Ci vediamo al Lidl
Si chiamano “Maidstone mums” e sono i consumatori e gli elettori più corteggiati del Regno Unito. Maidstone è una città del Kent, da cui il fenomeno è partito, ma ormai è conosciuto a livello nazionale. Le “Maidstone mums” sono donne, sono mamme soprattutto, sono le figlie di genitori che oggi hanno 60-65 anni, sono donne che lavorano e che hanno figli e che hanno anche sufficienti risorse finanziarie per permettersi qualche lusso, ma sempre meno, e sempre più con sensi di colpa che una volta non c’erano, perché oggi c’è il mutuo da pagare, che ha tassi molto alti, e perché i figli devono studiare e costano tantissimo.
Si chiamano “Maidstone mums” e sono i consumatori e gli elettori più corteggiati del Regno Unito. Maidstone è una città del Kent, da cui il fenomeno è partito, ma ormai è conosciuto a livello nazionale. Le “Maidstone mums” sono donne, sono mamme soprattutto, sono le figlie di genitori che oggi hanno 60-65 anni, sono donne che lavorano e che hanno figli e che hanno anche sufficienti risorse finanziarie per permettersi qualche lusso, ma sempre meno, e sempre più con sensi di colpa che una volta non c’erano, perché oggi c’è il mutuo da pagare, che ha tassi molto alti, e perché i figli devono studiare e costano tantissimo. E’ la middle class che la crisi, in tutto il mondo, ha reso sempre meno sicura di sé, delle proprie pontenzialità, del poter acquisire un giorno più di quello che i loro genitori avevano raggiunto alla loro età – quella generazione un po’ sfigata che non ha un nome tutto suo, che sta in mezzo a tutti i bivi, quelli della sicurezza sociale, della stabilità economica e pure del “sogno americano”, che non è solo americano, si sogna ovunque.
Gli inglesi hanno la passione dei “demographic”, si sono inventati il “Mondeo man” e la “Worcester woman” per dire, e ora, in vista del voto che nel Regno Unito è previsto tra un anno, è il momento delle “Maidstone mums”. L’ultimo budget presentato dal governo Cameron è stato modellato sulle esigenze di questa categoria, perché ci sono le elezioni ovviamente, ma anche perché tutti, soprattutto i retailer, hanno capito che questo gruppo sancirà nel prossimo futuro il loro successo. Claire Bowman è una giornalista che ha raccontato tanto di sé, di come si sopravvive quando hai un marito soltanto nel fine settimana, come si fa a rimanere incinta mangiando soltanto rosso d’uovo e come si cucina la torta preferita della Regina Madre. Nel suo ultimo articolo, pubblicato sul Times, la Bowman si è fatta fotografare con una busta della spesa bianca, blu, rossa e gialla, con in mezzo scritto Lidl. Ora, storicamente il supermercato Lidl è un po’ come mettersi le dita nel naso: si fa di nascosto. Non è “cool” andare in un supermercato dove la gran parte della merce è per terra, dove non c’è un brand riconoscibile di qualsivoglia prodotto, dove tutto è venduto in formati da famiglia di 40 persone, dove si passa più tempo a leggere etichette per capire che cosa si sta comprando piuttosto che controllare di aver preso tutto quello che c’era sulla lista. Va bene per gli studenti fuorisede che fanno feste in casa e comprano soltanto alcolici al più basso prezzo possibile, o per chi davvero ha pochissimi soldi da spendere e non può che andare in un supermercato dove non c’è nulla che brilla, che attira, che fa fare un acquisto di impulso.
Così il Lidl è, o meglio era, percepito. Perché adesso è tutta un’altra faccenda, adesso i sacchetti del Lidl li vedi anche ripiegati nelle borse di mamme ingioiellate che vanno ad accompagnare i bimbi a scuola su tacchi vertiginosi, perché andare nel grande discount (e uscirne vive) si porta molto. Al punto che gli stessi manager tedeschi di Lidl hanno cambiato la loro strategia: pensavano che i loro mercati più promettenti fossero a est, e invece si stanno spostando alla grande nell’ovest dell’Europa. Il capo di Lidl nel Regno Unito, Ronny Gottschlich, ha detto che le “Maidstone Mums” sono il suo futuro, l’unico problema è che deve giocarsela con il rivale Aldi, un’altra catena tedesca che durante la recessione è diventata famosissima e ancora oggi ha vendite in crescita del 30 per cento annuo (Lidl si deve accontentare del 16 per cento, ma ha prospettive meravigliose: sono appena stati aperti 600 nuovi punti vendita in tutto il Regno Unito). La vecchia guardia dei supermercati, come Sainsbury’s, è in grande sofferenza: secondo Goldman Sachs, oggi questa catena vale la metà dei suoi 6 miliardi di sterline del valore di mercato e il peggio deve ancora venire, perché le battaglie sui prezzi dei beni di prima necessità saranno sempre più agguerrite. Il boss di Sainsbury’s, Justin King, dice che non sono i discount il problema, ma il fatto che la gente compra meno a prezzi più bassi, ma ora che l’economia nel Regno Unito sta ripartendo a ritmi sostenuti, tornerà la fiducia e la gente la smetterà di accontentarsi di fare una spesa che dà poche soddisfazioni.
