Mamma, ho abolito il rosa

Annalena Benini

Bisogna cambiare lo zaino di scuola. E’ bucato, escono le penne da sotto, l’hai trascinato così tanto, su e giù dalle scale, sfregato per strada, lanciato dentro casa, carico di tutti i quaderni che ogni tanto perdi chissà dove, delle felpe che spariscono, di Gian Burrasca da imparare per la recita, che questo zaino fucsia con le ruote ha deciso di farla finita. Lei ha otto anni ed è felice di ogni cosa nuova, anche un temperino per le matite, una bustina di figurine, un pesce di gomma. Le piace tutto, vero e finto, dorme vegliata da una fila di pupazzi con gli occhioni, ma si addormenta solo dopo aver chiamato il gatto: non posso dormire senza un gatto!, grida se il gatto si rifiuta di saltare sul letto a castello.

    Bisogna cambiare lo zaino di scuola. E’ bucato, escono le penne da sotto, l’hai trascinato così tanto, su e giù dalle scale, sfregato per strada, lanciato dentro casa, carico di tutti i quaderni che ogni tanto perdi chissà dove, delle felpe che spariscono, di Gian Burrasca da imparare per la recita, che questo zaino fucsia con le ruote ha deciso di farla finita. Lei ha otto anni ed è felice di ogni cosa nuova, anche un temperino per le matite, una bustina di figurine, un pesce di gomma. Le piace tutto, vero e finto, dorme vegliata da una fila di pupazzi con gli occhioni, ma si addormenta solo dopo aver chiamato il gatto: non posso dormire senza un gatto!, grida se il gatto si rifiuta di saltare sul letto a castello. Le piace tutto, anche i ragni, le farfalle notturne, le lucertole senza coda, le lumache senza guscio, ma ha dichiarato guerra al rosa. Non vuole niente di rosa, nemmeno lo spazzolino da denti, nemmeno un quaderno, il rosa è un’offesa grave. Forse allora lo zaino fucsia l’ha bucato apposta, penso. Mamma non voglio mai più uno zaino di un colore così stupido, da principesse. Voglio uno zaino nero, al massimo blu, forse arancione. Come i maschi? Come i maschi, perché io salto più in alto dei maschi, e il rosa è una lagna, e non esistono i gatti rosa. Ogni volta che tiro fuori dall’armadio una maglietta un po’ rosa, contando sul fatto che è mattina presto e lei sta dormendo sopra la tazza della colazione, si risveglia e fa una smorfia: dài che schifo però. Vorrei difendere queste povere magliette, diventate all’improvviso le streghe da bruciare, ma non ho il coraggio di diventare una madre pink, e preferisco conservare la possibilità del contrasto per dopo, quando vorrà tingersi i capelli di verde e tatuarsi un’àncora sul braccio. Non so nemmeno se sia lei, a scuola, il capo di questa piccola rivolta, o se il disgusto per il rosa serva a guadagnarsi il rispetto delle bambine più grandi, quelle che giocano a calcio in cortile e hanno deciso che Violetta è superata e le sue canzoni sono brutte, ma in Inghilterra e negli Stati Uniti ne hanno fatto una questione educativa e politica: lo chiamano femminismo pre adolescenziale, pre teen, e sono orgogliosi dei giornaletti per ragazzine, come Girl Talk, che si dichiarano femministi e spiegano alle bambine che si può vivere senza smorfie e senza scarpine con il tacco a dodici anni. Senza muro di separazione e diffidenza fra maschi e femmine (i mostri blu e le fatine rosa), fino a quando l’adolescenza imperiosa li scaraventerà di nuovo uno addosso all’altro, un po’ come nelle fiabe Disney delle principesse imbranate e con le maniche a sbuffo, un po’ come nelle foto sexy su Facebook, quando la vita dipende dal numero dei “mi piace” e loro dormono col telefono accanto alla guancia per poter sentire, nel sonno, ogni notifica, ogni poke, ogni pollice, cioè la prova che stanno esistendo, che il mondo le ama. “Stanche del rosa”, ha appena titolato l’Observer. Stanche di essere dame della Croce Rossa in miniatura che cullano le bambole tutto il tempo, che fanno attenzione a non macchiarsi la gonna, a non sudare perché poi la mamma fa gli occhiacci. Che vogliono andare dal parrucchiere a dieci anni, e vogliono anche il reggiseno uguale alle mutandine, poiché sono esposti in tutti i supermercati e molte madri li trovano così divertenti, tanto poi anche in spiaggia le bambine di tre anni indossano il bikini. “Mini me” è il nome delle linee di abbigliamento per bambine che si vestono come le mamme, è una tentazione vedere quei micro abiti che a loro stanno d’incanto e ci illudono di fare lo stesso giovanissimo