Così le armi dei giudici ambientalisti si affilano in Parlamento
Mentre la sinistra non osa affrontare il ventennale “tabù” di una riforma omnicomprensiva della giustizia, si può dire che il conflitto tra magistratura, ambiente e industria sia rientrato? O invece si sta incancrenendo nelle norme giuridiche? Il subcommissario all’Ilva di Taranto, già ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, sostiene che si stia arrivando a un armistizio tra le due fazioni ideologicamente contrapposte degli industrialisti e degli ambientalisti, non foss’altro perché molti impianti inquinanti sono stati chiusi e altri sono in via di risanamento, ha detto al sito Formiche.net.
Mentre la sinistra non osa affrontare il ventennale “tabù” di una riforma omnicomprensiva della giustizia, si può dire che il conflitto tra magistratura, ambiente e industria sia rientrato? O invece si sta incancrenendo nelle norme giuridiche? Il subcommissario all’Ilva di Taranto, già ministro dell’Ambiente, Edo Ronchi, sostiene che si stia arrivando a un armistizio tra le due fazioni ideologicamente contrapposte degli industrialisti e degli ambientalisti, non foss’altro perché molti impianti inquinanti sono stati chiusi e altri sono in via di risanamento, ha detto al sito Formiche.net. Eppure le tesi dei “pompieri” sono aggredite dalla realtà (“una coda di notizie”, minimizza Ronchi) come il sequestro preventivo della centrale elettrica della Tirreno Power dell’11 marzo scorso e, venti giorni dopo, la condanna in primo grado di Paolo Scaroni in qualità di ex ad Enel per la gestione della centrale a olio combustibile di Porto Tolle. L’accusa generica, che riguardò anche l’Ilva due anni fa, è quella di “disastro ambientale”: definizione facile da usare per i giornali ma più complessa nel diritto. La fattispecie non è normata precisamente dal codice penale, fanno da “surrogato” gli articoli 434 (crollo di costruzioni e altri disastri dolosi) e 437 del codice penale (rimozione o omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro). Per non avere rimosso il “pericolo” rappresentato dalla centrale di Porto Tolle sono stati condannati Scaroni e il suo predecessore Franco Tatò. Ora il Parlamento vuole colmare la lacuna, evidenziata già nel 2008 dalla Corte costituzionale, con il disegno di legge sui “reati ambientali” (promosso da Pd, Libertà e Giustizia, M5s) in discussione alle commissioni Giustizia e Ambiente del Senato fino al 29 aprile. E’ innovativo – introduce anche i reati di inquinamento ambientale, [**Video_box_2**]traffico e abbandono di materiale radioattivo con aggravanti per mafia – ma resta controverso per la definizione di “disastro ambientale” e cioè “l’alterazione irreversibile dell’ecosistema o l’alterazione la cui eliminazione risulti particolarmente onerosa e conseguibile solo con provvedimenti eccezionali, ovvero l’offesa alla pubblica incolumità in ragione della rilevanza oggettiva del fatto per l’estenzione della compromissione ovvero per il numero delle persone offese o esposte a pericolo” quando si violano “disposizioni legislative, regolamentari o amministrative”. La pena va dai cinque ai quindici anni di reclusione. La norma solleva quesiti: la giustizia può intervenire quando si violano prescrizioni regolamentari (l’Autorizzazione integrata ambientale) o amministrative (norme regionali) indipendentemente dalle intenzioni dell’azienda o prima che siano scaduti i termini per adempiere? In sostanza si rischia la replica di un “caso Ilva”, con i Riva che accettano le prescrizioni del ministero dell’Ambiente (15 novembre 2012), s’accordano con le banche per metterle in pratica ma dieci giorni dopo subiscono nuovi arresti e sequestri? Quando si può dimostrare l’offesa alla pubblica incolumità sulla base dei fatti e non delle medie statistiche? Quali sono le prove “oggettive” del danno alle persone? Come si può stabilire un nesso causale certo tra malattie ed emissioni? Bastano consulenze ambientaliste com’è stato per la Tirreno? Tra i critici c’è il deputato del Pdl e avvocato penalista Francesco Paolo Sisto, uno dei quattro deputati ad avere votato contro il ddl (passato alla Camera con 386 sì, 4 no e 45 astenuti il 26 febbraio). Sisto contesta che non si dà possibilità all’imprenditore di rimediare ai suoi errori, voluti o no, con un “gesto di resipiscenza attiva” e ottenere la “non punibilità”, quando peraltro non può tutelarsi appellandosi alla norma più favorevole del codice (perché non c’è!). “Non è questo il modo per contribuire a una norma efficace ma si dà corpo alla tesi del giustizialismo e dell’ambientalismo cieco”. Il conflitto, insomma, potrebbe diventare la regola.
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