Il mio Veneto alto, dolce e pio, sfigurato dal “Cartongesso” del pregiudizio

Camillo Langone

Questo libro mi ha fatto stare male, mi ha fatto venire le palpitazioni, ho provato a leggerlo a letto ma niente da fare, ogni volta dovevo scendere in cucina a prendere le gocce di biancospino e dopo, non volendo correre altri rischi, aprire il riposante carteggio Ceronetti-Quinzio. Lo so, sono un ragazzo sensibile, beati gli stomaci di struzzo e i cuori di sasso capaci di affrontare “Cartongesso” di Francesco Maino (Einaudi), e digerirlo tranquilli. L’autore è stato paragonato a Thomas Bernhard e non starò qui a dire che non si merita il paragone perché Thomas Bernhard non ha scritto solo capolavori, è possibile che “Cartongesso” sia al livello di qualche Bernhard minore che non ho letto, o forse nemmeno questo.

    Questo libro mi ha fatto stare male, mi ha fatto venire le palpitazioni, ho provato a leggerlo a letto ma niente da fare, ogni volta dovevo scendere in cucina a prendere le gocce di biancospino e dopo, non volendo correre altri rischi, aprire il riposante carteggio Ceronetti-Quinzio. Lo so, sono un ragazzo sensibile, beati gli stomaci di struzzo e i cuori di sasso capaci di affrontare “Cartongesso” di Francesco Maino (Einaudi), e digerirlo tranquilli. L’autore è stato paragonato a Thomas Bernhard e non starò qui a dire che non si merita il paragone perché Thomas Bernhard non ha scritto solo capolavori, è possibile che “Cartongesso” sia al livello di qualche Bernhard minore che non ho letto, o forse nemmeno questo: lo scrittore austriaco montava a romanzo pochissimi elementi, lo scrittore veneto (Maino è veneto) di elementi ne usa moltissimi, talmente tanti che a un certo punto il libro si intasa come certi lavandini, e i frammenti narrativi ristagnano come fossero capelli, peli di barba, sputi di dentifricio. Se esiste una somiglianza fra i due è nella recriminazione, entrambi si lamentano del grasso che cola, Bernhard dell’Austria del Dopoguerra e Maino del Veneto del Ventunesimo secolo. A leggerli sembra che l’Austria fosse la peggior nazione europea e che il Veneto sia la peggior regione italiana: eppure nessuno fuggiva da Vienna in Bulgaria così come nessun padovano sogna di trasferirsi a Catanzaro, neanche dopo una raffica di spritz. “Cartongesso” parla ma soprattutto straparla di Veneto ed è questo che mi ha fatto stare male: non mi toccate il Veneto! Il Veneto di Bassano, Asolo, Conegliano, le piccole capitali della dolcezza del vivere, il Veneto che parla il veneto, il Veneto che sogna e sdrammatizza, il Veneto che è una morbidezza dell’anima, il Veneto delle donne più alte e quindi più belle d’Italia (altezza non è mezza bellezza, è tre quarti), il Veneto dell’adorazione eucaristica perpetua che si irradia da Fiesso d’Artico, riviera del Brenta… Eppure mi è toccato leggere questo: “Il Veneto è tutto uguale, asfissia, campi tritati, bonaccia, soia, noia, fine pena mai, una meravigliosa cella quattro per quattro i cui internati, quattro milioni di ex contadini gonfiati dall’insaccato, ulcerizzati dal cabernet, equivalgono a quattro milioni di corpi ammassati, all’ergastolo” dice il protagonista che deve bere cabernet molto cattivo, dovrebbe passare al valpolicella e al verdiso. Perché il Veneto è tutto diverso, Cadore e Polesine non c’entrano nulla, Venezia e Verona sono realtà quanto mai difformi, e poi gli insaccati fanno dimagrire, come ha spiegato recentemente il grande nutrizionista Gary Taubes: a gonfiare sono spaghetti e pizze, non proprio specialità venete. Aggiornarsi, Maino, aggiornarsi. O aggiornare il protagonista, ammesso siano due persone diverse: entrambi nati nel 1972, entrambi di Motta di Livenza, entrambi avvocati, entrambi residenti a San Donà di Piave…

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    Cos’è questo nascondersi dietro un dito? Per allontanare il sospetto dell’autobiografia bisognava impegnarsi parecchio di più. Sappiamo che quando lo scrittore non fatica ad affaticarsi è il lettore, in “Cartongesso” è quest’ultimo che deve sforzarsi per sospendere l’incredulità e immaginarsi un avvocato Michele Tessari del tutto distinto dall’avvocato Francesco Maino. Tessari, veneto antiveneto che farà la gioia dei lettori romani, mette in fila una serie di luoghi comuni che nemmeno un programma Rai: i veneti sono evasori fiscali, leghisti, razzisti, beoni e ignorantoni, siccome “dopo elementari e medie, dopo liceo e laurea non hanno più letto nulla se non la guida della tele o Quattroruote”. Chiaramente è Tessari che non conosce e non si informa, che non ha letto l’ultimo rapporto Istat secondo il quale i veneti leggono perfino più dei mitici emiliano-romagnoli, e quasi il doppio dei siciliani eredi di non so quante meravigliose civiltà. Chi di sociologia ferisce di sociologia perisce, e “Cartongesso” crolla per il peso dei suoi stessi pregiudizi. Sembra che il Veneto abbia la specialità dei puttanieri e dei cocainomani, dei cattolici ipocriti e dei capannoni. Qui Maino, no, scusate, Tessari, è patetico come un ciclista fuori tempo massimo: l’epoca dei capannoni è finita, in Veneto come nel resto d’Italia, e c’è solo da rimpiangerla. Si potevano costruire meglio? Certamente. Ma sono stati costruiti malissimo ovunque come può constatare chiunque metta il naso fuori dal proprio centro storico. Sull’Autosole da Milano a Bologna, o da Prato a Firenze, non ricordo tratti liberi da cemento riprovevole. La periferia di Termoli è ben più terrificante di quella di Treviso eppure nessuno scrive romanzi contro i molisani avidi e insensibili. “Cartongesso” mi ha fatto imbufalire, mi ha rovinato il sonno, ma c’è di buono che è talmente pieno di note, di numeri e soprattutto di corsivi (centinaia, forse migliaia) da risultare respingente al lettore meno motivato di me: saranno in pochi a sorbirsi duecentotrenta pagine di invettive lanciate da un avvocato immigrazionista contro “un bidè di provincia chiamato bassopiave”.

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).