Il buono e il cattivo

Il bastone di Mihajlovic e i bilanci di Guidolin

Sandro Bocchio

Sinisa Mihajlovic è una di quelle persone che fa la gioia dei giornalisti. I concetti non sono banali, gli atteggiamenti non lasciano indifferenti. Non è mai accomodante, parla e agisce per colpire, come gli capitava quando giocava. Ogni portiere sapeva perfettamente in che modo avrebbe calciato un angolo oppure una punizione, ogni portiere era costretto ad arrendersi. Perché le parabole erano uguali a se stesse ma comunque differenti, pronte a recapitare un'insidia quando uno meno se lo aspettava. Come avviene oggi, che Mihajlovic è diventato allenatore. Chi se lo trova di fronte, sa con chi a che fare. Eppure c'è sempre qualcosa di nuovo, che lascia spiazzati.

    Sinisa Mihajlovic è una di quelle persone che fa la gioia dei giornalisti. I concetti non sono banali, gli atteggiamenti non lasciano indifferenti. Non è mai accomodante, parla e agisce per colpire, come gli capitava quando giocava. Ogni portiere sapeva perfettamente in che modo avrebbe calciato un angolo oppure una punizione, ogni portiere era costretto ad arrendersi. Perché le parabole erano uguali a se stesse ma comunque differenti, pronte a recapitare un'insidia quando uno meno se lo aspettava. Come avviene oggi, che Mihajlovic è diventato allenatore. Chi se lo trova di fronte, sa con chi a che fare. Eppure c'è sempre qualcosa di nuovo, che lascia spiazzati. Come sapeva fare un altro serbo illustre quale Vujadin Boskov, che ieri se ne è andato dopo essere stato da tempo rapito nelle nebbie dell'Alzheimer. Parole e gesti simili tra i due, a volte oggi rievocati solo per essere aggiornati ai nostri tempi, come l'immortale "lo stadio senza tifosi è come una donna senza tette", scandito giusto un mese fa. In comune c'è anche la Sampdoria, frequentata da entrambi prima come giocatori e poi come allenatori. Boskov le consegnò nel 1991 il primo (e per ora unico) scudetto della sua storia, a conclusione di un ciclo irripetibile, scandito dalla forza economica di Paolo Mantovani e dai gol della ditta Vialli&Mancini. L'ultimo di una città che non fosse espressione del triangolo Milano-Roma-Torino. Mihajlovic non può aspirare a tanto, perché i tempi sono inesorabilmente cambiati. E' vero che anch'egli si confronta con una famiglia al comando, ai Mantovani di ieri si sono succeduti i Garrone di oggi. Ma la disparità delle risorse in campo è troppo evidente per pensare di rievocare i fasti di un tempo. C'è però la possibilità di creare qualcosa di importante e il serbo per questo è stato chiamato. Perché alla Sampdoria di oggi serviva uno che parlasse chiaro e agisse in maniera conseguente. Con una durezza che Boskov non aveva, ma con identica serietà. Quella che Mihajlovic pretende nei comportamenti e negli atteggiamenti, la stessa che ha spinto la squadra nell'ultimo turno a ribaltare in casa il risultato contro il pericolante Chievo, dopo essere andata sotto di un gol e di un uomo. Teoricamente la Sampdoria avrebbe potuto fregarsene, la salvezza è infatti dato ormai acquisito. Così però non è stato, perché Mihajlovic non ama accontentarsi. Non concepisce zone grigie: o è bianco oppure nero, con la stessa intransigenza riposta alla base del conflitto (prima politico, quindi etnico) che aveva portato alla dissoluzione della Jugoslavia che fu. Per questo Adem Ljajic se ne stava a casa quando non cantava l'inno ai tempi di Mihajlovic ct della Serbia. Per questo i giocatori blucerchiati si sono ritrovati con un riposo cancellato e un allenamento alle 7.30 del mattino dopo una sconfitta poco gloriosa contro la Lazio. Difficile capire se questa sarà la strada maestra, ma lo scatto d'orgoglio avuto a Marassi indica come qualcosa stia passando dalla testa del tecnico a quella della squadra: dalla carota di Zio Vuja al bastone di Sinisa il passo è breve.

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    Se quello alla Sampdoria può sembrare un nuovo inizio, quello che si sta consumando all'Udinese pare invece un lungo addio. Francesco Guidolin non è più il taumaturgo degli anni passati, quando bastava il suo tocco per trasformare i ronzini in puledri oppure per regalare l'elisir di lunga vita a Totò Di Natale. Scomparsi i lampi di un tempo, la testa della classifica appare lontanissima a chi sapeva conquistare insperate qualificazioni in Champions League (mai però confermate da un cammino adeguato in Europa). Ha ragione il tecnico, quando sottolinea di ben sapere come ci si deve comportare a Udine. Da quelle parti viene prima il bilancio: i giocatori si vendono, non si comprano. Perà a furia di cedere - da Alexis Sanchez in giù - il patrimonio è stato drasticamente impoverito, senza venire rafforzato da adeguate contropartite, a meno che non si voglia far credere che Hassan Yebda sia un giocatore degno della serie A. Oggi le entrate future dell'Udinese sono legate a Juan Guillermo Cuadrado, uno che sta facendo sfracelli da altre parti. E la classifica è invece affidata a un onesto manipolo che neppure la sapienza tattica di Guidolin riesce a stimolare. La prospettiva è quella di cominciare a vivacchiare senza soverchie soddisfazioni, nonostante si stia lavorando a uno stadio nuovo e ambizioso. Difficile che il tecnico possa essere ancora della partita, a queste condizioni.