“Un pezzo di me muore”. L'onesta invidia di Boris per il fratello minore

Annalena Benini

Boris Johnson, biondo sindaco di Londra, è stato onesto. Invece di nascondersi dietro mille masticate smancerie, ha dichiarato la sua invidia per il successo del fratello minore, Jo, quarantenne anch’egli biondo e appena nominato capo dello staff politico di David Cameron, a Downing Street: “Un piccolo pezzo di me muore – ha detto il sindaco – ma per il resto mi rallegro con mio fratello”. Un piccolo pezzo di me muore, roso dall’invidia per una cosa che non è toccata a me, ma al mio parente strettissimo, sangue del mio sangue, con cui giocavo a nascondino e con cui facevamo a botte, e vincevo sempre io.

    Boris Johnson, biondo sindaco di Londra, è stato onesto. Invece di nascondersi dietro mille masticate smancerie, ha dichiarato la sua invidia per il successo del fratello minore, Jo, quarantenne anch’egli biondo e appena nominato capo dello staff politico di David Cameron, a Downing Street: “Un piccolo pezzo di me muore – ha detto il sindaco – ma per il resto mi rallegro con mio fratello”. Un piccolo pezzo di me muore, roso dall’invidia per una cosa che non è toccata a me, ma al mio parente strettissimo, sangue del mio sangue, con cui giocavo a nascondino e con cui facevamo a botte, e vincevo sempre io. Ero io il più importante, il fratello intelligente, e adesso se lui mi supera che faccio? Il Guardian, nel dare la notizia, ha subito lanciato il dibattito, citando Gore Vidal: “Non è sufficiente avere successo; gli altri devono fallire” (un po’ come il potere sulle feste di Jep Gambardella nella “Grande Bellezza”). Ed è meglio se a fallire, o almeno a non trionfare, siano le sorelle, i fratelli, le mogli, i cugini di primo grado, le persone più vicine a noi insomma, con cui ci confrontiamo ogni giorno, di cui conosciamo tutti i difetti. E’ naturale, chiede il Guardian ai lettori, essere gelosi del successo delle persone a cui dovremmo tenere di più al mondo? Si può simpatizzare con Boris Johnson, che si sente morire all’annuncio della nomina di Jo Johnson a Downing Street? Il fatto è che nessuno, a parte il sindaco di Londra, ammetterebbe mai di avercela a morte con la sorella che ha vinto alla lotteria, o che è diventata ministro, o che ha sposato un uomo bellissimo. L’invidia va nascosta accuratamente dietro altre recriminazioni (da quando è diventata famosa non è [**Video_box_2**]più la stessa, chi si crede di essere, e comunque io lo so chi è davvero, può anche ingannare tutto il mondo ma non me) e sotto molti strati di gioia, ammirazione, solidarietà, oppure indifferenza. E’ più facile, per alcuni, provare tutto l’amore del mondo nei momenti di difficoltà, piuttosto che nei giorni felici del successo. Succede ai mariti di non riuscire a sopportare i trionfi delle mogli e di desiderare segretamente che vada tutto a rotoli, vergognandosi, magari, ma non riuscendo a fare a meno di sentirsi oltraggiati, infastiditi, e trovando ignominioso il telefono di lei che squilla di continuo. Succede anche alle mogli di essere invidiose: Kathryn Chetkovich, ex fidanzata di Jonathan Franzen, confessò in un racconto intitolato “Envy” il sentimento che la divorò quando lesse per la prima volta “Le correzioni”. Era il 2001, e a settembre il romanzo di Franzen venne pubblicato, una settimana prima della tragedia delle Torri gemelle. Kathryn guardava la televisione e non riusciva a pensare ad altro: crollano le Torri, almeno adesso la smetteranno di parlare di quel dannatissimo libro. E’ un sentimento meschino, ma incontrollabile: non ci si può costringere a non essere invidiosi, se lo si è, a non desiderare per sé quello che sta accadendo a chi conosciamo bene, a ritenere di meritarlo molto di più (ed entrano in gioco, subito, le infanzie infelici, la partenza svantaggiata, la sfortuna, la troppa onestà). Soprattutto se si è parenti, se c’è stata condivisione di stanze, di letti a castello, di vacanze al mare, di trattamenti contro i pidocchi, sembra agli invidiosi che il consanguineo avrebbe dovuto chiedere il permesso prima di allungare il passo, o almeno esprimere pubblicamente eterna gratitudine a chi non l’ha strangolato nella culla e gli ha quindi consentito di arrivare fino in cima. “Una piccola parte di me muore”, come quando vengono annunciati gli Oscar e i candidati non vincenti devono comunque sorridere e congratularsi. Almeno loro non sono fratelli.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.