Speciale online 21:30

Ma in un santuario non si prega?

Giulia Pompili

Per i giornalisti che si occupano di Giappone, nel corso degli anni, qualsiasi notizia riguardi il santuario Yasukuni è diventato un modo di dire, un’espressione per riferirsi a un fatto estremamente noioso, sempre uguale. A meno che non inciampi nella delicata questione diplomatica una pop star internazionale, poco più che ventenne, un idolo delle ragazzine in Asia come in occidente, poco avvezzo alle questioni geopolitiche ma capace di guadagnare 58 milioni di dollari l’anno. Ieri il canadese Justin Bieber era in tour in Giappone quando ha visto l’ingresso dello Yasukuni, ha chiesto al suo autista di fermarsi, ha fatto un paio di foto ricordo e le ha postate su Instagram.

    Per i giornalisti che si occupano di Giappone, nel corso degli anni, qualsiasi notizia riguardi il santuario Yasukuni è diventato un modo di dire, un’espressione per riferirsi a un fatto estremamente noioso, sempre uguale. A meno che non inciampi nella delicata questione diplomatica una pop star internazionale, poco più che ventenne, un idolo delle ragazzine in Asia come in occidente, poco avvezzo alle questioni geopolitiche ma capace di guadagnare 58 milioni di dollari l’anno. Ieri il canadese Justin Bieber – un combinaguai, in America c’è una petizione per dichiararlo ospite non desiderato per i suoi incidenti con la legge tra bordelli e alcol – era in tour in Giappone quando ha visto l’ingresso dello Yasukuni, ha chiesto al suo autista di fermarsi, ha fatto un paio di foto ricordo e le ha postate su Instagram. I suoi fan cinesi hanno reagito a insulti, e Bieber è stato costretto a cancellare le foto e a scusarsi. Così la notizia che il giorno prima anche 150 parlamentari giapponesi erano stati in visita al santuario, subito prima della visita ufficiale del presidente americano Barack Obama in Giappone, è passata sotto silenzio. Lo stesso premier Shinzo Abe, che non poteva presenziare, ha inviato un masakaki, un’offerta. La devozione delle figure pubbliche giapponesi scatena le ire di chi la guerra con il Giappone l’ha subita, Cina e Corea del sud in primis, che minacciano ritorsioni e tensioni diplomatiche a ogni visita. E anche Washington, in passato, ha condannato la presenza di Shinzo Abe al santuario. Perché nel libro delle anime dello Yasukuni sono scritti i nomi di 2.466.532 caduti in guerra compresi più di mille individui ritenuti dal tribunale della Seconda guerra mondiale “criminali di guerra”. E fra di loro ci sono anche 14 persone classificate come criminali di classe A, condannate per “crimini contro la pace”.
    Il sogno segreto di Shinzo Abe, la preghiera che avrà espresso alla vigilia della visita del presidente americano in Giappone, di certo non era quello di portare Obama a mangiare del sushi. Ad Abe sarebbe piaciuto ufficializzare una consuetudine, il pellegrinaggio di uomini di stato a un santuario – e per motivi religiosi, non per contraddire la norma costituzionale che sancisce il pacifismo giapponese. Di certo non si aspettava che sarebbe stato un ragazzino canadese a chiarire le cose su Instagram: “Pensavo che un santuario fosse solo un luogo per pregare”, ha scritto Bieber.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.