effetto su di noi. “Stanche del rosa”, e allora la terza elementare diventa il momento delle discussioni di genere, il posto in cui dire addio alle camicette di Cenerentola, e l’unica principessa Disney sopportabile è Merida, che non si sposerà mai, e Elsa, che trasforma tutto quello che tocca in ghiaccio e si costruisce un castello in cui vivere a modo suo. Da quando abbiamo capito che è tutto cambiato, che l’infanzia delle bambine non sarà più come la nostra e, come ha scritto Steve Biddulph, il più importante educatore inglese, “i nostri diciotto anni sono i loro quattordici e i nostri quattordici sono i loro dieci” grazie a stimoli, pubblicità, bombardamento di eccitazione, esagerazioni della moda e anche smanie sexy delle mamme, da quando i capi di stato dichiarano la preoccupazione per le proprie figlie in balìa di internet e gli psicologi hanno detto che le nostre bambine hanno perso quattro anni di pace e sviluppo, quattro anni di meravigliosa spensieratezza a testa in giù sugli alberi, e che bevono troppo, fumano troppo, fanno tutto troppo, è iniziato il tentativo, disordinato ma fiero, di una controrivoluzione. Si gioca d’anticipo, puntando sulle bambine delle elementari: il mondo salvato dalle ragazzine, le ragazzine salvate da noi, che ce la prendiamo con il rosa e con le Barbie, con lo spazzolino da denti elettrico delle principesse, con le minigonne di Violetta (già immaginando la trasformazione in Miley Cyrus). Cerchiamo adesso il colpevole dello stravolgimento adolescenziale che arriverà, quando la vita nuova e i nuovi pensieri rimbalzeranno sulle pareti di una stanza chiusa a chiave, con le scritte sulla porta: teenager in the house, brain under construction, bussare prima di entrare o direttamente: entrare solo in caso di incendio o di guerra nucleare. Steve Biddulph nel suo “Crescere figlie femmine” (pubblicato in Italia da Feltrinelli) ha scritto che dobbiamo preoccuparci dell’adolescenza, nelle bambine, almeno dagli otto anni: spiegare tutto quello che succede fra un ragazzo e una ragazza, parlare d’amore e di corpo, di pericolo e di scelte, con tranquillità. Così, quando lei una sera mi ha detto, con la vocina squillante delle nuove scoperte: “Mamma, tu lo sai che cos’è il sesso?”, avrei dovuto sedermi sul divano e prepararla alla vita, qualche metafora, un po’ di autobiografia, e invece ho borbottato qualcosa sui compiti che non erano ancora finiti e il gatto che non aveva mangiato. Un fallimento, anche se mi ero preparata di notte un discorso sull’amore che unisce i grandi e fa nascere i bambini di cui andavo piuttosto fiera. “Ma io lo so! E’ quando due persone grandi sono nude a letto”. “Mmmh, ma non senti anche tu questo rumore? Saranno gli animali della fattoria sull’iPad, corri a dargli da mangiare, ti dimentichi sempre”. Nonostante gli avvertimenti, il femminismo pre adolescenziale, la rivoluzione anti pink e quella ragazzina americana, Tavi Gevinson, con madre norvegese, che è diventata famosa a undici anni con un blog di moda e poi verso i tredici si è dichiarata femminista, ha lanciato un giornale, Rookie Mag, che aiuta le adolescenti a essere cool con cervello, e dice che le sue eroine sono Joan Didion e Patti Smith, io non ce l’ho fatta. A essere perfetta, consapevole, moderna e saggia. Anche se Germaine Greer ha scritto: “E’ arrivato il momento di arrabbiarci di nuovo”, non riesco a essere [**Video_box_2**]arrabbiata perché in tivù le fate hanno la microgonna e un paio di taglie in più di reggiseno. Ho pensato alla fila di pupazzi con gli occhioni, a tutte le lucertole che lei studia in giardino, alle urla di esultanza quando le dico: andiamo al cinema, e ho deciso che non è ancora il momento. Che non sarò io a rubarle nemmeno un minuto di ginocchia sbucciate e caccia ai granchi da liberare un minuto dopo. Cercherò un nuovo zaino blu, regalerò le magliette rosa a qualcuno che ancora le apprezzi, le comprerò quelle gomme a forma di scheletro che adora e non oserò mai più pronunciare il nome di Hello Kitty (finita al rogo, accusata di stupidità). Quando le ho proposto, per la sua festa di compleanno, di invitare a casa sua tutte le compagne di classe, prendere le pizze e stare insieme anche a cena, ha detto che senza i maschi non sarebbe stato divertente. Che loro stanno sempre tutti insieme, giocano a basket (anche in salotto? sì certo, dappertutto) e si scambiano dinosauri