Rivoluzionario a chi?

Claudio Cerasa

Sono passati dodici mesi e abbiamo visto praticamente di tutto. Abbiamo visto il colore, il folclore, le provocazioni, le trasformazioni, le scatolette di tonno, le gaffe, gli scivoloni, le sirene, i microchip, le espulsioni, le censure, le epurazioni, le scomuniche, le capriole, lo smarrimento, i ceffoni, i post, i video, i tweet, le passeggiate sui tetti, le proteste contro er birderberg e le magnifiche alleanze con i parrucconi, con gli Stefano Rodotà, con i Gustavo Zagrebelsky, con le Barbara Spinelli, con i Flores d’Arcais. Sono passati dodici mesi dalla formazione del primo governo della diciassettesima legislatura (era il ventotto aprile e a giurare fu il governo di Enrico Letta), e dodici mesi dopo il partito più giovane, con molte g, più trendy, con molti smile, più connesso, con molti hashtag, si ritrova, in mezzo a mille contraddizioni, a essere, stando ai numeri, il secondo partito d’Italia.

    “Mi sono grattato i coglioni quando ho chiesto a Napolitano il governo, perché non sapremmo governare”.
    Beppe Grillo, 5 aprile 2013

    Sono passati dodici mesi e abbiamo visto praticamente di tutto. Abbiamo visto il colore, il folclore, le provocazioni, le trasformazioni, le scatolette di tonno, le gaffe, gli scivoloni, le sirene, i microchip, le espulsioni, le censure, le epurazioni, le scomuniche, le capriole, lo smarrimento, i ceffoni, i post, i video, i tweet, le passeggiate sui tetti, le proteste contro er birderberg e le magnifiche alleanze con i parrucconi, con gli Stefano Rodotà, con i Gustavo Zagrebelsky, con le Barbara Spinelli, con i Flores d’Arcais. Sono passati dodici mesi dalla formazione del primo governo della diciassettesima legislatura (era il ventotto aprile e a giurare fu il governo di Enrico Letta), e dodici mesi dopo il partito più giovane, con molte g, più trendy, con molti smile, più connesso, con molti hashtag, si ritrova, in mezzo a mille contraddizioni, a essere, stando ai numeri, il secondo partito d’Italia. Sbirciamo i sondaggi di maggio. Ipr Marketing: Pd 32,7 per cento, Movimento 5 stelle 24. Datamedia Ricerche: Pd 31,5 per cento, Movimento 5 stelle 25,5 per cento. Ipsos: Pd 34,3 per cento, Movimento 5 stelle 22,5. Emg: Pd 33,6 per cento, Movimento 5 stelle 24,6 per cento. I sondaggi dunque sono buoni, molti elettori continuano a sentirsi lontani dai vecchi partiti, Grillo e Renzi, a questo punto della campagna elettorale, sembrano i due veri competitor (ma poi, queste Europee, quanto contano davvero, su), Grillo, e in un certo modo anche Renzi, sta tentando in tutti i modi di imporre nel flusso comunicativo della campagna elettorale una sorta di schema bipartitico, dove da un lato si trova l’unica opposizione al governo di grande coalizione, ovvero il Movimento 5 stelle, e dall’altra si trova l’unica forza in opposizione al Movimento 5 stelle, ovvero la grande coalizione renziana allargata a Forza Italia per le riforme costituzionali, e lo schema ha un suo senso. Funziona. E’ immediato. Viene capito da tutti. E conviene anche a Renzi (tutti i sondaggi dicono che più Renzi attacca Grillo e più i consensi del Pd salgono di livello). Grillo contro tutti. Contro Berlusconi, contro Alfano, contro Renzi e contro Napolitano. Grillo come unica opposizione alle larghe intese. Ok. Ma, sondaggi a parte, scorrendo la timeline del primo anno in Parlamento dei deputati e dei senatori a 5 stelle risulta difficile individuare grandi successi ottenuti alla Camera o al Senato dai cittadini pentastellati (al 25 marzo, come ricordato qualche giorno fa dal Post, i progetti di legge presentati risultano 199, di cui 8 sono stati approvati in testo unificato, sono cioè proposte di legge inserite in testi più ampi su uno stesso argomento i cui primi firmatari – con un’unica eccezione – non sono rappresentanti del M5s). Successi, dal punto di vista di Grillo, possono essere considerati gli effetti generati dalle battaglie combattute sul decreto Bankitalia-Imu (il governo Renzi, a differenza di quello Letta, ha chiesto alle banche uno sforzo maggiore sulle quote di Bankitalia), sulla decadenza di Berlusconi (il voto palese è una vittoria grillina), sulla destinazione dei fondi per il rimborso elettorale alle piccole e medie imprese (anche se poi in questi mesi, proprio sul tema finanziamento pubblico, i grillini hanno fatto il doppio gioco, e se da un lato hanno rinunciato ai rimborsi elettorali per il Movimento, dall’altro lato non hanno rinunciato ai ricchi rimborsi elettorali destinati ai gruppi parlamentari), sul ricambio generazionale (la scelta di puntare sui giovani da parte di Renzi è anche un modo per fare concorrenza a Grillo su questo terreno) e sull’imposizione di una dittatura della trasparenza (con cui il Partito democratico – sia quello a trazione bersaniana sia soprattutto quello a trazione renziana – ha mostrato una certa sensibilità, vi dice nulla la parola streaming?). La diciassettesima legislatura è, da questo punto di vista, la legislatura delle dirette, delle spese pubblicate online, del rocambolesco tentativo di creare un rapporto diretto tra l’eletto e l’elettore. Ma andando più a fondo e provando a infilare il bisturi nel corpo del Movimento 5 stelle e osservando con occhio il più possibile equilibrato il bilancio del movimento alla sua prima esperienza dentro le stanze del Palazzo si può dire che il vero punto da cogliere sul pianeta dei 5 stelle è quello legato alla battaglia più complicata con cui il partito di Grillo (diciamo partito non a caso) si è ritrovato a fare i conti in questi mesi di non governo: la progressiva e inesorabile e drammatica normalizzazione del movimento e l’impossibile trasformazione dei cinque stelle da movimento antagonista a movimento rivoluzionario. E per capire a cosa ci stiamo riferendo l’espressione da appuntare su un foglietto di carta è questa: “Porta a Porta”.

