Dialoghetti con Duddù

Il dolore dura l'eternità di una settimana, il secondo martini è meglio

Umberto Silva

"Anni fa”, mi dice Raffaele tra un sorso e l'altro di martini, “ero molto angosciato. Un tumore al nervo acustico, un neurinoma, mi fu diagnosticato al Kantonsspital di Zurigo dal prof. Fisch, celebrità mondiale. L'operazione, dato il punto delicatissimo dove il tumore si trovava, comportava la possibilità di stravolgere i nervi facciali, il che avrebbe stampato un ghigno sul mio volto. Puoi indovinare come dolorosamente lavorò la mia immaginazione. Caro amico mio, il dolore è narrativo, pieno di articolazioni e di fantasia. Sai quanto durò?”. “Un'eternità”.

    "Anni fa”, mi dice Raffaele tra un sorso e l’altro di martini, “ero molto angosciato. Un tumore al nervo acustico, un neurinoma, mi fu diagnosticato al Kantonsspital di Zurigo dal prof. Fisch, celebrità mondiale. L’operazione, dato il punto delicatissimo dove il tumore si trovava, comportava la possibilità di stravolgere i nervi facciali, il che avrebbe stampato un ghigno sul mio volto. Puoi indovinare come dolorosamente lavorò la mia immaginazione. Caro amico mio, il dolore è narrativo, pieno di articolazioni e di fantasia. Sai quanto durò?”.
    “Un’eternità”.

    “Una settimana che mi parve un’eternità. Immagini cupe, tenebra e improvvise illuminazioni, ricordi, promesse, rassegnazione e desiderio, mi sentivo in un mare in tempesta, tenevo diritta la barra ma ogni tanto la lasciavo e mi abbandonavo ai flutti scomparendo negli abissi. Colorato e vario, il male è un oceano notturno pieno di luci misteriose, indimenticabile come un romanzo. Poi un giorno il prof. Fisch mi telefonò dicendo: “Ho una bella notizia per lei e una meno bella per me”: il tumore non c’era e si rammaricava per lo sbaglio commesso. Come l’Ismaele di Melville tornai a galla stringendomi a una cassa da morto. Sai quanto durò la mia gioia?”.

    “Un soffio”.
    “La gioia passò come era arrivata, neppure un po’ di degustazione mi fu concessa. Questa la mia esperienza, questa la natura umana”.

    [**Video_box_2**]Raffaele si è scolato il martini che poi è gin allo stato puro e sta pensieroso, incerto se ordinarne un altro. E’ il dilemma solenne della mattinata; a volte decide per il sì a volte per il no, non senza avermi consultato, io che ho chiesto un crodino a espiazione delle mie bevute di gioventù. “Dostoevskij” sospira Raffaele, “teneva la finestra aperta sulla piazza fredda con l’orecchio teso allo scoppio di una bomba. Intanto scriveva, il male che era nell’aria lo ispirava. Un bel giorno rinsavì fino alla santità e morì, come Don Chisciotte. Il male è necessario per vivere, il male è ovunque. Cameriere, mi porti un secondo martini”.

    Il cameriere annuisce soddisfatto, Raffaele si fa sospettoso. “Tentano sempre di metterci dell’altro nel bicchiere, e prima o poi ci riusciranno. Ho letto sul giornale che a una certa età si perde il senso del gusto, la faranno franca”. Il cameriere arriva con il calice del martini e lo depone sul tavolo. Raffaele lo afferra e avido ne beve un sorso. Guardandomi con occhio triste dice: “Umberto mio, non dovrei berlo, mi fa male”. Nel timore che possa dissuaderlo o addirittura sacrificarmi a berlo io, Raffaele si affretta a scolare il bicchiere tutto d’un fiato. “Adesso ti verranno i crampi”, gli dico con tono cattivo. “E chi se ne fotte”, risponde passando le dita della mano sotto il mento, “è tutta letteratura” gorgheggia, allegro e vincitore.