Wie es geschehen ist
Campagna elettorale à rebours, politica industriale sempre in bianco
Rieccolo. No, non è Amintore Fanfani, ma Felice Besostri, classe 1944, da Zevio, avvocato. Era suo il ricorso che portò alla bocciatura del porcellum, sempre suo è il papello che potrebbe affondare la legge elettorale per le elezioni europee. E’ venerdì 9 maggio, sono le 15, mentre Vladimir Putin è in Crimea per festeggiare il Victory Day della Grande guerra patriottica, a Roma quelli che si davano per sconfitti cominciano a rifare i conti: cosa succederà? Probabile conclusione all’italiana: niente.
Rieccolo. No, non è Amintore Fanfani, ma Felice Besostri, classe 1944, da Zevio, avvocato. Era suo il ricorso che portò alla bocciatura del porcellum, sempre suo è il papello che potrebbe affondare la legge elettorale per le elezioni europee. E’ venerdì 9 maggio, sono le 15, mentre Vladimir Putin è in Crimea per festeggiare il Victory Day della Grande guerra patriottica, a Roma quelli che si davano per sconfitti cominciano a rifare i conti: cosa succederà? Probabile conclusione all’italiana: niente. Tutti gli eletti resteranno in carica. In attesa della Consulta per sciogliere il rebus del seggio a Strasburgo, la campagna elettorale procede come un varietà. Renzi si sveglia di ottimo umore, squilla il campanello, c’è Maurizio Belpietro a Palazzo Chigi. Faccia a faccia mattutino. Dettaglio scenografico: su uno schermo alle spalle del premier scorrono le immagini di Renzi e Obama. Matteo in diretta e in differita. “Perché i tecnici del Senato insistono a dire che non ci sono le coperture?”. La sera prima a “Anno Uno” (La7) aveva detto che le previsioni sono “tecnicamente false”. Belpietro pungola, Renzi (ri)punge: “Tecnicamente false”. Bang. Il colpo si conficca nel portone di Palazzo Giustiniani e sveglia Pietro Grasso. Il presidente del Senato alle 13 e 17 risponde a una telefonata dell’agenzia Agi: “Mi faccio assolutamente garante dell’autonomia e dell’indipendenza degli uffici di Palazzo Madama”. In altri tempi, si sarebbe pomposamente chiamato conflitto istituzionale, ora è il tiro a segno al luna park. Nel frattempo, alle 9 e 32 s’apre un altro portone. E’ quello dell’istituto Sacra famiglia di Cesano Boscone dove Silvio Berlusconi comincia la sua avventura di affidato ai servizi sociali. Flash. Ne esce dopo quattro ore e un quarto e non concede neppure un frammento di labiale ai giornalisti. Di Pietro non si accontenta: “Faccia i servizi sociali ma senza la tv”. Tonino, ma che stai a di’?
[**Video_box_2**]E’ una settimana un po’ così, surreale, con tuffi impressionanti nel passato. Chi l’avrebbe detto che rispuntava Primo Greganti? Giovedì 8 maggio il Compagno G viene arrestato per un giro di mazzette sugli appalti dell’Expo 2015. Stesso giorno, altro carcere: Claudio Scajola finisce dentro perché avrebbe favorito la latitanza di Amedeo Matacena. Cerco nel mio archivio i taccuini con gli appunti del 1992. La conferma sulla bontà della ricerca archeologica arriva alle 11 e 15 con una frase di Antonio Di Pietro: “Serve una nuova Mani pulite”. Ci prova, Renzi, a ritornare al futuro: “Dal prossimo anno cambieremo la dichiarazione dei redditi”. Un paese che si volta indietro va raccontato a ritroso. Ci pensa Beppe Grillo mercoledì 7 maggio a diffondere fiducia nelle masse: “Dobbiamo prepararci a milioni di disoccupati” (ore 21 e 23, durante un comizio a Bari). Romano Prodi alle 19 e 32 prova a riportare tutti sulla terra: “L’uscita dall’euro sarebbe un suicidio”. Ma è troppo tardi, il decollo del razzo politico italiano è come quello dell’Apollo 13: “Houston, abbiamo un problema”. Matteo Salvini si occupa del terracqueo: “Il ministro dell’Interno Alfano dorme durante gli sbarchi”. Può anche darsi, dipende dall’ora in cui avvengono. Martedì 6 maggio alle 22 e 41 in commissione Affari costituzionali passa il testo base per le riforme: diciassette sì e un impagabile sorriso del capo della divisione panzer dei renziani, il ministro Maria Elena Boschi. Poco prima (ore 22 e 36) sul taccuino finisce un irresistibile pezzo comico di Grillo: “Ci temono, ma siamo l’unico freno ai fascismi”. L’unico freno. Sicuro. La citazione meccanica introduce la vera notizia della settimana. E’ più o meno nella stessa ora del Grillo frenante che a Auburn Hills, nel Michigan, la più grande azienda italiana rivela il suo obiettivo per il 2018: sette milioni di auto vendute. Sono i numeri delle slide di Sergio Marchionne per il futuro di Fiat-Chrysler. Reazioni politiche sul tema? Grande dibattito sull’industria italiana? Il taccuino va rigorosamente in bianco.
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