    “Gentile presidente, sarò breve e circonciso”.
    Davide Tripiedi, deputato del Movimento 5 stelle 25 marzo, 2014

    [**Video_box_2**]Il processo di normalizzazione del Movimento 5 stelle avviene in vari passaggi. Si confonde con alcune fasi politiche in cui i militanti del partito di Grillo sono riusciti nell’impresa di portare in Parlamento lo stesso spirito comico del proprio capo popolo – “Per me Beppe Grillo è patrimonio mondiale dell’umanità come le Dolomiti, la Costiera Amalfitana o la musica”, ha detto il presidente della vigilanza Rai Roberto Fico il 13 luglio 2013; “Perché non ammettere un fatto tanto evidente?”, ha detto la deputata Tatiana Basilio, commentando una docufiction sulle sirene, la cui esistenza, secondo la deputata a 5 stelle, sarebbe misteriosamente celata dai mezzi di informazione; “In America hanno cominciato a mettere microchip nel corpo umano per controllare la popolazione”, ha detto il deputato Paolo Bernini il 5 marzo 2013, lo stesso che all’arrivo in Parlamento si era descritto così: “Sono laureato in Tecnologie della comunicazione. I temi che mi stanno cari sono la tutela degli animali e la laicità dello stato. Sono vegano e sono disiscritto dalla chiesa cattolica” (altre magnifiche chicche le trovate ogni giorno seguendo il segugio Pietro Salvatori, sull’Huffington). E si concretizza in modo plastico dopo una lunga serie di suicidi politici – il voto per l’elezione del presidente della Repubblica, la melina sulla legge elettorale, il pasticcio sul governo del cambiamento, le modalità delle epurazioni, la rottamazione della dissidenza – il 31 marzo del 2014 quando i capi supremi del Movimento 5 stelle, Beppe Grillo e Roberto Casaleggio, scelgono di firmare il famoso manifesto contro la svolta autoritaria del governo Renzi promosso da Libertà e Giustizia, e controfirmato dagli stessi romanticoni imparruccati (Nadia Urbinati, Sandra Bonsanti, Roberta De Monticelli, Salvatore Settis, Rosetta Loy, Nando Dalla Chiesa, Barbara Spinelli, Paul Ginsborg, Gino Strada, Tomaso Montanari, Dario Fo, Fiorella Mannoia) che alcuni mesi prima avevano chiesto con tutti i mezzi a loro disposizione all’ex segretario del Pd Pier Luigi Bersani di dar vita a un governo con gli amici di Grillo e Casaleggio. Il senso dell’appello lo ricordate tutti: diciamo no alla semi abolizione del Senato voluta dal governo Renzi per salvaguardare le prerogative del Parlamento e impedire che l’esecutivo guidato dal segretario del Pd possa iniettare nelle vene del paese un pericoloso veleno autoritario. Il cortocircuito è sottile ma drammaticamente evidente. E a parte l’ironia che si potrebbe fare sul fatto che a chiedere al governo Renzi di non imboccare una svolta autoritaria sia il partito più personale che esiste oggi in Parlamento (lo stesso partito non partito il cui statuto, per capirci, concentra formalmente il potere del movimento nelle mani di tre persone: Giuseppe Piero Grillo, presidente, suo nipote Enrico Grillo, vicepresidente, e il commercialista Enrico Maria Nadasi, segretario; e lo stesso partito in cui è sufficiente un clic per espellere un deputato o un senatore dal proprio gruppo parlamentare; e lo stesso partito in cui è lo stesso capo carismatico a ripetere seppure con un sorriso di non essere e di non poter essere per nessuna ragione un democratico). A parte tutto questo, l’iscrizione di Grillo e Casaleggio al partito della conservazione della Carta e al partito della difesa del bicameralismo suona come una spassosa contraddizione: sia andando a rileggere ciò che Grillo ha sempre detto della Costituzione (“Chi sventola in toto l’attuale Costituzione come un Vangelo e si indigna e si aggrappa ad essa come un naufrago o non l’ha letta o l’ha capita male”, Beppe Grillo 7 gennaio 2012); sia andando a rileggere ciò che Grillo sempre con un sorrisone dei suoi accompagnato da un cordiale gesto dell’ombrello suggeriva un anno e mezzo fa in campagna elettorale (“Lanciate un missile sul Parlamento, le coordinate ve le diamo noi”, 3 febbraio 2013). Lui, Grillo, il valoroso principe dell’innovazione, il gagliardo teorico della distruzione del Parlamento, la famosa scatola di tonno da aprire con il coltellaccio, che a poco a poco si iscrive per necessità e opportunità al partito della conservazione. La scelta del movimento di ammanettarsi al partito dei parrucconi è – in privato lo raccontano molti deputati pentastellati – una mossa per preparare un terreno comune per la successione di Napolitano. Ma siamo sicuri che Grillo riuscirà a indossare anche dopo le Europee l’abito surreale del conservatore rivoluzionario? Di chi vuole bombardare il Parlamento e poi si indigna per la fine del bicameralismo perfetto? Mmm.

    “Il Senato può essere diminuito come membri, come costi, ma ci vuole un organo di controllo oltre la Camera. E’ necessario, c’è in tutta Europa, in tutto il mondo”.
    Beppe Grillo, 2 aprile 2014

