Dio è morto, ma in mano ai filosofi si rifà vivo in politica

Alfonso Berardinelli

Dio non parteggia, si tiene da parte. In società, nelle assemblee, in guerra, nelle controversie di confine, nei tribunali, Dio tace. Ci sono le sacre scritture. Ma sono tante e varie e quasi sempre scritte in stile poetico, allegorico, figurale, mitologico, profetico. Di qui quell’attività chiamata ermeneutica la quale, forse va detto, nella sua onesta serietà, ha qualcosa di ridicolo. Lo è quando lavora sulla letteratura profana e si chiede: “Che cosa voleva dire lo scrittore?”. Lo scrittore, dato che è uno scrittore, voleva dire quello che ha detto, proprio come lo ha detto. E quando si tratta di libri sacri (ispirati da Dio) chiedersi che cosa voleva dire Dio guidando la mano del suo amanuense, è ancora più ridicolo. Se è ambiguo, ambivalente, polivalente, fantasioso e oscuro, vuol dire che così voleva essere. Guai a chi vuole dirci con certezza indiscutibile che cosa pensa Dio e che cosa vuole da noi.

    Dio non parteggia, si tiene da parte. In società, nelle assemblee, in guerra, nelle controversie di confine, nei tribunali, Dio tace. Ci sono le sacre scritture. Ma sono tante e varie e quasi sempre scritte in stile poetico, allegorico, figurale, mitologico, profetico. Di qui quell’attività chiamata ermeneutica la quale, forse va detto, nella sua onesta serietà, ha qualcosa di ridicolo. Lo è quando lavora sulla letteratura profana e si chiede: “Che cosa voleva dire lo scrittore?”. Lo scrittore, dato che è uno scrittore, voleva dire quello che ha detto, proprio come lo ha detto. E quando si tratta di libri sacri (ispirati da Dio) chiedersi che cosa voleva dire Dio guidando la mano del suo amanuense, è ancora più ridicolo. Se è ambiguo, ambivalente, polivalente, fantasioso e oscuro, vuol dire che così voleva essere. Guai a chi vuole dirci con certezza indiscutibile che cosa pensa Dio e che cosa vuole da noi. Capirlo (se lo si vuole) è un compito al quale nessuno personalmente dovrebbe sottrarsi. La regola del gioco, per quanto impegnativa e rischiosa, è proprio questa. Se non ci si mette in spirito di verità, se non ci si chiarisce cosa significa spirito di verità, non c’è modo di sintonizzarsi con il bene supremo.
    Vengo visitato da questi pensieri, che sospetto non essere neppure miei, mentre cerco di spiegarmi che cos’è mai la Teologia politica, come è nata, chi l’ha inventata e perché oggi ne discutono tanto proprio coloro che non credono che Dio esista. (Siamo ancora a questo punto? Certo che esiste. Certo che non esiste. E’ personale, è impersonale, è immanente, è trascendente, è nella Natura, è fuori della Natura. Lui fa una cosa è l’altra ogni volta che lo ritiene opportuno, secondo con chi ha a che fare e secondo le circostanze).

    Teologia è discorso su Dio. Come si fa a discorrere di Dio? Sia chiaro, il biblista non è il teologo. Il teologo può usare le scritture, ma vuole (o pretende di) andare oltre le scritture con la forza speculativa e magari ispirata del suo raziocinio. Si può parlare di Dio se non ci si crede? Credo di no, pur non sapendo bene che cosa si intende per credere e fede quando se ne parla. Non c’è prova dell’esistenza di Dio né prova del contrario. C’è solo vederlo o non vederlo. Per coloro per i quali esiste, deve essere anche visibile, tangibile, udibile ecc. Non però traducibile in un sistema di proposizioni razionalmente connesse da cui si possa univocamente dedurre la cosa giusta da fare in tutti i casi. Dio non abolisce la pluralità del mondo, l’ha fatta lui e ci deve essere una ragione. Il rapporto con Dio può essere testimoniato nel modo in cui si vive, non può essere amministrato razionalmente in una serie di enunciati. Chi lo fa, fa politica usando Dio. Però è meglio, è più istruttivo quando è Dio a fare politica usando noi e gli altri, a nostra insaputa, per farci riflettere.

    Qualcuno pensa che Dio abbia fatto politica creando un mondo fuori di sé (è davvero fuori di lui?) e articolandosi in Trinità. Ha fatto politica attraverso coloro che ne hanno parlato in suo nome litigando e lottando gli uni con gli altri… Non si può negare che parlare di Dio sia appassionante, esasperante, edificante e perfino divertente.

    Tra le cose divertenti c’è il fatto che oggi diversi filosofi ex marxisti, ex nietzscheani ed ex altro si sono messi a giocare con la teologia per essere più presenti in politica, anzi cercando di “trascenderla” per sentirsi “uomini superiori” dotati di speciali carismi intellettivi. Come se i politici fossero tipi da ubbidire ai filosofi che gli fanno lezione alzando il tono. 

