Speciale online - Il buono e il cattivo

La testardaggine di Candreva e l'insofferenza di De Laurentiis

Sandro Bocchio

Roma riesce a essere disincantata su tutto, tranne che su una cosa: il tifo. Peggio ancora quando si tratta di questioni meramente inerenti il tessuto cittadino. Se da altre parti la rivalità territoriale è vissuta a volte persino con distacco, Roma e Lazio non ammettono zone grigie. Una controprova? La cessione di un giocatore. Ciò che altrove ormai è normalità (basti vedere Ciro Immobile in comproprietà tra Juventus e Torino), a Roma è impossibile. Si contano in fretta i pochi nomi di chi è passato di fronte, raramente con trasferimento diretto come quello di Franco Cordova quasi quarant'anni fa: sempre meglio un periodo di decantazione in una squadra terza. Peggio ancora, poi, è essere accusati di tifare per la fazione avversa, come avvenuto ad Antonio Candreva.

    Roma riesce a essere disincantata su tutto, tranne che su una cosa: il tifo. Peggio ancora quando si tratta di questioni meramente inerenti il tessuto cittadino. Se da altre parti la rivalità territoriale è vissuta a volte persino con distacco, Roma e Lazio non ammettono zone grigie. Una controprova? La cessione di un giocatore. Ciò che altrove ormai è normalità (basti vedere Ciro Immobile in comproprietà tra Juventus e Torino), a Roma è impossibile. Si contano in fretta i pochi nomi di chi è passato di fronte, raramente con trasferimento diretto come quello di Franco Cordova quasi quarant'anni fa: sempre meglio un periodo di decantazione in una squadra terza. Peggio ancora, poi, è essere accusati di tifare per la fazione avversa, come avvenuto ad Antonio Candreva. Una simpatia per la Roma, la sua, dovuta esclusivamente a una questione di radici, visto che è nato a Tor de' Cenci, quartiere a vocazione giallorossa. Ma, al tempo stesso, un peccato originale che lo accompagna nel momento in cui la Lazio lo prende dal Cesena, tre anni fa: alle partite non entusiasmanti offerte con i romagnoli, si aggiunge anche il fardello di un'intervista in cui aveva indicato Totti e De Rossi come modelli. Parole che gli regalano lo striscione "Benvenuto all'inferno" a Formello, al primo giorno di allenamento, e fischi d'ordinanza al momento della lettura delle formazioni allo stadio. Ma Candreva ha una fortuna, quella di essere un testardo. Una qualità che gli fa superare le critiche di chi lo riteneva un giocatore di talento ma raramente all'altezza delle situazioni, come le malignità che accostavano le prime convocazioni in Nazionale alla simpatia di Marcello Lippi per la Juventus, con cui il centrocampista ha una rapida e fugace esperienza nel 2010. A Roma pensa solo a lavorare, forte del sostegno di Edy Reja, fino a una rete con il Napoli, che cambia la storia, e fino al gol in un derby, che la segna definitivamente. In positivo. Candreva è una delle poche cose di cui la Lazio può andare fiera ma il desiderio di trovarsi un nemico non muore mai. Ora ha come obiettivo Claudio Lotito, con uno stadio Olimpico sempre più desolante per la frattura tra il presidente e chi si considera unico depositario delle storia biancoceleste. Magari come quei caporioni della curva che assegnano le patenti di lazialità, gli stessi che avevano osteggiato Candreva e che oggi devono ringraziarlo di esserci. Perché lui, con nove reti, sta supplendo al silenzio dei giusti che sta dormendo Miro Klose. Perché è stato lui, in queste ultime due giornate, a prendersi la squadra sulle spalle più di ogni altro, con gol e prestazioni. Ma deve stare attenta la curva laziale, perché Candreva - pur avendo imparato a pesare le parole, per evitare spiacevoli incidenti di percorso - sta dando segni di insofferenza per questa conflittualià eterna. E a a giugno potrebbe essere lui a decidere di andar via, senza subire pressioni dirette.

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    Le insofferenze sono invece pane quotidiano per Aurelio De Laurentiis. A dire il vero quest'anno era parso fin troppo pacato, rispetto a quello cui aveva abituato in passato: le accuse a un calcio da lui considerato troppo vecchio, le polemiche contro i poteri forti, l'arroganza anche greve nei confronti dei giornalisti. Niente di tutto questo, per dire che lui e il Napoli avevano cominciato il glorioso cammino che avrebbe portato la squadra fuori dai ristretti confini provinciali, fino ad assumere una dimensione internazionale. Da qui la scelta di prendere Rafa Benitez come allenatore, da qui la decisione di bussare alle porte dei grandi club per ingaggiare altrettanto grandi giocatori. Le polemiche? Scivolate via, da far gestire al figlio, piuttosto. Ma il calcio è una brutta bestia e la gente ti giudica non per quello che stai seminando ma per quello che stai raccogliendo. E il presidente ha dovuto affannarsi invano per dire che il progetto è a lunga gittata, che si tratta innanzitutto di cambiare un modo di ragionare. I tifosi vogliono soltanto vincere, solo alcuni rari romantici si accontentano della prestazione. A maggior ragioni se sei il Napoli, sempre in bilico tra Maradona e la disperazione. La Champions League aveva illuso, con quell'eliminazione a record di punti da appuntare come una medaglia al petto. La Juventus lontanissima in classifica in campionato e la cacciata anche dall'Europa minore per mano del Porto non sono state digerite. E a De Laurentiis i tifosi lo hanno detto a chiare lettere, soprattutto dopo la sconfitta di ieri sera a Parma, facendo riemergere le reazioni scomposte di un tempo, a rievocare la fuga dalla Lega Calcio a Milano, quando il presidente intercettò per strada uno sconosciuto in scooter, "imponendogoli" un passaggio. Certi abiti, come quelli di Bruce Banner, non riescono a contenere i cambi di personalità.