“Pace” tra Hamas e Fatah

Scetticismo per l'accordo tattico tra fazioni palestinesi

Daniele Raineri

In teoria ieri le due principali fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, hanno annunciato la fine di uno scisma che dura da sette anni e la formazione di un governo di unità nazionale entro le prossime cinque settimane, un esecutivo che indirà elezioni sei mesi più tardi, a dicembre. Hamas è il gruppo islamista che amministra la Striscia di Gaza ed è in uno stato di guerra permanente con Israele (ieri l’ultimo bombardamento contro un uomo del gruppo Jihad islamico, era in motocicletta a Beit Lahiya, nel nord della Striscia); Fatah controlla l’Autorità palestinese nella Cisgiordania ed è coinvolto in una lunga, estenuante tornata di negoziati di pace con Israele, sponsorizzata dal dipartimento di stato americano: la scadenza dei negoziati è il 29 aprile e l’annuncio di ieri equivale a una fine anticipata.
In teoria, si è detto.

    In teoria ieri le due principali fazioni palestinesi, Hamas e Fatah, hanno annunciato la fine di uno scisma che dura da sette anni e la formazione di un governo di unità nazionale entro le prossime cinque settimane, un esecutivo che indirà elezioni sei mesi più tardi, a dicembre. Hamas è il gruppo islamista che amministra la Striscia di Gaza ed è in uno stato di guerra permanente con Israele (ieri l’ultimo bombardamento contro un uomo del gruppo Jihad islamico, era in motocicletta a Beit Lahiya, nel nord della Striscia); Fatah controlla l’Autorità palestinese nella Cisgiordania ed è coinvolto in una lunga, estenuante tornata di negoziati di pace con Israele, sponsorizzata dal dipartimento di stato americano: la scadenza dei negoziati è il 29 aprile e l’annuncio di ieri equivale a una fine anticipata.
    In teoria, si è detto. Fatah e Hamas in passato si sono fatte la guerra (la riconciliazione ora prevede anche uno scambio di prigionieri) e questo non è il primo accordo che tenta di chiudere la separazione violenta tra le due fazioni, senza però essere poi rispettato: ce ne sono stati altri due, al Cairo e a Doha, in Qatar, siglato nel 2011. Per la firma di ieri una delegazione di Fatah è andata a Gaza nella casa del leader di Hamas, Ismail Haniyeh, e dal Cairo è arrivato Moussa Abu Marzouk in rappresentanza della seconda leadership di Hamas, quella esterna, guidata da Khaled Meshaal. Non c’è garanzia che anche questo sarà rispettato. Fatah non condivide l’agenda islamista di Hamas. Hamas non condivide la disponibilità di Fatah a una soluzione “due popoli, due stati”, con Israele.
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    Allora perché firmarlo? L’aria che tira fa pensare a una riconciliazione di facciata che se non è disperata è comunque dettata dalla mancanza di alternative. Hamas sente l’isolamento. Tra un mese ci sono le elezioni in Egitto e c’è quasi la sicurezza matematica che il generale Abdel Fattah al Sisi diventerà il nuovo rais. Com’è nella tradizione dell’esercito egiziano – interrotta soltanto dall’anno di governo dei Fratelli musulmani – al Sisi ha impresso di nuovo alla politica egiziana una direzione fortemente ostile ai palestinesi nella Striscia di Gaza. L’esercito ha quasi sigillato il confine, sta distruggendo i tunnel – che sono collegamenti vitali per Hamas – allagandoli con acqua di fogna, e sorvola la Striscia con piccoli droni per scegliere gli obiettivi in caso di guerra. Il Cairo sta mostrando un rispetto tacito degli accordi di pace con Israele così forte che ieri l’Amministrazione Obama ha sbloccato l’invio di elicotteri da guerra Apache all’esercito egiziano – sospeso lo scorso autunno per la preoccupazione suscitata a Washington dalla repressione contro i Fratelli musulmani. La Siria e l’Iran sono stati in passato sponsor benevoli di Hamas, ma ora sono invischiati nella guerra siriana e non considerano più il sostegno esterno al gruppo come una priorità. Gaza ha bisogno di rompere l’isolamento, di prendere una parte dei soldi dell’Autorità palestinese e di avere una via di transito che non sia l’Egitto. “Annuncio al nostro popolo che gli anni della divisione sono finiti”, ha detto ieri Haniyeh.
    Fatah guadagna uno stumento di pressione in più nelle trattative con il mondo esterno. Da ieri diventa il garante della buona condotta di Hamas, che non ha mai rinnegato l’obiettivo di distruggere Israele. Quando vorrà davvero trattare, per prima cosa abbandonerà il tandem con gli islamisti e lo farà pesare. L’accordo è fragile, ma per oggi tutto lo scorno è ai danni del segretario di stato americano John Kerry, che tanto ha lavorato per la pace tra Fatah e Israele.

    • Daniele Raineri
    • Di Genova. Nella redazione del Foglio mi occupo soprattutto delle notizie dall'estero. Sono stato corrispondente dal Cairo e da New York. Ho lavorato in Iraq, Siria e altri paesi. Ho studiato arabo in Yemen. Sono stato giornalista embedded con i soldati americani, con l'esercito iracheno, con i paracadutisti italiani e con i ribelli siriani durante la rivoluzione. Segui la pagina Facebook (https://www.facebook.com/news.danieleraineri/)