Il buono e il cattivo
Handanovic para rigori, Spinelli mangia allenatori
I segreti di un successo non si svelano, e Samir Handanovic non fa eccezione. Lui glissa quando gli chiedono di spiegare come mai sia così bravo ad annullare i rigori, neanche dovesse rendere nota la ricetta dalla Coca Cola. E' sempre stato così in passato, è stato così anche ieri a Parma: "Non ne parlo, i portieri non si giudicano dai rigori parati". Vero, ma fino a un certo punto. Perché avere uno bravo in questa situazione aiuta parecchio e, in passato, alcuni eccellenti interpreti del ruolo hanno avuto il punto debole proprio in questo particolare.
I segreti di un successo non si svelano, e Samir Handanovic non fa eccezione. Lui glissa quando gli chiedono di spiegare come mai sia così bravo ad annullare i rigori, neanche dovesse rendere nota la ricetta dalla Coca Cola. E' sempre stato così in passato, è stato così anche ieri a Parma: "Non ne parlo, i portieri non si giudicano dai rigori parati". Vero, ma fino a un certo punto. Perché avere uno bravo in questa situazione aiuta parecchio e, in passato, alcuni eccellenti interpreti del ruolo hanno avuto il punto debole proprio in questo particolare. Due nomi: Walter Zenga e Gianluca Pagliuca. Oppure basti pensare a come se la fosse presa Gigi Buffon alla Confederations Cup, quando l'Italia venne battuta in semifinale dalla Spagna. A chi gli faceva osservare come non ne avesse imbroccata una dagli undici metri, rispondeva di essere sempre stato comunque uno reattivo quando l'avversario si presentava sul dischetto. Per poi mantenere fede alla parola data tre giorni dopo, nella finalina contro l'Uruguay, con le parate ai danni di Forlan, Caceres e Gargano. E il portiere della Juventus ha anche qualche ragione statistica, perché in serie A è in alto nella classifica dei pararigori. Secondo dietro, ovviamente, ad Handanovic. Il quale, a dire il vero, recentemente sembrava aver perso lo smalto dei giorni migliori. Di quell'annata 2011-12 all'Udinese, in cui aveva respinto ben sei tentativi su otto, in una continuità inesorabile. Inevitabile fare il collegamento diretto con il passaggio all'Inter, una squadra che sembra nata per vanificare le migliori intenzioni. L'Handanovic visto lo scorso campionato non sembrava Samir ma suo cugino Jasmin, passato senza eccessive fortune tra Mantova ed Empoli per quattro campionati di serie B, prima di tornare nella natia Slovenia accompagnato da pochi rimpianti. Era vittima di amnesie sconosciute come di affanni inaspettati. Il portiere che aveva contribuito a scrivere le fortune dell'Udinese si proponeva in maglia nerazzurra con toni dimessi: rare volte decisivo, quasi sempre normale, travolto anch'egli dalle indecisioni andate a insediarsi sull'asse Moratti-Stramaccioni, fino a eclissarsi perfino sui rigori. Una situazione di normalità che finiva per porre qualche dubbio sugli undici milioni pagati all'Udinese per averlo. Una situazione dimenticata con l'arrivo di Walter Mazzarri, la cui prima attenzione è sempre rivolta all'assetto difensivo. Non che l'Inter abbia mostrato miracoli, ma un netto miglioramento sì. Un flusso positivo in cui si è accoccolato anche Handanovic, tornato il portiere in grado di rompere l'equilibrio di una partita anche con un solo intervento. E tornato implacabile interprete di ammazzarigoristi, uno che nella sua personale galleria aveva posto i volti noti di Kakà, Cavani ed Eto'o accanto a quelli di comprimari quali Martinetti, Graffiedi e Zampagna. Prima il tentativo negato a Pandev quindi, in successione, le parate su Maxi Lopez e Antonio Cassano, che hanno impedito la consumazione di due personali vendette: quella dell'argentino sul rivale in amore, Mauro Icardi; quella del barese sulla squadra amata, da cui era stato sedotto e abbandonato in estate. Questioni che all'algido Handanovic interessano relativamente. Lui allunga la propria statistica (27 rigori parati su 82) e si tiene il segreto.
Allunga la propria lista anche Aldo Spinelli, quella degli allenatori esonerati. Stavolta tocca a Mimmo Di Carlo, cacciato dopo la manifestazione di impotenza evidenziata a San Siro con il Milan per fare posto a Davide Nicola. Un ritorno, come si usa da un po' di tempo in qui: vuoi per carenza di idee, vuoi per l'attenzione al bilancio. Meglio riprovare con chi si ha già a libro paga, non si sa mai. Eppure ancora pochi giorni fa il presidente del Livorno raccontava di come Nicola facesse giocare bene le sue squadre senza però raccogliere punti, mentre Di Carlo si comportava esattamente al contrario: gioco non scintillante ma solidi risultati. Tre sconfitte consecutive, con la figuraccia rimediata in casa contro il Chievo, hanno reso anacronistica tale tesi, con la retrocessione più vicina. Immediatamente è scattato il rimpasto in panchina, con una delle retromarce abituali per Spinelli, uno che ama sempre dire di essere stanco ma soltanto per farsi adulare, perché la gente si convinca come dopo di lui possa esserci unicamente il diluvio. Lo aveva fatto in tredici anni di Genoa, specie quando la parabola si era indirizzata verso il basso dopo i fasti di Liverpool in Coppa Uefa. Lo ripete a ogni momento da quando è a Livorno, e ormai sono passati quindici anni. Piccole bugie, cui qualcuno ancora crede. Perché nel calcio è molto, ma molto difficile vedere un presidente lasciare una società di propria volontà, anche se ci perde economicamente. E' impossibile resistere al richiamo della folla come a quello dei mass media, rinunciare ai propri minuti di popolarità catodica pure quando si lotta per la semplice sopravvivenza. Spinelli appartiene a tale filone presidenziale, a Nicola il compito di tenerlo in linea di galleggiamento la prossima stagione.
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