Storia di Nomfup, Alastair Campbell della Rottamazione

Marianna Rizzini

L’uomo ha un nome in codice, Nomfup, ma ormai il nome in codice ha inglobato totalmente il nome vero, Filippo Sensi, capoufficio stampa del Pd e plenipotenziario comunicatore presso il premier Matteo Renzi (nonché inventore pirotecnico ma serafico di slide, come raccontano i testimoni che hanno assistito al preludio della conferenza stampa dell’esordio). “Se lo dice Nomfup è Cassazione”, dice Renzi, chiamandolo come tutti lo chiamano su Twitter, tanto s’è fatto nome d’arte il nome il codice. Nomfup, dunque, nome di Sensi e del blog di Sensi e acronimo che sta per “Not my fucking problem”, intercalare reso storico della serie tv inglese “The thick of it”, ambientata in un mondo grottesco di spin doctor politicamente scorretti e non sempre all’altezza della situazione – tranne uno, il cattivissimo e irresistibile Malcolm Tucker.

    L’uomo ha un nome in codice, Nomfup, ma ormai il nome in codice ha inglobato totalmente il nome vero, Filippo Sensi, capoufficio stampa del Pd e plenipotenziario comunicatore presso il premier Matteo Renzi (nonché inventore pirotecnico ma serafico di slide, come raccontano i testimoni che hanno assistito al preludio della conferenza stampa dell’esordio). “Se lo dice Nomfup è Cassazione”, dice Renzi, chiamandolo come tutti lo chiamano su Twitter, tanto s’è fatto nome d’arte il nome il codice. Nomfup, dunque, nome di Sensi e del blog di Sensi e acronimo che sta per “Not my fucking problem”, intercalare reso storico della serie tv inglese “The thick of it”, ambientata in un mondo grottesco di spin doctor politicamente scorretti e non sempre all’altezza della situazione – tranne uno, il cattivissimo e irresistibile Malcolm Tucker. Sensi è quanto di più lontano da Tucker possa esistere nei modi, ma anche quanto di più autoironico e inconsapevolmente dissacrante possa aggirarsi tra i professionisti della comunicazione politica, tradizionalmente irraggiugibili (a Roma c’è chi ancora ricorda, non senza ansia, il ciglio sollevato del portavoce di Andreotti, ma c’è pure chi tuttora trema al pensiero di dover cercare D’Alema, per timore reverenziale di Daniela Reggiani). Sensi invece è l’ultimo grado di separazione da Palazzo Chigi: non distante, non scostante, uno di noi, uno di voi, uno che traduce per i follower su Twitter il mondo di vertici bilaterali e G7 in cui ora si aggira come un bimbo nei paesi dei Balocchi, anche se nella sua carriera di vice capo comunicazione presso Francesco Rutelli e sotto la scuola di quello che lui chiamava “il maestro Michele Anzaldi” quel mondo l’aveva già visto. Oggi, pur frenato dal ruolo, Nomfup twitta emozione pura di fronte al fotogiornalista di Obama (“ho incrociato Peter Souza e ancora non mi sono ripreso”, ha scritto, prima di trovarsi di fronte a una scena per lui da sogno, solo che era realtà: ecco Renzi che dice a Obama che quello è il ragazzo che dieci anni fa ha scritto per primo di lui sui giornali italiani” (su Europa, il 28 maggio del 2004). E Obama allora ha detto “come here”, e l’ha abbracciato, Nomfup, e Souza ha scattato la foto, e tutti gli amici di Nomfup sono convinti che fosse più emozionato per la foto di Souza che per l’abbraccio di Obama).

    L’aveva già incontrato in passati giri istituzionali, Obama, il quarantacinquenne Sensi, uno che non dimostra mai l’età che ha ma ci scherza sopra con levità inversamente proporzionale alla sua solida costituzione da sagoma-cartoon dagli occhi giganteschi, genere sceriffo buono di Topolinia. “Giovane? No, grasso”, dice ridendo Nomfup a chi gli dà incautamente di trentenne – lui invece è nato nel 1968, ha una moglie molto bella di cui è innamorato dal lontano 1985 e tre figli tra i 9 e i 14 anni. D’altronde l’ettolitro di Coca-Cola è l’unità di misura della bevanda preferita del Sensi “ragazzone americano” prima dell’avvento dei salutisti (“mai ordinata una centrifuga al bar #sevede”, è il twitter storico della serie”).

