Fine di un eccezionalismo
La Consulta ha deciso, ribaltando tutte le decisioni degli ultimi anni in materia e il risultato del referendum abrogativo del 2005, che il divieto di fecondazione eterologa, pilastro fondamentale della legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita, è incostituzionale. Le motivazioni non sono ancora note, e bisognerà capire come sarà riempito il vuoto legislativo che si è aperto. Ma la cosa più importante ed evidente è che stanno cadendo, uno dopo l’altro, gli argini che l’ormai morente “eccezione italiana” aveva messo a difesa di un’idea di umanità non subordinata alla tecnoscienza e alla legge del desiderio.
Guarda anche la puntata di Radio Elefante di Ferrara Eterologa e non solo, il Mondo Nuovo e il pensiero dominante
La Consulta ha deciso, ribaltando tutte le decisioni degli ultimi anni in materia e il risultato del referendum abrogativo del 2005, che il divieto di fecondazione eterologa, pilastro fondamentale della legge italiana sulla procreazione medicalmente assistita, è incostituzionale. Le motivazioni non sono ancora note, e bisognerà capire come sarà riempito il vuoto legislativo che si è aperto. Ma la cosa più importante ed evidente è che stanno cadendo, uno dopo l’altro, gli argini che l’ormai morente “eccezione italiana” aveva messo a difesa di un’idea di umanità non subordinata alla tecnoscienza e alla legge del desiderio. Prendiamone atto: da ieri anche qui il “diritto al figlio” vince alla grande sul diritto del figlio – diritto alla certezza dell’origine, per esempio – e gli scenari che si aprono si avvicinano a grandi passi a quel Mondo Nuovo alla Huxley che ha bisogno, prima di ogni altra cosa, di scardinare il valore della differenza sessuale, della solidità e della certezza della filiazione da un uomo e da una donna, del principio della difesa del più indifeso.
Di questo, non di altro, ci parla anche la sentenza del tribunale milanese che martedì, anticipando nella logica quella ben più pesante della Consulta, ha mandato sostanzialmente assolta una coppia (lei 54 anni, lui 46) che si è fabbricata un figlio grazie a una venditrice di ovociti e a una donna indiana che ha affittato il proprio utero e ha partorito il bambino. Cosa fatta capo ha, dicono i giudici, i quali informano testualmente nella sentenza che, visti gli avanzamenti tecnologici, “la stessa definizione della maternità è ormai controversa”. E allora tanto vale accordarla alla committente, anche se quel figlio non è suo se non come prodotto a pagamento.
Si è parlato, anche giustamente, di resa del diritto al mercato, al business planetario e miliardario del figlio in provetta fornito a chiunque dietro compenso. Ma la vera resa è quella che il biologo francese Jacques Testart, fecondatore in vitro alquanto pentito, aveva previsto già molto tempo fa: tutto quello che la tecnica (non parliamo di scienza, non è il caso) rende possibile, sarà prima o poi autorizzato, senza che sia più credibile fissare limiti. E’ troppo forte la logica del desiderio, la vertigine dell’indifferenziazione che si fa onnipotenza. Le due donne inglesi, conviventi ora separate, che si litigano la custodia delle due bambine nate dagli ovociti di una e dalle gestazioni dell’altra – il Salomone postmoderno ha davvero di che almanaccare – proprio perché la sfida era quella della condivisione totale delle creature messe al mondo, non sono nemmeno il caso più spaventoso di disprezzo per i diritti di quelle creature. Il giudice milanese parla nella sua sentenza di “genitori tecnologici”, ai quali è opportuno affidare il bambino nato in India da maternità surrogata, per tutelarne i diritti. Un po’ di pazienza, e anche a lui toccheranno casi come quello inglese.
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Converrà farsene una ragione: così come l’eterologa diventa anche in Italia una “cura per la sterilità”, lo sarà presto anche l’utero in affitto: vogliamo discriminare chi ha solo quel sistema per diventare madre o padre? Non è nemmeno questione di secolarizzazione, categoria anch’essa insufficiente a descrivere i confini del Mondo Nuovo. Nella Francia ultrasecolarizzata, che ha approvato il “mariage pour tous” come logico prolungamento dei Pacs, un inaspettato movimento di opposizione a forte componente laica, poco disposto a rassegnarsi alla sostanziale latitanza della Conferenza episcopale francese, è riuscito comunque a far rimandare il progetto di una nuova legge sulla famiglia, già pronto con il suo pacchetto di fecondazione in vitro per coppie lesbiche, possibilità di adozione del figlio del partner nelle coppie omosessuali (arriva la tri e la quadrigenitorialità legale, ce ne eravamo accorti?) e altri provvedimenti dello stesso tenore. Il rapporto sul quale doveva basarsi la legge – solo accantonata – è stato diffuso ieri dal Nouvel Observateur. I relatori scrivono a chiare lettere nelle loro conclusioni che la filiazione naturale deve lasciare definitivamente il passo a quella sociale; che “l’adozione per tutte le coppie, sposate, in regime di Pacs o conviventi, di sesso differente o dello stesso sesso, appare semplicemente logica”; che il “modello di matrimonio tradizionale (eterosessuale e procreativo)” ha lasciato ormai campo libero a un nuovo “diritto della coppia: egalitario, comune e pluralista. Coniugati, pacsati e conviventi, di sesso diverso o dello stesso sesso, coabitano ormai in seno al diritto civile della famiglia”.
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