Fu la decapitazione giudiziaria della politica ad armare la concertazione

Sergio Soave

Il rovente scambio di contumelie tra la segretaria della Cgil e quello del maggior partito della sinistra italiana sembra mettere una pietra tombale sulla lunga vicenda del collateralismo reciproco e sulla pratica para-governativa della concertazione. In realtà quella che sembra conclusa – nella simbologia evidente di un congresso della Cgil in cui Susanna Camusso attacca frontalmente il presidente del Consiglio di sinistra Matteo Renzi – è una fase specifica di un rapporto tra politica e rappresentanze sociali che in Italia ha avuto una storia peculiare.

    Il rovente scambio di contumelie tra la segretaria della Cgil e quello del maggior partito della sinistra italiana sembra mettere una pietra tombale sulla lunga vicenda del collateralismo reciproco e sulla pratica para-governativa della concertazione. In realtà quella che sembra conclusa – nella simbologia evidente di un congresso della Cgil in cui Susanna Camusso attacca frontalmente il presidente del Consiglio di sinistra Matteo Renzi – è una fase specifica di un rapporto tra politica e rappresentanze sociali che in Italia ha avuto una storia peculiare.

    I sindacati furono ricostituiti, dopo la Liberazione, dai partiti, che nominarono le segreterie della Cgil unitaria come capi delle correnti politiche. Il lungo periodo della Guerra fredda, che portò alla scissione delle correnti filo occidentali dalla Cgil, conferì al sindacato social-comunista la funzione un po’ impropria di interlocutore dei governi centristi (e più tardi di centrosinistra) in rappresentanza del Pci, col quale non esistevano relazioni dirette, almeno pubblicamente. La cinghia di trasmissione leninista, comunque, continuava a funzionare nel senso tradizionale, dal partito al sindacato. Fu la battaglia per l’autonomia sindacale posta dalla Cisl come condizione dell’unità a costringere la Cgil a rinunciare agli aspetti formali della sudditanza al partito, che però si limitò a trasformare la corrente sindacale ufficiale, sciolta a parole, in una struttura meno visibile (e quindi ancora più manovrabile).

    La situazione è restata più o meno questa (con qualche scarto, come lo sciopero dei metalmeccanici contro il governo di solidarietà nazionale che indusse Enrico Berlinguer a uscire dalla maggioranza) fino alla fine degli anni Ottanta, caratterizzati dalla rottura dell’unità sindacale e persino di quella della Cgil in cui la corrente comunista impose la protesta contro il decreto di San Valentino e sostenne l’occupazione dei cancelli della Fiat, che portò alla sconfitta strategica determinata dalla marcia antisindacale dei 40 mila quadri e impiegati torinesi.

    Fu la decapitazione giudiziaria dei partiti di governo, che coincise temporalmente con la dissoluzione dell’Urss, a cambiare la situazione. In una fase di delegittimazione della politica, un governo guidato da un alto burocrate come Carlo Azeglio Ciampi cercò di surrogare il consenso elettorale che non aveva con la concertazione con le rappresentanze sociali. E’ in quel momento che si ha l’inversione del sistema di rapporti tradizionale tra partiti e sindacati, che si fonda quella “democrazia della concertazione” di cui Susanna Camusso lamenta la distorsione da parte di Matteo Renzi.

    [**Video_box_2**]Che cosa è cambiato nel frattempo? Perché il leader della sinistra non considera necessario mantenere un rapporto privilegiato con il movimento sindacale e in particolare con la Cgil? In realtà la popolarità della politica non è affatto aumentata, la credibilità dei partiti è tuttora assai scarsa. Nel frattempo, a forza di compromissioni concertative, anche la credibilità dei sindacati è crollata altrettanto verticalmente. La struttura sindacale si è trasformata in una sorta di agenzia di servizi burocratici, mentre la difesa delle condizioni dei lavoratori si è sostanzialmente paralizzata ed è rimasta solo per i settori più garantiti, pubblico impiego e grandi aziende, almeno fino allo scoppio della questione Fiat, che si è conclusa con l’esclusione dal più grande gruppo industriale sia della Cgil che della Confindustria.

    Quella non piccola differenza della Cisl - Va detto che c’è stato un tentativo di concertazione riformista, di segno diverso, tra i governi di centrodestra e la Cisl e la Uil, contro la quale la Cgil ha proclamato qualche decina di scioperi generali fallimentari (e mobilitazioni possenti ma altrettanto inefficaci, invece, ai tempi di Sergio Cofferati), ma è difficile per Renzi ricalcare quella strada, anche perché la stessa Cisl, in questa fase, sembra più preoccupata di preservare il contenitore di metodo della concertazione che affermare le sue differenze di merito dalla Cgil.

    Tuttavia la cultura dell’autonomia sindacale, profondamente radicata nella Cisl, le consentirà probabilmente di riaprire il confronto sulle riforme del lavoro, mentre la Cgil deve superare una concezione e una pratica di collateralismo che ha funzionato prima dal partito al sindacato e poi dal sindacato al partito e che ora sembra bloccata ma non in grado di produrre uno sviluppo dell’autonomia, ma piuttosto un doppio tentativo di restaurare l’egemonia dell’uno sull’altro.
    Renzi ha da fare i conti con una opposizione interna che ha come punto di riferimento la Cgil, che a sua volta teme che il governo eserciti una forte pressione per un cambiamento di linea e di leadership, utilizzando strumentalmente anche la protesta della Fiom che contesta la democrazia interna della confederazione e il ricatto sulla riduzione delle prebende, dai permessi sindacali al finanziamento delle strutture di servizio burocratico che rappresentano la maggior parte delle entrate del sindacato. Insomma si vedrà se ci sarà la vittoria di una corrente renziana nella Cgil o di una corrente filo Cgil nel partito democratico, ma tutto ciò non ha niente a che fare con quella reciproca autonomia che permetterebbe l’evoluzione della cultura politica di ambedue i soggetti.