    Sulle contraddizioni, i cambi di verso, le capriole, le incoerenze del Movimento 5 stelle e del suo capo carismatico si potrebbe scrivere un trattato e si potrebbe ricordare come, per esempio, il Grillo che oggi chiede di tornare al voto per evitare il tracollo dell’Italia e per evitare l’escalation del debito pubblico è lo stesso Grillo che appena tre anni fa riteneva rovinoso votare così all’improvviso proprio per evitare di mettere a repentaglio la nostra economia e il nostro debito pubblico (“Le elezioni anticipate sono un cupio dissolvi che porterebbe fieno a qualche partito minore e precipiterebbero l’Italia nel caos; una soluzione per guadare la melma in cui siamo immersi è un governo tecnico di durata sufficiente per mettere per quanto si può sotto controllo il debito pubblico che sta esplodendo nel silenzio generale per ridare la scelta del candidato agli elettori, per eliminare i rimborsi elettorali ai partiti e per fare una legge sul conflitto di interessi che elimini alla radice il problema Berlusconi”, Beppe Grillo, primo agosto 2010). Per non parlare poi del fatto che lo stesso Grillo che oggi chiede (o meglio, chiedeva) l’impeachment per il presidente della Repubblica “per il suo aver modificato in modo sostanziale la forma di stato e di governo della Repubblica italiana delineata nella Carta costituzionale vigente”, riferendosi principalmente al governo occulto che il capo dello stato starebbe esercitando dal Quirinale, è lo stesso fantastico Grillo che un tempo pregava in ginocchio il presidente della Repubblica per sospendere la democrazia e nominare un capo del governo diverso rispetto a quello scelto alle urne dagli elettori (“In questa situazione lei non può restare inerte, ha il diritto dovere di nominare un nuovo presidente del Consiglio al posto di quello attuale. Una figura di profilo istituzionale, non legata ai partiti, con l’unico mandato di evitare la catastrofe economica e di incidere sulla carne viva degli sprechi”, Beppe Grillo, 30 luglio 2011). La vera spia però della progressiva normalizzazione del Movimento 5 stelle è legata in buona parte a due date che rimarranno nella storia del partito di Grillo: 30 aprile 2013, 30 aprile 2014. La prima data coincide con la prima espulsione avvenuta in Parlamento di un esponente del Cinque stelle. La seconda data coincide con una trattativa significativa condotta dallo staff di Grillo: “Porta a Porta”. Ricordate? Un anno fa lo spirito con cui il Movimento cinque stelle arrivò in Parlamento era quello di chi considerava la televisione il male assoluto (“Ho fatto la tv per 40 anni, fa male non per quello che viene detto ma per quello che si vede. Noi non andremo in televisione, noi la occuperemo”, Beppe Grillo, 2 giugno 2013). E proprio in forza di questo principio (inserito persino nel sacro statuto del Movimento cinque stelle) il 30 aprile del 2013 Grillo scelse di indire un referendum online per cacciare il senatore Marino Mastrangeli, reo (citiamo dal blog di Grillo) di aver “violato numerose volte la regola ‘Evitare la partecipazione ai talk show televisivi’ senza sentire alcun coordinamento