Il buono e il cattivo

A Sassuolo Di Francesco e salvezza, a Bologna Ballardini e tristezza

Sandro Bocchio

Alla fine il Sassuolo ce l'ha fatta. E con una giornata di anticipo, per godere ancor più di una salvezza che quasi nessuno gli accreditava a inizio campionato. Una bestemmia, per chi pensa che il calcio di alto profilo sia una festa cui invitare unicamente le grandi città. In serie A ci è rimasto il Sassuolo, più o meno 40.000 abitanti e obbligato a ritrovarsi perennemente in trasferta, fin da quando ha lasciato quella che una volta si chiamava C1: a Modena, quando si trattava di serie B, e a Reggio Emilia, quando è stato spiccato il salto in alto più clamoroso.

    Alla fine il Sassuolo ce l'ha fatta. E con una giornata di anticipo, per godere ancor più di una salvezza che quasi nessuno gli accreditava a inizio campionato. Una bestemmia, per chi pensa che il calcio di alto profilo sia una festa cui invitare unicamente le grandi città. In serie A ci è rimasto il Sassuolo, più o meno 40.000 abitanti e obbligato a ritrovarsi perennemente in trasferta, fin da quando ha lasciato quella che una volta si chiamava C1: a Modena, quando si trattava di serie B, e a Reggio Emilia, quando è stato spiccato il salto in alto più clamoroso. Attenzione però a non lasciarsi ingannare dalle apparenze, perché uno dice Sassuolo ma deve pensare Mapei. Meglio ancora: Giorgio Squinzi, il numero uno di Confindustria andato a scoprire il calcio quando si è stufato del ciclismo e del suo eterno equilibrismo tra sport e sotterfugi chimici. Non una favola di provincia, come si usa definire con pigrizia, ma una società che può tranquillamente inserirsi nei giri che contano. Non a caso Squinzi è stato più di una volta segnalato come in procinto di entrare come socio nel Milan, squadra di cui è tifosissimo. Non a caso non ha fatto una piega quando è stato il momento di comprarsi uno stadio per dare al Sassuolo una casa degna della serie A. Il problema, però, è che il calcio è fatto anche di uomini, e su questo punto gli emiliani stavano per sbandare. Quando a fine gennaio, al terz'ultimo posto, avevano fatto ricorso alla soluzione più semplice, l'allenatore cacciato: via Eusebio Di Francesco, via il tecnico della promozione, e ben arrivato ad Alberto Malesani, dall'ottimo passato e dall'incerto presente. Questo senza neanche dare il tempo all'esonerato di provare a lavorare con un gruppo letteralmente rifatto al mercato di gennaio, con tredici nuovi ingressi. L'esito della scelta è stato subito chiaro sotto gli occhi di tutti, con una squadra ancor più confusa e risultati ancor più scadenti (cinque sconfitte in altrettante partite). Una situazione che ha convinto Squinzi a tornare all'usato sicuro, con Di Francesco ben lieto di rimettersi all'opera. Il tecnico ha puntato su chi già conosceva, ha preso il meglio da chi era arrivato a gennaio, ha ristimolato chi si stava perdendo. Il Sassuolo è così ripartito, con qualche patema e con un pizzico di fortuna, visto che il finale di campionato (vittoria in casa del Chievo esclusa) è stato costellato anche di avversarie che nulla - o poco più - avevano da chiedere alla classifica. E comunque di salvezza meritata si è trattato, con la soddisfazione ulteriore di averla raggiunta con vecchi draghi come Paolo Cannavaro ma anche con ragazzi con un futuro davanti a sé. Basti vedere l'attacco, in cui Sansone e Zaza hanno 22 anni e Berardi appena 19. Occorre coraggio, per uscire da situazioni intricate: Squinzi l'ha avuto sapendo tornare sui propri passi, Di Francesco l'ha avuto guardando al merito e non al passato di chi ha messo in campo.

    [**Video_box_2**]Un coraggio che a pochi chilometri di distanza hanno totalmente dimenticato. Cinquant'anni fa il Bologna vinceva contro l'Inter l'unico scudetto assegnato con uno spareggio. Oggi si ferma a contemplare una retrocessione non preventivata ma pienamente meritata. Forse qualcuno sperava di sfangarla ancora una volta, puntando più sulle pecche altrui che sui guai propri. Ma la rinuncia estiva ad Alberto Gilardino, che la passata stagione aveva tirato fuori i rossoblù da parecchi guai, quindi quella invernale ad Alessandro Diamanti, ceduto al Guangzhou di Marcello Lippi unicamente per portare qualche soldo nella casse disastrate, sono stati l'alfa e l'omega del campionato. Un'annata di mediocrità assoluta, a cominciare da una dirigenza presente soltanto al momento di sedersi in tribuna o apparire in tv, passando attraverso una squadra affastellata di anziani imbolsiti e stranieri dal mediocre curriculum vitae, finendo alle traballanti gestioni tecniche di Silvio Pioli e Davide Ballardini. Forse il presidente Albano Guaraldi sperava nel tocco magico dell'allenatore romagnolo, sempre abile a prendere squadre in corsa per pilotarle fuori dalle secche, come avvenuto con Cagliari e Genoa. Ma neppure Ballardini ha potuto trasformare un organico inadeguato in una contendente perlomeno degna. Difficile scamparla quando i tuoi attaccanti hanno realizzato otto reti in cinque e il tuo miglior marcatore è proprio quel Diamanti lasciato andare via a febbraio, con cinque gol. Il pubblico di Bologna è stato anche commovente per l'attaccamento avuto nei confronti di una squadra considerata patrimonio della città. Non meritava questa rappresentazione e i suoi interpreti.