrebbe dire qualcosa di più: non riuscire a conquistare follower è un indizio sufficiente a comprendere la propria incapacità a dare un valore aggiunto al proprio partito e non riuscire a giocare con i flussi di Twitter è un indizio sufficiente a mostrare la trasformazione di un progetto politico in una gioiosa macchina da guerra. Citofonare, per credere, a Beppe Grillo. Citofonare, per credere, soprattutto a Pier Luigi Bersani.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.