Speciale online 20:50
L'Italia al tempo delle grandi compravendite globali
Dopo anni di torpore i mega-deal, i grandi accordi tra colossi, stanno tornando. La francese Alstom contesa per le sue turbine elettriche e i suoi treni dell'alta velocità tra l'americana General electric e la tedesca Siemens. AstraZeneca corteggiata dalla rivale Pfizer nella farmaceutica, un accordo da oltre cento miliardi di dollari, cifra record. Ma in questo, comunque sia, gradito ritorno, qual è il posto dell'Italia?
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Dopo anni di torpore i mega-deal, i grandi accordi tra colossi, stanno tornando. La francese Alstom contesa per le sue turbine elettriche e i suoi treni dell'alta velocità tra l'americana General electric e la tedesca Siemens. AstraZeneca corteggiata dalla rivale Pfizer nella farmaceutica, un accordo da oltre cento miliardi di dollari, cifra record. Per gli ottimisti le grandi corporation si muovono spinte dalla prospettiva di un miglioramento dell'economia. Per gli scettici, dice il settimanale Economist, il "revival" internazionale del M&A è dettato dalla possibilità di acquisizioni a basso costo. E, per quanto riguarda la farmaceutica, diceva invece il Financial Times, è da ricondurre alla necessità delle aziende di aggregarsi per ridurre i costi di produzione (quasi proibitivi per un singolo gruppo) dei farmaci più innovativi come quelli antitumorali (dieci anni fa sviluppare un farmaco di questo tipo costava 300 milioni, oggi supera il miliardo). Ma in questo, comunque sia, gradito ritorno, qual è il posto dell'Italia? In un'economia parcellizzata, fatta per la quasi totalità di piccole e medie imprese non deve stupire se le acquisizioni più importanti sono state fatte da soggetti statali come il Fondo strategico italiano, braccio di investimenti della Cassa depositi e prestiti, una banca di stato partecipata all'80 per cento dal Tesoro e per la restante parte dalle fondazioni bancarie. Il Fondo strategico nel 2013 invece ha comprato la maggioranza di [**Video_box_2**]Ansaldo Energia (657 milioni), la branca energetica ceduta da Finmeccanica che era finita, un po' come Alstom, nel mirino di Siemens e concorrenti coreani per le sue turbine. E ancora: la maggioranza della società che si occupa di servizi bancari Sia (454 milioni), comprata dalle principali banche italiane che ne erano azioniste, e infine Valvitalia, compagnia pavese di valvole petrolifere già adocchiata da fondi americani. "Operazioni che proiettano il Fsi tra i principali player del mercato M&A italiano dell’ultimo periodo", dice la società di consulenza Kpmg che ha raccolto i dati. E che, si potrebbe aggiungere, hanno un sapore un po' protezionistico. E adesso? "Non entreremo nel grande gioco – dice Stefano Salvadeo, capo dell'advisory di Grant Thornton, una multinazionale della consulenza – Non abbiamo dei player internazionali in grado di dire la loro nella tecnologia o nelle telecomunicazioni. L'ultima grande operazione è stata la fusione Fiat-Chrysler, lì siamo stati i conquistatori e non i conquistati". I conquistatori, forse, arriveranno. E non sarebbe un male. Almeno gli imprenditori se lo aspettano ed è una novità. Secondo un sondaggio di Grand Thornton somministrato a 12.500 aziende in Europa, Asia e Americhe emerge che i manager italiani sono consapevoli – come mai prima d'ora – che nei prossimi tre anni la loro società vedrà delle modifiche nell'assetto proprietario: il 13 per cento degli intervistati contempla questa eventualità, un anno fa solo il 5. Uno scarto così ampio (8 per cento) non si registra in nessun altro dei paesi industrializzati, più abituati al movimento di capitali e meno refrattari al mercato del solito statico capitalismo italiano. Almeno sulla disponibilità a vedere cambiare l'assetto proprietario qualcosa cambia, in questo caso eguagliamo gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.
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