Potrebbe sbagliarsi di grosso, King. Perché se Aldi e Lidl sono diventati più convenienti e più grandi delle co-op (le cooperative britanniche, simili alle nostre, con diverse modalità di finanziamento), se hanno soltanto l’8 per cento del mercato ma conquistano consumatori a un tasso che quelli di Morrisons se lo sognano, e se sono diventati presentabili anche nei salotti “posh” – l’aragosta canadese a 4 sterline e 99 e le bottiglie di Châteauneuf-du-Pape a 7 sterline e 99 sono imbattibili – vuol dire che non vogliono essere effimeri, né legati soltanto alla tristezza della recessione. “Pensiamo che sia arrivato il momento di comunicare il nostro successo e i piani di crescita”, ha detto Gottschlich al Guardian, rivelando che la loro strategia timida sta cambiando (si spera che si risolva anche la timidezza, si fa per dire, dei commessi di Lidl, introvabili o inaccessibili). E quando la Bowman scrive di aver preparato una cena per amici con antipasti italiani, mandorle salate spagnole e olive, pancetta e noci, faraona arrosto, cheesecake con prugne alla cannella, tutto comprato al Lidl, si sente che lo dice con l’orgoglio di chi è dalla parte giusta della storia. Lei che non è una “Lidites”, quelle snob che si rifiutano di andare al Lidl perché va bene risparmiare, ma così in basso non si può, e nemmeno una “Lidl vergin” (che ha la nostra più totale comprensione: non si finisce mai di essere Lidl vergins), che s’aggira spaurita tra mucchi di prodotti senza segni di riconoscimento e che va in ansia a ogni angolo, con il carrello drammaticamente vuoto anche dopo dieci giri. La Bowman è già oltre, per lei ci sono offerte meravigliose e soprattutto c’è la linea Deluxe, che ha un packaging riconoscibile, nero argento e bianco, e che è fatto apposta per non far scappare queste donne non appena avranno due sterline in più da spendere.
Le “Maidstone mums” hanno anche una star. E’ la vincitrice di “X Factor” 2013, si chiama Sam Bailey, è una signora di 36 anni con una voce divina e l’abitudine ad andare in giro in jeans e felpa (quando non si concede i vezzi di Next, la catena di abbigliamento delle “Maidstone Mums”, dove c’è tutto, e i vestiti con i fiorellini che hanno già invaso sciaguratamente le nostre città costano 55 sterline), che dice che suo marito è come una Bmw e lei una Mini Cooper, in leasing entrambi, naturalmente, che va dal parrucchiere nel giorno in cui c’è l’offerta, di solito al mercoledì, che alla centesima domanda di un’intervistatrice sulla sua terza gravidanza in concomitanza con il lancio del suo ultimo disco ha risposto: “Che noia che noia che noia”. Il suo album è stato a lungo in testa alle classifiche e tutto grazie a quelle signore che si sono identificate con questa diva dalla vita ordinaria e dal fine settimana a Parigi con i bimbi per festeggiare la vittoria di “X Factor”.
I conservatori al governo, in campagna permanente da quando non vinsero le elezioni del 2010, vogliono l’anno prossimo conquistare la maggioranza assoluta per non dover più sopportare la coabitazione con i liberaldemocratici. Il voto delle “Maidstone mums” potrebbe essere decisivo, ma bisogna andare cauti. E’ una categoria che non è molto interessata alla politica, che s’informa ma non ingaggerebbe mai guerre ideologiche a cena con gli amici: pensa piuttosto ai servizi che lo stato elargisce, è esasperato da quel che non funziona, fa continue domande sulle riforme del sistema scolastico, teme che con il ridimensionamento del sistema sanitario ci sia un peggioramento dei servizi a fronte di un maggior costo (è in corso da settimane, sui giornali inglesi, un lungo romanzo sui disservizi degli ospedali e soprattutto dell’incapacità di molti medici di diagnosticare le malattie in tempo: sono state pubblicate storie strazianti di bimbi morti a età indicibili perché i medici pensavano avessero un po’ di influenza e le mamme fossero troppo apprensive e invece c’erano dei cancri). E’ una categoria di persone che può sembrare piccola e provinciale, ma come ha commentato Gaby Hinsliff sul Sunday Times, “la verità è che gran parte della nostra vita è piccola e provinciale”, ma anche molto concreta, vuole l’offerta migliore con la qualità migliore, e soprattutto non le piace essere presa in giro con promesse che non possono essere mantenute.
Il trionfalismo dei Tory nasconde qualche bugia? Molti sono convinti di sì, e il cancelliere dello Scacchiere, George Osborne, è anche il capo della strategia elettorale dei conservatori, quindi non dice più nulla che non abbia un potenziale ricasco positivo sul consenso al governo. Ma la strategia di fondo – non mentire sull’austerità permamente, puntare alla piena occupazione, alleggerire fiscalmente i risparmiatori, togliere tasse su alcuni beni di consumo e sulla benzina – ha una concretezza e un’ambizione che non passano inosservate nella middle class. Sempre ammesso che il governo riesca a togliersi l’immagine elitaria – sembra sempre un gruppo di bimbi viziati, anche quando non lo sono – e sappia ricordarsi al momento giusto quanto costa un bagel o il burro d’arachidi. Ma aspettatevi presto di vedere Samantha Cameron, la first lady, che si fa fotografare con l’aragosta del Lidl.
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