con i gruppi parlamentari e danneggiando così l’immagine del M5s con valutazioni del tutto personali”. Un anno dopo – un anno dopo l’epurazione del senatore Mastrangeli, crocifisso per una sua allegra scampagnata nel salotto di Barbara D’Urso – senza aver sentito la necessità di consultare la famose bbase, con molte b (a proposito di bbase, che fine ha fatto il referendum che Grillo aveva promesso per dare ai suoi elettori la possibilità di esprimersi sulla riforma del Senato?) Grillo è lì che rilascia interviste su interviste. Che accetta di conversare a lungo con Enrico Mentana, con Sky Tg 24, con “Servizio Pubblico” (mai in studio, sempre interviste in remoto). Che accetta anche di trattare con “Porta a Porta” per studiare un’ospitata nello studio di Bruno Vespa. E che autorizza i suoi ragazzi pentastellati, diventati nel corso del tempo più dei professionisti dello status che dei professionisti delle riforme, a spendere parte consistente delle proprie risorse più in consulenti di comunicazione che in consulenti legislativi (sempre con l’idea che il Parlamento sia un surrogato di quella vera lotta politica che si combatte naturalmente sul web). La scelta di introdurre una deroga virtuale allo statuto del Movimento cinque stelle – deroga non diversa da quella introdotta dallo stesso Grillo all’inizio della legislatura rispetto alla questione delle alleanze (il comico genovese in campagna elettorale ha sempre sostenuto che i Cinque stelle non avrebbero mai stretto nessuna alleanza con nessun partito, salvo poi, una volta nato il governo Letta, denunciare il Pd, e Bersani, per non aver presentato al movimento una credibile proposta di alleanza di governo) – appare più un segnale di debolezza che di forza: come una consapevolezza diffusa, e un’ammissione drammatica, che il Movimento 5 stelle, che non doveva in nessun modo contaminarsi con gli strumenti della vecchia politica, è ora costretto a ricorrere agli strumenti della vecchia politica per migliorare le proprie performance. La scelta di sacrificare alcuni deputati e senatori rientra all’interno di questa logica: punire, censurare, cacciare, epurare per dimostrare la propria incontaminata purezza. E da questo punto di vista il tema delle epurazioni è forse il capitolo più contraddittorio mostrato dai 5 stelle nella propria esperienza di non governo. Pensateci: i massimi teorici della democrazia (diretta) che espellono dal proprio movimento i non allineati al proprio capo. Fantastico. La prima espulsione parlamentare è stata quella del senatore Mastrangeli e a poco a poco la lista dei deputati e senatori pentastellati allontanati dai grillini è aumentata di mese in mese. Alla Camera sono finiti fuori dal movimento Alessio Tacconi, Vincenza Labriola, Alessandro Furnari, Adriano Zaccagnini, Ivan Catalano. Al Senato sono finiti fuori dal movimento Marino Mastrangeli, Adele Gambaro, Bartolomeo Pepe, Francesco Campanella, Luis Orellana, Alessandra Bencini, Paola De Pin, Lorenzo Battista, Monica Casaletto, Laura Bignami, Maurizio Romani, Fabiola Anitori, Maria Mussini, Fabrizio Bocchino. Non saranno gli ultimi.