    Laureato in Filosofia (Fenomenologia tedesca) con tanto di dottorato, ex studente del liceo Calasanzio di Roma (padri Scolopi), Nomfup ha stazionato a lungo, da ragazzo, nella terra di mezzo tra atenei e giornalismo: studiava e scriveva per l’agenzia di stampa cattolica Adisca e s’imbatteva infine nella notizia casuale che ti cambia la vita. Il suo amico Andrea Riscassi, oggi giornalista Rai a Milano e da sempre per Sensi “mio fratello”, lasciando un incarico al comune di Roma, ai tempi del primo mandato Rutelli, suggerì a Filippo di mandare un curriculum. Filippo mandò e restò. Lì conobbe l’allora responsabile della Comunicazione istituzionali Stefano Menichini, che poi, come racconta lo stesso Menichini, “lo corteggiò per averlo a Europa” (dovette faticare per convincerlo ad assumere il ruolo di vicedirettore, Menichini, ché Sensi “non amava proporsi in prima persona, nonostante le intuizioni elargite ad altri”). L’amico Riscassi, invece, è pieno di ammirazione per il Sensi che al liceo lasciava la casa aperta per i compagni e, pur essendo il più bravo, permetteva che copiassero i compiti che lui faceva in 5 minuti chiuso in bagno, da quanta confusione c’era attorno, già manifestando doti da “google ambulante” che tuttora Nomfup ricopre per Riscassi, ancora memore delle lettere scritte a mano che i due si scambiavano quando Riscassi tornò a Milano, come usava tra amici negli anni Ottanta.
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    Sensi aveva già visto anche Tony Blair, ai tempi dell’esperienza nella Comunicazione di Rutelli, e c’è ancora chi ricorda, a Roma, i leggendari racconti di Nomfup con imitazione dei leader (compariva anche il D’Alema che cercava di spiegare a Tony Blair quanto fosse incasinato l’Iraq tra sciiti e sunniti: “It’s a mess, it’s a mess”). Sia come sia, l’occhio della ruota di Londra lo guardava da lontano, ieri, Nomfup, mentre atterrava, ma era l’occhio di Twitter, soprattutto, ad attendere un segnale. L’occhio della ruota, il “London Eye” che pure spunta (codice nel codice) dal profilo Twitter di Nomfup, lo guardava forse con vaga apprensione, quell’uomo che accompagnava a Downing Street il premier Renzi, in qualità di capo ufficio stampa e infaticabile flusso vivente di notizie (“non chiamatelo portavoce, è molto di più”, intimano gli amici, pur sapendo che Nomfup li smentirà seduta stante al grido della massima: “Macché, io qui passo solo lo straccio”). Eppure qualcuno lo conosceva, a Downing Street, Nomfup, il blogger che tre anni fa, smanettando on-line tra oscuri siti e tv singalesi, aveva provocato le dimissioni del ministro inglese della Difesa Liam Fox, uno che aveva sempre detto “ai meeting con ospiti internazionali vado da solo” – e però poi proprio Nomfup, per sua curiosità, aveva trovato quelle immagini e le aveva messe sull’omonimo blog: ecco il premier singalese intento a stringere la mano all’amico e forse compagno di Fox Adam Werritty. Fu scoop internazionale e scandalo anglosassone, e il fino ad allora quasi anonimo Nomfup dovette uscire riluttante ma soddisfatto dalla rete: sì, il Guardian mi ha contattato per quelle immagini, ma non esageriamo, “sono solo 5 minuti di notorietà su Twitter”. Poco prima dell’uscita dal mistero (“chi è Nomfup?”) Christian Rocca, oggi direttore di IL, mensile del Sole24ore, lo elesse sul blog Camillo “blogger dell’anno”, e Nomfup gli scrisse varie email senza mai palesarsi con nome e cognome, alimentando la curiosità e l’ammirazione per il non-noto conoscitore dell’equivalente britannico, francese e tedesco del parlamentare newcomer (“può parlare ore dell’Ernesto Carbone inglese”, dice oggi un estimatore).

    “Che cosa’ha in tasca Nomfup?”, si chiedevano qualche giorno fa, tra Twitter e “Gazebo” (Rai 3), gli internauti e i telespettatori e quelli che di Nomfup ormai leggevano tutto: le interviste per Rivista Studio (l’ultima a John Del Cecato, stratega dei media per Obama, prima, e per il neo sindaco di New York Bill De Blasio, i pezzi di cultura per la Lettura, gli articoli su Europa sulle performance in streaming dei Cinque Stelle).

    E’ un tipo che molti vedrebbero benissimo nel ruolo di scrittore di diari politici alla Alastair Campbell, l’ex portavoce di Blair, Nomfup – ma lui dice agli amici che ora come ora non è cosa neanche lontanamente immaginabile. Infila tutto l’occorrente per la giornata in uno zainetto che chiunque vorrebbe portare per non spaccarsi la schiena con l’iPad, Nomfup, e dice più volte “décalage”, parola che gli piace molto, al telefono con chi gli chiede informazioni. Fosse per lui, starebbe tutto il giorno davanti a un computer a fare quattro o cinque cose insieme, leggendo giornali da tutto il mondo e scaricando qualsiasi documento. E’ uomo pop e da Prima repubblica al tempo stesso, Nomfup, uomo che riconosce al volo, dalle prime note, tutte le canzoni anni Settanta e Ottanta che escano in loop dalla radio del bar accanto all’ufficio, e disegna fumetti vagamente ispirati alla realtà durante le riunioni di redazione, come racconta l’ex “compagno di banco” a Europa Giovanni Cocconi, e ai festival di giornalismo la sera si mette a cantare De Gregori (Buffalo Bill) o gli Smiths a braccio, e a Milano si presenta al caporedattore del Sole 24 ore Daniele Bellasio con tutta la famiglia, dicendo felice: “Ecco finalmente i 5 Sensi”.

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.