Volare è potere

Quegli sgambetti stranieri per affossare Alitalia

Alberto Brambilla

Il travagliato salvataggio di Alitalia attraverso l’ingresso di Etihad sembra una gincana tra complicati dossier tutti italiani – esuberi, debito delle banche, manleve legali e fiscali, infrastrutture e aeroporti da potenziare – e minacce latenti in arrivo dall’estero che vanno aggirate. E’ il caso delle forti pressioni lobbistiche di Lufthansa sulla Commissione europea tese a influenzare negativamente le trattative. I tedeschi vorrebbero contenere l’eccezionale espansione dei vettori mediorientali in Europa (Qatar, Emirates ed Etihad sono cresciute del 12-16 per cento negli ultimi sette anni – Lufthansa solo del 3,5 – ed entro il 2020 il loro giro d’affari raddoppierà, dice un report Roland Berger pubblicato dal País).

    Il travagliato salvataggio di Alitalia attraverso l’ingresso di Etihad sembra una gincana tra complicati dossier tutti italiani – esuberi, debito delle banche, manleve legali e fiscali, infrastrutture e aeroporti da potenziare – e minacce latenti in arrivo dall’estero che vanno aggirate. E’ il caso delle forti pressioni lobbistiche di Lufthansa sulla Commissione europea tese a influenzare negativamente le trattative. I tedeschi vorrebbero contenere l’eccezionale espansione dei vettori mediorientali in Europa (Qatar, Emirates ed Etihad sono cresciute del 12-16 per cento negli ultimi sette anni – Lufthansa solo del 3,5 – ed entro il 2020 il loro giro d’affari raddoppierà, dice un report Roland Berger pubblicato dal País). La medesima preoccupazione è condivisa negli Stati Uniti da Delta Airways, che in via preventiva ha fatto sapere a Washington (diceva l’Echos) di non tollerare l’alleanza tra Etihad e Alitalia con la quale opera in joint venture insieme ad Air France. Lufthansa potrebbe fare da alfiere e appellarsi a una scivolosa norma del regolamento dei trasporti Ue (n. 1008 del 2008) che vieta a una compagnia extraeuropea di controllare un vettore di un paese membro. A prescindere dalla partecipazione azionaria, Etihad – nella testa dei tedeschi – potrebbe esercitare direttamente o indirettamente un’influenza determinante su Alitalia cioè un controllo di fatto. “Sono circostanze difficili da dimostrare che fanno apparire i lamenti di Lufthansa come una difesa preventiva”, dice Andrea Giuricin, esperto di trasporto aereo dell’Università Milano Bicocca. Tuttavia, per ovviare al potenziale problema, Alitalia studia un espediente. L’imprenditore Luca di Montezemolo starebbe lavorando all’aggregazione degli attuali ventitré soci italiani che ora detengono partecipazioni parcellizzate, pulviscolari. Certo, bisogna capire chi resterà in Alitalia, dove chi investe 100 perde 50 – i soci storici Immsi, Atlantia, Intesa Sanpaolo hanno svalutato circa la metà dell’investimento fatto cinque mesi fa con l’aumento di capitale – ma l’unione può avvenire nella forma di un patto di sindacato (accordo parasociale) o attraverso la creazione di una nuova società ad hoc nella quale fare confluire la maggioranza delle quote (almeno il 51 per cento). Il tutto per avere una massa critica tale da neutralizzare le obiezioni e gli eventuali ricorsi dei concorrenti all’Antitrust europea a valle dell’ingresso di Etihad.

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    Il presidente della Ferrari Montezemolo è considerato il “facilitatore” dell’intesa con la compagnia degli Emirati Arabi in forza dei buoni rapporti che vanta con i top manager del braccio finanziario dell’emirato, il fondo Mubadala. Mubadala aveva investito in Ferrari ed è presieduto dallo sceicco Mohamed bin Zayed Al Nahyan, principe ereditario di Abu Dhabi oltreché proprietario di fatto della compagnia aerea di bandiera. A febbraio Montezemolo ha fatto incontrare brevemente l’allora presidente del Consiglio incaricato Matteo Renzi – a due giorni dal giuramento – con il secondo di Al Nahyan Khaldoon Al Mubarak, il ceo di Mubadala. Secondo indiscrezioni, Montezemolo sarebbe candidato alla presidenza di Alitalia, forse, a partire dal prossimo ottobre. La diplomazia economica ha avuto un ruolo importante, finora in senso negativo, nelle faticose trattative – riservate per modo di dire – tra i due vettori, arrivate allo stallo la scorsa settimana dopo una lettera liquidatoria degli emiratini (un benservito, diceva il Messaggero).

    La stampa italiana ha spesso enfatizzato indiscrezioni di vario genere dando per scontato e in dirittura d’arrivo un accordo che invece è tuttora da costruire. Lo stesso si può dire del ministro dei Trasporti, Maurizio Lupi, in quota Nuovo centrodestra, che si era molto esposto sui media con dichiarazioni propagandistiche e, a volte, controproducenti. Il cda di Alitalia lunedì ha dunque posto una salutare clausola di riservatezza, valida per tutti.
    Ora, mentre i ceo delle compagnie aeree mondiali s’aspettano un “leggero aumento dei profitti” per il secondo anno consecutivo (sondaggio Iata di ieri), Alitalia boccheggia di nuovo: sono quasi finiti i 391 milioni in cassa dopo la ricapitalizzazione di dicembre. E il rischio è di non riuscire materialmente a pagare gli stipendi di maggio. 

    • Alberto Brambilla
    • Nato a Milano il 27 settembre 1985, ha iniziato a scrivere vent'anni dopo durante gli studi di Scienze politiche. Smettere è impensabile. Una parentesi di libri, arte e politica locale con i primi post online. Poi, la passione per l'economia e gli intrecci - non sempre scontati - con la società, al limite della "freak economy". Prima di diventare praticante al Foglio nell'autunno 2012, dopo una collaborazione durata due anni, ha lavorato con Class Cnbc, Il Riformista, l'Istituto per gli Studi di Politica Internazionale (ISPI) e il settimanale d'inchiesta L'Espresso. Ha vinto il premio giornalistico State Street Institutional Press Awards 2013 come giornalista dell'anno nella categoria "giovani talenti" con un'inchiesta sul Monte dei Paschi di Siena.