Lasciateli cantare? - Speciale online 19:22

Perché anche i grillini si fanno un inno da Prima Repubblica

Maurizio Stefanini

“Questa Europa è un'Europa che non smette di mostrarsi fragile / nei suoi concetti e nei suoi perché / si dimostra totalmente instabile”. “E sbatterò i miei pugni su quel tavolo e urlerò tutta la rabbia che c’è in me. E lotterò con le mie forze contro il diavolo del dio denaro che ha corrotto le anime”. Così “I pugni sul tavolo”: inno grillino per le Europee che sembra confermare il ritorno di moda degli inni di partito, dal momento che solo da You Tube per i Cinque Stelle ne risultato almeno altri sette: Da “non siam partito / non siamo una casta / siamo cittadini punto e basta” a “mettiamo i partiti fuori dalle palle”. Qualcuno di quelli della Prima Repubblica era di autore illustre.

    “Questa Europa è un'Europa che non smette di mostrarsi fragile / nei suoi concetti e nei suoi perché / si dimostra totalmente instabile”. “E sbatterò i miei pugni su quel tavolo e urlerò tutta la rabbia che c’è in me. E lotterò con le mie forze contro il diavolo del dio denaro che ha corrotto le anime”. Così “I pugni sul tavolo”: inno grillino per le Europee che sembra confermare il ritorno di moda degli inni di partito, dal momento che solo da You Tube per i Cinque Stelle ne risultato almeno altri sette: Da “non siam partito / non siamo una casta / siamo cittadini punto e basta” a “mettiamo i partiti fuori dalle palle”.

    Qualcuno di quelli della Prima Repubblica era di autore illustre. Quello del Pri, “Noi vogliam che ricchi e poveri” era ad esempio su musica di Romulado Marenco, il compositore del Ballo Excelsior. Mentre l’”Inno a Roma”, adottato dal Msi dopo essere stato nella colonna sonora del regime fascista, era stato composto subito dopo la Prima Guerra Mondiale addirittura da Giacomo Puccini, su una traduzione italiana del “Carmen saeculare” di Orazio. Altri avevano compositori meno illustri, ma in compenso una presenza popolare talmente radicata che passavano da un movimento all’altro. “Bandiera rossa”, ad esempio, era nata in ambito repubblicano, prima di passare ai socialisti e diventare infine un’icona del Pci, non senza essere usata per un po’ anche dal Partito d’Azione. “L’Internazionale” è su un testo scritto in francese da Eugène Pottier nel 1871 per celebrare la Comune di Parigi, poi cantato sull’aria della Marsigliese fino a quando nel 1888 Pierre Degeyter non le diede una melodia a sua volta poi diventata famosa. Tradotta in una quantità di lingue, fu condivisa in Italia da Psi, Psi, Psdi e anche anarchici. Era invece su testo di Filippo Turati del 1896 “l’Inno dei Lavoratori, pure condiviso da Psi e Psdi, ma cantato perfino dai fascisti. Dopo la Bolognina il Pds si prese l’Internazionale e Rifondazione Comunista Bandiera Rossa.

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    Più in generale le innodie socialista, comunista, anarchica e repubblicana erano ricche di decine e decine di pezzi. E anche il  canzoniere del fascismo era piuttosto nutrito. I moderati cantavano di meno, però la Dc aveva il famoso “O Biancofiore”, mentre il Pli nei suoi ultimi anni usava l’europeo “Inno alla Gioia” e i fondatori del Partito Radicale al primo congresso avevano intonato “La Marsigliese”. Ma comunque, sul finale della Prima Repubblica si trattava di un folklore che metteva ormai un po’ di imbarazzo, tant’è che il simbolo della svolta del Pci fu appunto un congresso sulla musica di Sting.

    A sinistra si è poi continuata con questa infatuazione per la musica leggera: dalla “Canzone Popolare” di Ivano Fossati, sigla della vittoria dell’Ulivo nel 1996, all’Inno di Gianna Nannini usato da Bersani nell’ultima campagna elettorale del Pd. Mentre la Lega scippato al Risorgimento il “Va Pensiero” di Verdi. In compenso, l’inno ad hoc è stato rilanciato a forza da Berlusconi, con più di uno: “Forza Italia”, “Azzurra Libertà”,  “Meno male che Silvio c’è”, “Gente della libertà”. E su quel modello pezzi nuovi sono stati composti per An, Ccd, Destra, Italia dei Valori, perfino i Responsabili Nazionali. Insomma, un folklore in apparenza inutile, ma che forse rivela un bisogno disperato di identità che la politica post-ideologica della Seconda repubblica fa fatica a surrogare.