    Carl Schmitt, che sotto Hitler (sì, sotto, non sopra!) fu presidente dell’associazione dei giuristi nazionalsocialisti, nel 1922 pubblicò il suo libro “Teologia politica” e spiegò che in politica ciò che conta  non è la “norma” ma “chi” decide. Perché la norma operi ci deve essere una decisione “sovrana” e perciò alla base della costituzione, secondo  Schmitt, ci deve essere il Führer, il capo, il boss, il motore immobile, intoccabile, indiscutibile che fa muovere la macchina giuridica. Nei regimi democratici la sovranità appartiene al popolo che la esercita… eccetera. Ma come prenda la parola il popolo, come esprima la sua volontà, chi è e chi sono coloro che gli danno voce, resta sempre un problema un poco aperto. Anche secondo Stalin e Hitler era il popolo a prendere la parola attraverso la loro persona. E naturalmente c’erano intellettuali che grazie a una grande teorizzazione (quella di Marx) o a una loro più piccola teoria (Schmitt) credevano di usare il dittatore per scopi superiori.
    Schmitt, come si ricava dalle sue risposte al processo di Norimberga, si sentiva superiore a Hitler e al nazionalsocialismo a cui era invece innegabilmente asservito: asservito per ambigua fede. Riporto queste poche battute dell’interrogatorio.

    Pubblica accusa: “Non ha forse detto che la legislazione e la giustizia tedesche dovevano essere pervase di spirito nazionalsocialista? Sì o no? Non ha forse detto questo fra il 1933 e il 1936?”.
    Carl Schmitt: “Sì. Dal 1935 al 1936 ero alla guida dell’Associazione dei giuristi. Sentendomi superiore, intendevo dare un senso mio personale al termine nazionalsocialismo”.
    P. A.: “Hitler aveva un nazionalsocialismo e lei ne aveva un altro?”.
    C. S.: “Mi sentivo superiore”.
    P. A.: “Si sentiva superiore a Adolf Hitler?”.
    C. S.: “Infinitamente, dal punto di vista intellettuale. Il personaggio è così privo di interesse, che preferisco non parlarne”.

    Penso che agli uomini che fanno politica sentendosi “infinitamente superiori” ai leader politici “dal punto di vista intellettuale” sia molto utile, se non indispensabile, tenersi in serbo un’arma segreta, a volte esibita, come la teologia politica.

    Metto da parte Schmitt e vengo all’Italia. Paolo Flores d’Arcais, esistenzialista ateo e razionalista laico che non ha vita facile fra i teologi politici attuali, ha voluto fare un brutto scherzo a due suoi amici filosofi, Roberto Esposito e Massimo Cacciari, organizzando per loro su MicroMega un dialogo intorno alla teologia politica, a cura di Adriano Ardovino. Mi pare che l’animus di Flores sia chiaramente espresso nella didascalia redazionale che annuncia un tale dialogo: “E’ ora di farla finita con la teologia politica oppure i nostri conti con la metafisica e la teologia sono ancora aperti?”.

    Non c’è dubbio che per Flores, allievo di Lucio Colletti, che più antimetafisico non si può, sarebbe ora (da tempo) di farla finita con la teologia politica. Però vuole vedere come se la cavano, messi un po’ alle strette, i due sodali, soprattutto Cacciari, voracissimo mangiatore di ogni problematica finale, fatale e superiore. Che cosa c’è di superiore a Dio? Niente, per questo lo snob spirituale frequenta teologicamente Dio, perché lo trova gerarchicamente insuperabile, anche se ci crede poco.
    Il risultato del dialogo è imbarazzante. I dialoganti non riescono neppure a spiegare con un minimo di chiarezza per il lettori della rivista cos’è teologia politica. Alla fine sembra che tutto sia teologia, sia la politica che l’economia e anche la tecnica: con il che, il problema non è risolto ma annullato. Consiglio la lettura di quelle pagine a chiunque sia in vena di confondersi le idee, sentendosi nello stesso tempo superiore alla politica e politicamente indispensabile.

    Di questo breve articolo segnalo, pro memoria, solo due cose. Una è la cosa che vibratamente afferma Cacciari, l’altra è una cosa sensatamente provocatoria che Esposito trova il coraggio di obiettare a Cacciari (noto per essere uno a cui nessuno obietta niente, dato che parla filosoficamente facendosi capire poco perfino dai colleghi). Egli esprime così i suoi propositi e sentimenti: è necessario “cercare di vedere, e chiaramente di ascoltare, per quanto è possibile, anche l’in-audito. E questa, tra le altre, è una lezione che ci viene da Nietzsche e da Heidegger (…) L’importante è comprendere che nessuno desidera restaurare teologie politiche. Ma anche che nessuno può pensare che i nostri ‘conti’ con la metafisica e la teologia siano finiti”.

    Il lettore può chiedersi se abbia senso, se sia possibile e cosa significhi “cercare di vedere e chiaramente ascoltare” l’in-audito. Quale e dove? Siamo in cielo, in terra o in ogni luogo? E una volta audito l’inaudito, in quale lingua ce lo comunicherà Cacciari, nella lingua filosofica patchwork o arcimboldesca in cui comunemente scrive? Vale la pena udire, se poi si deve tradurre questo in termini inauditi e non udibili come degli ultrasuoni filosofici?

    Interessante notare che Cacciari si rifugia in quelle formule dopo che Esposito gli ha chiesto, provocandolo, se lui quando dice certe cose le dice “a titolo personale” o sta citando qualche altro filosofo. E se cita altri, perché non lo segnala più distintamente? A questa richiesta, dall’interrogato non viene risposta.

    Mi pare che la metafisica e la teologia servano oggi ai filosofi perché sono inesauribili, il vero pozzo senza fondo da cui ricavare sempre nuovi discorsi. In verità, l’occidente la metafisica l’ha persa nel corso del Settecento facendo materialisticamente un buon affare, guadagnandoci il capitalismo, il benessere, l’idea di progresso e forse di paradiso in terra. Tornare indietro non è possibile. Neppure i filosofi con le loro ambizioni sono onnipotenti.