Chi è Davide Faraone, il renziano che sembra il nipote di Mubarak
Alza gli occhi al cielo, inforca e disinforca gli occhiali a montatura nera, si agita sulla poltrona del talk-show, straripa, non ripete a memoria la formula magica delle riforme, ride e si scompone e si impunta per non lasciare respiro all’avversario (di solito un esponente dei Cinque stelle che vede in lui il male assoluto) – e si diverte come mai sembrano divertirsi i compagni del Pd. Ed è straripando dalla Sicilia sul continente che il trentottenne Davide Faraone, deputato renziano e responsabile renziano al Welfare in segreteria pd, è diventato una specie di “cult” presso i conduttori di salotti televisivi e radiofonici, quelli che forse non ne potevano più di avere ospiti renziani molto compìti che lasciano sempre educatamente parlare, non parlano se non interpellati e, una volta interpellati, recitano l’intero programma di governo da qui all’eternità.
Alza gli occhi al cielo, inforca e disinforca gli occhiali a montatura nera, si agita sulla poltrona del talk-show, straripa, non ripete a memoria la formula magica delle riforme, ride e si scompone e si impunta per non lasciare respiro all’avversario (di solito un esponente dei Cinque stelle che vede in lui il male assoluto) – e si diverte come mai sembrano divertirsi i compagni del Pd. Ed è straripando dalla Sicilia sul continente che il trentottenne Davide Faraone, deputato renziano e responsabile renziano al Welfare in segreteria pd, è diventato una specie di “cult” presso i conduttori di salotti televisivi e radiofonici, quelli che forse non ne potevano più di avere ospiti renziani molto compìti che lasciano sempre educatamente parlare, non parlano se non interpellati e, una volta interpellati, recitano l’intero programma di governo da qui all’eternità.
Non appartiene al ramo scolaretto della Leopolda, Faraone, uno che dai Cinque stelle è stato accusato di cattive frequentazioni pre-elettorali nei quartieri popolari di Palermo, sulla base di stralci di intercettazioni che il responsabile Welfare sbandiera “pure ai Carabinieri” come “il mio certificato antimafia”, ché due affiliati a una cosca – ricorda agli accusatori invitandoli ad ascoltare tutta l’intercettazione e non solo una parte – lo giudicavano apertamente “non affidabile”. Io ho fatto anni di militanza allo Zen per aiutare i commercianti che non volevano pagare il pizzo e le famiglie in difficoltà, dice Faraone, che ha mosso i primi passi negli allora Ds sotto la guida del deputato regionale pd Antonello Cracolici (tra i due i rapporti si sono raffreddati all’indomani della compilazione liste per le europee, liste in cui Cracolici non compare), e ha poi percorso a balzi tutta la scala della carriera interna, fino all’Ars, in Parlamento e nel partito. Non c’è avviso di garanzia su quelle conversazioni stralciate, non c’è reato, ma l’arcinemico grillino di Faraone, il concittadino palermitano Riccardo Nuti, durante una seduta alla Camera, lo scorso dicembre, ne aveva fatto un’invettiva senza dubbi e senza certezze sul Faraone non colpevole per la legge ma “moralmente corrotto”. “Abbi il coraggio di ripetere queste cose fuori dall’Aula dove non sei protetto da immunità”, diceva Faraone a Nuti. Non ti ho mai visto allo Zen, eppure io c’ero, gli diceva drammatizzando, ma per il resto non perdeva la sua aria scanzonata e saracena, il Faraone nel frattempo più saldo tra i circoli pd della Sicilia folgorata dal renzismo. E quando un avviso è arrivato per altro, nell’ambito di un’inchiesta sulle spese pazze di consiglieri e assessori (sospetto esborso di 3.000 e rotti euro quando il responsabile Welfare era consigliere regionale), Faraone ha salutato il tutto con un “benissimo, la procura indaghi, se c’è qualche ladro deve pagare. Mi dimetterò dalla segreteria e anche da uomo se dovessi essere rinviato a giudizio, ma non ci si arriverà perché sono sicuro di come ho usato i soldi”.
Avamposto del renzismo che candida alle Europee il giurista garantista Giovanni Fiandaca e non le manda a dire agli Antonio Ingroia, Faraone nei salotti tv non ha mai avuto complessi: man mano che diventava noto fuori dai confini insulari, man mano che criticava “i professionisti dell’antimafia” rivendicando “l’azione antimafia sul territorio” con il fratello attivista dell’associazione Libera, diventava senza perderci il sonno il bersaglio di campagne anticasta sul blog di Beppe Grillo (e dintorni), incentrate su un fantomatico “voto di scambio” denunciato da un video di “Striscia la notizia” (scenario: una cooperativa di disoccupati in cui Faraone parlava a un disoccupato di un futuro più rassicurante poco prima di una riunione della cooperativa in cui i disoccupati dovevano decidere come votare – “chiamasi campagna elettorale, ma quando la malafede è nell’occhio di chi guarda che ci vuoi fare?”, dice un amico di Faraone a Palermo). Fatto sta che l’accusato rispondeva agli accusatori di aver girato in lungo E in largo per la città facendo intravedere a precari e disoccupati la svolta lavorativa, sì, ma rispetto alle politiche fallimentari precedenti, e ci scherzava sopra con humour nero: “Mi manca la pedofilia e poi le ho tutte, le accuse, eh”.
