Via lo stato dalle aziende
Alstom vuole tirare il colpo fatale al dirigismo del governo francese
La decisione del consiglio di amministrazione di Alstom di privilegiare l’offerta dell’americana General Electric, in barba alle pressioni dell’Eliseo a favore del gruppo tedesco Siemens, potrebbe segnare la fine del dirigismo statalista in Francia. Anche il ministro più anticapitalista del governo di François Hollande, l’antiglobal e antiamericano Arnaud Montebourg, rischia di doversi arrendere alle forze del mercato. Il dossier Alstom “non è chiuso”, ha garantito ieri il responsabile del dicastero dell’Economia durante un’audizione all’Assemblea nazionale.
La decisione del consiglio di amministrazione di Alstom di privilegiare l’offerta dell’americana General Electric, in barba alle pressioni dell’Eliseo a favore del gruppo tedesco Siemens, potrebbe segnare la fine del dirigismo statalista in Francia. Anche il ministro più anticapitalista del governo di François Hollande, l’antiglobal e antiamericano Arnaud Montebourg, rischia di doversi arrendere alle forze del mercato. Il dossier Alstom “non è chiuso”, ha garantito ieri il responsabile del dicastero dell’Economia durante un’audizione all’Assemblea nazionale: il governo intende difendere gli “interessi industriali della nazione” – ha spiegato Montebourg – e un aumento della partecipazione dello stato “è allo studio”, dopo gli appelli dei sindacati a una “nazionalizzazione temporanea”. Ma con appena l’1 per cento di Alstom (detenuto attraverso la Cassa depositi e prestiti) e malgrado un rilancio di Siemens, è improbabile che Montebourg riesca a sbarrare la strada a Patrick Kron, l’amministratore delegato del conglomerato, che vuole concentrarsi sul settore trasporti, cedendo agli americani le attività energia. “La forza dell’offerta di General Electric non si fonda su una esclusività, ma sulla sua pertinenza”, ha detto Kron al Monde, spiegando però che il consiglio di amministrazione di Alstom terrà comunque in considerazione l’offerta di Siemens.
General Electric ha messo sul tavolo 12,35 miliardi in contanti, più una serie di garanzie politiche, come l’aumento dei posti di lavoro e il mantenimento di alcuni sedi sociali in Francia. Siemens ha ritoccato la sua offerta informale verso l’alto, valutando il comparto energia di Alstom tra i 10,5 e gli 11 miliardi e offrendo in contropartita le sue attività su treni ad alta velocità, metropolitane e tram. Il governo tedesco della cancelliera Angela Merkel segue il dossier da vicino e dice di essere favorevole alla creazione di un Airbus dell’energia in cambio di un Airbus dei trasporti. Ma intanto gli investitori hanno sentenziato a favore di General Electric, con un balzo del 10 per cento delle azioni Alstom alla ripresa delle quotazioni.
[**Video_box_2**]Nell’intervista al Monde, Kron ha risposto all’accusa di Montebourg di aver mentito al governo sulle trattative riservate con il colosso americano. “Tutto ciò che è eccessivo è insignificante. Sono un industriale. Faccio un discorso che si basa sulla responsabilità. Voglio parlare di Alstom”. Tradotto: non sono un politico urlante, guardo alla logica industriale e di mercato, non alle chimere socialisteggianti e nazionaliste di un ministro che vuole rilanciare la Francia indossando la serafina.
La “dottrina Montebourg” è valsa al ministro qualche applauso di grossi imprenditori a corto di contante e in difficoltà sui mercati mondiali. Ma la “cultura Montebourg” sta provocando un esodo industriale verso lidi più favorevoli per chi fa impresa. Il fenomeno non è limitato alle piccole start-up innovative come Sword Group, Solutions 30 e DNXcorp, che hanno imboccato la strada verso il Lussemburgo. Anche alcuni colossi hanno deciso di emigrare da un paese che impone un’aliquota al 75 per cento per i manager che guadagnano più di un milione di euro, che ha una fiscalità eccessiva sul lavoro e in cui le imprese – soprattutto grandi – non sono mai al riparo da interferenze politiche. Publicis ha approfittato dell’alleanza con l’americana Omnicom per annunciare una soluzione à la Fiat: sede sociale ad Amsterdam e sede giuridica a Londra. Il gruppo del cemento Lafarge, dopo il matrimonio con Holcim, ha trasferito il quartier generale a Zurigo. Schneider Electric ha fatto i bagagli per delocalizzare le sue istanze dirigenti a Hong Kong.
L’esodo rischia di accentuarsi ora che, per la prima volta nella sua storia, il Cac 40 è controllato al più del 50 per cento da stranieri. Con la crisi e senza riforme strutturali, le imprese francesi sono sempre più fragili: dopo aver fatto man bassa in Italia, la Francia è un boccone ghiotto per stranieri meno sensibili alle pressioni dell’Eliseo delle vecchie famiglie industriali transalpine, che non hanno più la liquidità necessaria a sostenere il dirigismo. Fondi pensione olandesi o società di investimento come BlackRock (salita oltre il 5 per cento in Publicis) non devono niente al governo. Non è un caso se si tengono alla larga da gruppi come Edf e Gdf-Suez, in cui lo stato ha mantenuto quote rilevanti. A Montebourg non resta che sperare nella benevolenza del Qatar: l’emirato, attraverso la Qatar Holding Llc e la Qatar Investment Authority, è diventato il primo azionista di Total e detiene il 12,8 per cento di Lagardère, il 5,3 per cento di Vinci, il 2 per cento di Vivendi e l’1 per cento di LVMH.
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