di gomma, e soltanto le bambine antipatiche giocano tra femmine. Non c’è ancora il muro di separazione, e non c’è ancora, è troppo presto, “Mignon è partita” (quando Giorgio, tredicenne, si innamora di Mignon e non ha il coraggio, mai, di darle quel bacio sul collo): sono gli anni della scoperta del mondo, tutti insieme, è un’età dell’innocenza diversa dalla nostra, ma sempre innocente, fiduciosa, rivoluzionaria senza nemmeno avere bisogno di pensarci. Alla festa di compleanno sono venuti tutti, maschi e femmine, novenni al galoppo che appena entrati in casa hanno lanciato via le scarpe urlando e si sono messi a saltare sul divano e a versarsi Coca-Cola addosso. Nei premi della tombola un bambino ha barattato un frisbee nero con dei pennarellini, una ragazzina vestita di rosa ha chiesto di cambiare la gomma a forma di paperella con quella nera a forma di teschio, tutti hanno esultato per i braccialetti con dentro il liquido fluorescente e si sono chiusi in bagno al buio, in venti, ammassati uno sull’altro, per vedere le scie luminose che avevano ai polsi (quando ho chiesto alla bambina, a festa finalmente finita, quale fosse stata la sua parte preferita – mi aspettavo grandi riconoscimenti anche politici per avere costruito una pignatta da distruggere bendati e far uscire le caramelle, oppure per avere ripescato il film dei Gremlins dalla memoria anni Ottanta –, lei ha risposto, senza un’esitazione: quando il liquido fosforescente e velenoso è schizzato in faccia a Susy e aveva la faccia accesa e urlavano tutti). “Mai prima d’ora l’infanzia di una bambina era stata vittima di un simile bombardamento, che va dalla pubblicità su prodotti dietetici a quella su bevande alcoliche, dalla pressione imposta dalla moda all’insinuarsi della pornografia nelle camere delle adolescenti”, scrive Biddulph nel suo manuale, e forse è vero, ma queste bambine sono più forti della pubblicità di un push-up. Se ne infischiano. E se il ragionamento è questo, allora mai prima d’ora l’infanzia di una bambina aveva avuto a disposizione tante meravigliose possibilità, tanti libri fantastici, tanta attenzione emotiva. Ci sono le Barbie in bikini ma ci sono anche quelle mezze umane e mezze pony, ci sono i topi che raccontano “Moby Dick”, c’è un film di animazione, “Mr Peabody e Sherman”, che racconta la storia del mondo, le brioche di Maria Antonietta, le piramidi egizie, Leonardo da Vinci, attraverso la macchina del tempo inventata da un cane premio Nobel in fuga da una cattivona newyorchese dei servizi sociali che poi viene rapita da Priamo. Non c’è un solo bombardamento, ci sono milioni di fantastici bombardamenti e capovolgimenti, e alla festa un bambino mi si è avvicinato preoccupato, ha detto: “Scusi maestra, cioè mamma, cioè signora”. Voleva tanto scegliere un libro che raccontava i segreti dell’Olimpo ma era rosa fucsia (sempre la guerra del rosa) e le protagoniste erano dei topi femmina. Abbiamo tolto la sovracoperta fucsia, e il bambino se ne è andato esultante con i segreti dell’Olimpo stretti al petto, mentre una ragazzina vestita di tulle ha agguantato la storia di Capitan Uncino gettandosi nel mucchio selvaggio e uscendone con il sangue al naso, ma in trionfo. Che cosa sta succedendo alle nostre bambine?, scrivono molte femministe preoccupate, ma forse la risposta è che sta solo succedendo la vita, velocissima, in un mondo che non può restare fermo, e che loro sapranno aggiustare molto meglio di noi. E che cosa sta succedendo alle nostre bambine è una domanda importante che andrebbe fatta per salvare le bambine che sono davvero in pericolo, che vengono strappate dalle scuole di notte, mentre dormono e credono di essere al sicuro, da uomini convinti che le ragazze non siano fatte per studiare e per scegliere il colore di uno smalto, la copertina di un libro, ma per diventare mogli, anche a nove anni, oppure per essere vendute al mercato. In Nigeria succede questo, e succede anche altrove, perché “l’educazione occidentale è peccato”, perché il colore rosa significa andare a scuola, essere libere, festeggiare il compleanno insieme con i maschi, prendersi felicemente a botte, e da un certo punto in poi guardarsi con una curiosità diversa. Ridateci le nostre bambine è l’unica vera guerra da combattere. Le magliette rosa sono per loro. Tutto il rosa del mondo è per loro.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.