Sul volto del responsabile Welfare, tra l’incredulità e la sfrontatezza, non si addensa la ruga malmostosa da bersagliato dalle campagne anti “poteri forti”. Né l’eloquio zeppo di doppie “r”, triple “b” e triple “g” palermitane (“rrobbba”, “rragggione”) segnala la minima intenzione di autotenersi a bada: “Non avete i numeri in Parlamento e girate a vuoto, voi che volete restare uno solo come alla Parigi-Dakar”, dice ai Cinque Stelle per un attimo storditi da un responsabile Welfare del Pd che ha un piglio più pugilistico che sindacale. Ed è uno strano contrappasso, ché Faraone è figlio di un dirigente della Cgil siciliana che da piccolo lo portava con sé alle riunioni per fargli conoscere i problemi “del mondo del lavoro”, come racconta sul suo blog di neomaniaco internettiano formatosi fuori dai quartieri della Palermo altolocata (era iscritto alla sezione San Lorenzo).
Consigliere comunale per due volte, consigliere regionale, candidato alle primarie per il sindaco nel 2012 con lo slogan “perdo con gli apparati ma stravinco tra la gente”, arrivato terzo dietro a Fabrizio Ferrandelli e Rita Borsellino, Faraone si presentava come colui che avrebbe mandato “al massacro la vecchia politica”. E però, pur illuminato dal recente successo nazionale, è ancora poco profeta in patria: se è vero che in Sicilia, all’apparenza, sono quasi tutti con lui, tanto che “i sondaggi danno per moltiplicate le percentuali renziane”, come racconta un osservatore locale, è pure vero che da quando Faraone è arrivato a Roma dilagano le insofferenze insulari nei suoi confronti: c’è chi lo chiama “Zelig”, alludendo alla “disinvoltura” di movimento tra ex dalemiani, ex fioroniani, ex centristi di varia provenienza (qualche giorno fa, su Pagina99, in un articolo di Giuseppe Alberto Falci, si ragionava proprio sulla costruzione del “fortino renziano” attorno a Faraone, e sul “sistema di potere” che “racchiude pezzi di Confindustria, dirigenti di peso del Pd e soprattutto ex cuffariani”). Ma vai a capire che cosa si muoverà in futuro sotto la superficie della Palermo dove non si erano mai visti, ultimamente, così tanti palermitani pronti a dichiarare: voterò Pd.
Che cosa vuole fare, a che cosa punta Davide Faraone?, si chiedevano i dietrologi quando lo vedevano sfrecciare in Vespa dietro al suo ufficio, in zona Teatro Massimo, alla vigilia dell’entrata nella pericolante giunta Crocetta dell’assessore Giuseppe Bruno, considerato uomo di “area Faraone” (ma come? non stava sempre a criticare Crocetta, Faraone?, dicono oggi). Chi è costui?, si domandavano invece molti telespettatori dopo le primarie del dicembre 2013, vedendo all’improvviso nel salotto di “Agorà” un tizio non ingessato come alcuni predecessori mandati al combattimento mediatico. Ma ora che Faraone è andato praticamente ovunque (a “Porta a Porta” pare abbia fatto ridere anche la quinta di pubblico silente), qualcuno ha cominciato a chiedersi quanto peserà il nuovo volto da sfondamento che mesi fa sfidava all’O.K. Corral i grillini “codardi e bugiardi” che prima lanciavano accuse “fasciste e mafiose”, questa la sua frase-cavallo di battaglia, e poi “scappavano” come topi.
Ma non si può neppure dire che Faraone sia monocorde: da un momento all’altro salta fuori il padre di famiglia (ha una figlia di undici anni), razionale e moderato, per nulla mondano nella notti siciliane di quasi-estate. E salta fuori anche il deputato che – per convinzione? per sparigliare? – indossa i panni di una correttezza politica forzata: “Per carità, non bisogna ridicolizzare i Cinque stelle come si è fatto con la Lega”, dice quando il dibattito minaccia di degenerare. Ma è solo un attimo di offuscamento nella pirotecnicità: l’inquadratura successiva già restituisce agli astanti la maschera del saraceno che ride di gusto quando in tv gli dicono: “Mi sembri il nipote di Mubarak”.
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