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Gender a scuola, ecco quelli che non ci stanno
Nuova puntata del giallo dell'anno: chi ha autorizzato l'Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali diretto da Marco De Giorgi, a commissionare (a spese dei contribuenti) e a diffondere tra gli insegnanti di ogni ordine e grado i tre opuscoli intitolati “Educare alla diversità a scuola”? Da quei rozzi prodotti dell'ideologia del gender travestiti da strumenti di lotta all'omofobia, si sono dissociati più volte i due ministeri interessati alla faccenda, nelle persone dell'ex sottosegretario alle Pari opportunità, Maria Cecilia Guerra, e di Gabriele Toccafondi, tuttora sottosegretario del Miur. Non eravamo nemmeno stati informati, hanno ripetuto in più occasioni.
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Nuova puntata del giallo dell’anno: chi ha autorizzato l’Unar, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali diretto da Marco De Giorgi, a commissionare (a spese dei contribuenti) e a diffondere tra gli insegnanti di ogni ordine e grado i tre opuscoli intitolati “Educare alla diversità a scuola”? Da quei rozzi prodotti dell’ideologia del gender travestiti da strumenti di lotta all’omofobia, si sono dissociati più volte i due ministeri interessati alla faccenda, nelle persone dell’ex sottosegretario alle Pari opportunità, Maria Cecilia Guerra, e di Gabriele Toccafondi, tuttora sottosegretario del Miur. Non eravamo nemmeno stati informati, hanno ripetuto in più occasioni.
Negli opuscoli si sostiene, tra le altre perle, che “i tratti caratteriali, sociali e culturali, come il grado di religiosità, costituiscono fattori importanti da tenere in considerazione nel delineare il ritratto di un individuo omofobo”; mentre, tra i consigli agli insegnanti di scuola elementare, c’è quello di non alludere mai al fatto “che un bambino da grande si innamorerà di una donna”. Niente di strano, quindi, se associazioni come la Manif pour tous Italia, che riuniscono genitori determinati a non consegnare i propri figli ai campi di rieducazione del Minculpop Lgbt, hanno deciso di lanciare una raccolta di firme per chiedere le dimissioni del direttore dell’Unar, Marco De Giorgi. Il quale, risentito, ha scritto una letteraccia a CitizenGo, un sito che ha rilanciato l’appello della MptI, chiedendone “l’immediata cancellazione”. Rimane il fatto che la diffusione dei libretti è stata per ora sospesa. Segno che il problema c’è, grande come una casa, e che la vicenda non è affatto chiarita, soprattutto sul punto delle competenze dell’Unar e dei poteri del suo direttore.
Non ha però ancora avuto risposta l’interpellanza con cui i senatori Carlo Giovanardi, Maurizio Sacconi, Roberto Formigoni, Luigi Compagna, Federica Chiavaroli e Laura Bianconi hanno chiesto al governo lumi sulla genesi dell’iniziativa “Educare alla diversità”. Mentre una risposta è stata data all’ennesima interpellanza presentata alla Camera sul caso Unar. L’hanno sottoscritta una cinquantina di deputati di diverse formazioni politiche, e vi si chiede, hanno spiegato in una conferenza stampa i deputati Alessandro Pagano ed Eugenia Roccella, quale sia il ruolo e la competenza dell’Unar che, senza essere stato mai autorizzato “né dal ministero dell'Istruzione, né dal ministero delle Politiche sociali, è entrato nelle scuole, anche primarie, promuovendo la cosiddetta ‘ideologia del gender’, tramite progetti educativi extracurricolari e piani formativi realizzati ad hoc, senza alcun coinvolgimento o assenso dei genitori che, secondo la Costituzione, sono titolari della piena responsabilità educativa dei figli”. La risposta del governo ha confermato solo quel che si sapeva già: dall’operazione “Educare alla diversità”, concepita per le scuole, sono state arbitrariamente escluse le associazioni famigliari, in barba a quanto lo stesso Miur prescrive in tema di coinvolgimento dei docenti e delle famiglie: le 29 associazioni selezionate per contribuire al progetto, appartengono tutte al mondo Lgbt. Ieri è stata anche presentata una proposta di legge, a prima firma Roccella, sulla libertà di educazione nelle scuole e sulla condivisione del progetto educativo tra scuola e famiglia, perché i genitori non debbano trovarsi nuovamente di fronte a sgradevoli fatti compiuti. Sembrava ovvio, non lo è più.
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