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Ecco la Liegi-Bastogne-Liegi, andata e ritorno dall'inferno

Giovanni Battistuzzi

Pianura questa sconosciuta. Nelle Ardenne non esiste. Illusione, utopia. Un mangia-e-bevi continuo, senza interruzioni, sotto le ruote la strada sale, poi scende, infine si inerpica. Strappi, che sono denti, almeno a dirla in gergo. Denti che sono lame che si infilano calde e inesorabili nei muscoli dei cercatori d'oro della Vallonia. Oggi va in scena l'andata e ritorno dall'l'inferno: Liegi-Bastogne-Liegi, ovvero la Doyenne, la decana, perché non c'è nulla di più antico nel calendario ciclistico mondiale, forse nulla di più prestigioso, almeno per quanto riguarda le classiche.

di Giovanni Battistuzzi

Pianura questa sconosciuta. Le Ardenne non la conoscono. Illusione, utopia. Un mangia-e-bevi continuo, senza interruzioni, sotto le ruote la strada sale, poi scende, infine si inerpica. Strappi, che sono denti, almeno a dirla in gergo. Denti che sono lame che si infilano calde e inesorabili nei muscoli dei cercatori d'oro della Vallonia. Oggi va in scena l'andata e ritorno verso l'inferno: Liegi-Bastogne-Liegi, ovvero la Doyenne, la decana, perché non c'è nulla di più antico nel calendario ciclistico mondiale, forse nulla di più prestigioso, almeno per quanto riguarda le classiche.

La Liegi è storia secolare, centesima edizione quest'anno. La Liegi è passione ultra centenaria, ottocentesca d'origine. 1892, epoca di pionieri e grandi baffi a manubrio che spingono bici pesanti come cancelli; la "Liege Cyclist Union" chiama raccolta appassionati e ciclisti per caso per un andata e ritorno competitiva da Spa, nei sobborghi di Liegi, a Bastogne, 170 chilometri circa. Il più veloce a percorrerli è Léon Houa, il Brilli Peri belga, folle amante della velocità che come il funambolo toscano scelse le corse d'auto a quelle in bicicletta, trovando poi la morte. Da allora la Liegi ha continuato la sua corsa a pedali, perdendo qualche annata per strada, ma mantenendo intatto il suo fascino. E pensare che poteva sparire: nel 1895 a poche settimane dalla partenza un furibondo litigio tra gli organizzatori fa saltare l'evento. L'Union si spacca tra in tre fazioni: chi la voleva solo per amatori, come nelle prime due edizioni, chi la voleva solo per professionisti, come nell'edizione 1894, chi la voleva comunque a patto che non ci fosse Houa: se correva lui non avrebbe partecipato nessuno, troppo forte, imbattibile. Vennero alle mani, si spaccarono addosso bicchieri di birra e tutto saltò.

Solo nel 1908 si ritornò a correre. Dominio belga per un cinquantennio, poi la Liegi si internazionalizzò, divenne corsa ambita da tutti, arrivarono i campioni europei affascinati dalle storie dei cronisti dell'epoca: leggende che narravano salite feroci come leoni, al traguardo donne belle come principesse, sopra la testa condizioni da tregenda, neve, pioggia o solo ustionante. Nel 1950 l'inserimento della côte de Stockeu indurisce il percorso, lo impreziosisce. E' qui che tentano la selezione decisiva Kubler e Ockers, De Bruyne e Anquetil. E' qui che Merckx s'involava, solo, verso le sue cinque Liegi. Nelle prime quattro lo Stockeu era esplosione, deflagrazione. Il Cannibale divorava tutto e tutti, rimaneva solo e quando qualcuno riusciva a tenere la sua ruota, il suo destino era comunque segnato, le gambe rimanevano dure, pietre e allo sprint avrebbe issato bandiera bianca. L'ultima di Merckx invece segnò l'abdicazione dello Stockeu in favore della Redoute. Un cambio di epoca, l'inaugurazione del monumento delle Ardenne: 2,3 chilometri di ascesa, pendenze che si impennano al 22 per cento, estasi a pedali, la côte per antonomasia. Un mito, l'essenza stessa della Doyenne, emblema, vessillo. E poco importa se ora la differenza la si fa altrove, sulla côte de Saint Nicolas o su quella de la Roche aux Faucons, la Redoute rimane il luogo simbolo di questa corsa. Su queste rampe Moreno Argentin scaldava i motori, faceva la conta di chi gli restava a ruota; erano sempre in pochi. Poi partiva. Arrivava solo. Moreno Argentin è stato il più belga dei nostri atleti, uomo da classiche, che riempiva gli occhi e i cuori dei tifosi, non solo italiani.
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Liegi, provincia d'Italia. Belgio terra di immigrati, terra di italiani: 290mila gli italo-belgi secondo l'ultimo censimento. Un viaggio iniziato per fame alla fine dell'ottocento, continuato per fame dopo la prima e la seconda guerra mondiale, terminata con il boom economico e il disastro di Marcinelle con le sue 262 vittime. Partiti contadini, divenuti minatori. Qualcuno è tornato, in molti sono rimasti. Anche la famiglia di Carmine Preziosi era partita per trovare fortuna. Il padre in miniera a Charleroi, lui invece divenne autista, vetraio, cameriere infine ciclista professionista. Vinse la Liegi nel 1965 dopo una volata di colpi proibiti con Vittorio Adorni. Ora anche lui scende in strada con chi è rimasto per abbracciare il tricolore e tifare gli azzurri. Lo scenario è verticale, una lingua d'asfalto tra case grigie dal tetto spiovente, che diventano colore, si tingono di rosso, verde e bianco: côte de Saint Nicolas, periferia di Liegi. Lì la strada si impenna per l'ultima volta, il traguardo è ad un passo, le energie sono al minimo. Il debutto nel 1998, il giorno dell'apoteosi di Michele Bartoli e del suo volo solitario verso Liegi, la consacrazione nel 2002 quando Paolo Bettini e Stefano Garzelli su quello strappo lasciarono sui pedali i compagni di avventura, Basso, Celestino, Codol, e Kessler (unico non italiano tra i 6 al comando) per poi arrivare mano nella mano al traguardo.

Oggi gli italiani si affidano a Nibali, forse a Cunego. Poco altro. Il resto sarà passione a bordo strada, "vai, vai" urlati a tutti, indipendentemente dalla nazionalità, perché "la Liegi è patrimonio dell'umanità". Firmato Eddy Merckx.

di Giovanni Battistuzzi


 

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