    “Amministrare vuol dire calarsi nella politica reale, lavorare duramente affrontando i problemi, intraprendere con coraggio la strada che si ritiene migliore per la propria città, la più giusta e la più equa (…). Fintanto che non si governa tutte queste cose non si possono capire, senza viverle ogni giorno sulla propria pelle non si capiranno mai”.
    Federico Pizzarotti, sindaco grillino di Parma scomunicato da Beppe Grillo dopo aver contestato i criteri con cui il Movimento 5 stelle ha selezionato i suoi candidati alle elezioni europee (“Candidati mai visti prima”).

    La sfida tra Renzi e Grillo, nonostante tutte le contraddizioni che abbiamo descritto, resta comunque la sfida centrale di questa campagna elettorale (per quanto possano avere un peso specifico reale le elezioni europee, da sempre e storicamente condizionate da fattori più umorali che strettamente politici). E che le cose siano così non lo dicono soltanto i sondaggi ma lo confermano in qualche modo anche i numeri dello share (le trasmissioni che hanno come ospiti il segretario del Pd e il capo del Movimento 5 stelle sono quelle che tirano di più, e in alcuni casi, vedi le due interviste rilasciate da Renzi e Grillo a “Bersaglio Mobile” da Enrico Mentana, in termini di audience Grillo ha superato persino Renzi: 10,69 per cento, contro l’8,9 per cento). Grillo, un po’ come Forza Italia, si ritrova nella strana condizione di chi, osservando Renzi, non riesce a essere incisivo fino in fondo nel formulare delle critiche, dato che il presidente del Consiglio ha scelto scientificamente di sottrarre sia al Movimento cinque stelle sia al partito di Berlusconi alcuni temi dalla loro piattaforma elettorale (con il risultato surreale che oggi Renzi viene accusato sia da Beppe Grillo – lo ha detto il 20 febbraio 2014 – sia da Renato Brunetta – lo ha detto il 13 marzo 2014 – di aver copiato una buona parte del loro programma elettorale). Le prossime elezioni probabilmente andranno bene per Grillo (dove per bene significherebbe andare meglio di Forza Italia) ma il comico genovese, nonostante le Europee contino quello che contano, ha scelto di legare il suo destino al voto del 25 maggio. “Stavolta bisogna che la gente capisca che dobbiamo fare un culo così a tutti – ha detto Grillo il tre aprile 2014 a Repubblica – perché su una cosa non ho dubbi: o vinciamo, o stavolta davvero me ne vado a casa. E non scherzo”. Vedremo se questa promessa il comico genovese riuscirà a mantenerla davvero. Destinazione Africa?

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.