Il potere di Reggio Calabria
Cafiero de Raho, l'uomo forte nuovo e silenzioso che scuote la politica
C’è l’inchiesta, con i suoi cerchi concentrici e le sue suggestioni: Amedeo Matacena, il concorso esterno, la latitanza, Dubai, il fermo francese della bella moglie bionda, le intercettazioni, la storia di un cinematografico matrimonio a Luxor, il Libano come Eldorado della fuga, l’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola, l’archivio segreto, i faldoni in cantina, i conti, i prestanome e tutto quel coagulo di vero, falso, presunto, verosimile, inverosimile e dubbio possa esserci quando si parla di concorso esterno in associazione mafiosa, reato di per sé indefinito, difficile da circoscrivere.
C’è l’inchiesta, con i suoi cerchi concentrici e le sue suggestioni: Amedeo Matacena, il concorso esterno, la latitanza, Dubai, il fermo francese della bella moglie bionda, le intercettazioni, la storia di un cinematografico matrimonio a Luxor, il Libano come Eldorado della fuga, l’arresto dell’ex ministro Claudio Scajola, l’archivio segreto, i faldoni in cantina, i conti, i prestanome e tutto quel coagulo di vero, falso, presunto, verosimile, inverosimile e dubbio possa esserci quando si parla di concorso esterno in associazione mafiosa, reato di per sé indefinito, difficile da circoscrivere. C’è il futuro processo a Scajola e ci sono le domande, con la loro doppia faccia: che cosa è mafia e che cosa non lo è, e dov’è il confine tra l’“aiuto a un amico in difficoltà” e il crimine. E poi c’è l’uomo, il procuratore capo di Reggio Calabria (c’è arrivato a marzo 2013 con i voti di Unicost e Magistratura democratica) Federico Cafiero de Raho, il magistrato che è al centro di questa storia in cui c’è ancora molto da capire: non un magistrato mediatico, non uno di quelli che, come dicono i cronisti a Napoli, “ti insegue per darti l’intervista”. Non un Antonio Ingroia o un Henry John Woodcock. Non uno che scrive libri, fa annunci e fa convegni. Non uno che fa commenti. Non uno “che gestiva i pentiti con disinvoltura”, anzi, dice anche chi, da avvocato difensore di qualche imputato scomodo, se l’è trovato davanti in Tribunale. “Cafiero de Raho è uno che fa tanti riscontri”, è l’unanime sentenza. Ma Cafiero de Raho, ex pm a Milano, a fine anni 70 e poi, dal 1984, investigatore silenzioso e rigoroso a Napoli, dove ha fatto da pioniere alle indagini sui rifiuti nel casertano e poi da coordinatore del pool che ha indagato e condannato i Casalesi (De Raho è stato pubblica accusa nel processo Spartacus), è anche un magistrato in linea con lo spirito del tempo (e dell’anticasta) e con un’opinione pubblica sensibile alla lotta contro i “poteri forti”. E in pubblico lo schivo De Raho parla oggi come altri magistrati antimafia del sud (Raffaele Cantone, neo-capo dell’Anticorruzione all’Expo, e Nicola Gratteri, che Renzi voleva Guardasigilli) e il giorno dell’arresto di Scajola dice: “Qui non ci sono intoccabili”.
[**Video_box_2**]E mentre il premier Matteo Renzi a Milano dice “stop ai delinquenti”, lui, Cafiero de Raho, dal sud, su Matacena e Scajola dà voce prima di tutto a un comune sentire: “L’aspetto che colpisce tutti”, dice, è che una persona che “ricopra una posizione di vertice così significativa” possa occuparsi “di altre persone” che cercano di “rifugiarsi” per sfuggire “alla pena”. “Al di là dell’ordinanza di custodia cautelare”, dice, “desta impressione” che la condanna di un uomo “per concorso esterno in associazione mafiosa non significhi nulla per chi gli è vicino”. Grande è la “confusione che tra bene e male” e tra “bianco e nero”, è la riflessione pubblica del magistrato in linea con la sua epoca.
Dopodiché Cafiero de Raho è anche il magistrato non modaiolo che negli anni Novanta indagava sulle grandi faide nei quartieri spagnoli, tra killer in motoretta e scenari alla Al Capone; l’uomo che dal 1993 in poi ha ideato e applicato il metodo di indagine poi chiamato “modello Caserta”, fatto di “tante piccole rivoluzioni operative”, per dirla con il questore Guido Longo (intervistato da Repubblica). E nella querelle di qualche anno fa tra Roberto Saviano e Roberto Maroni (in tv, da Fabio Fazio, a “Vieni via con me”), De Raho non ha detto “tu hai torto e tu hai ragione” a proposito della longa manus delle cosche a nord e del loro rapporto con i politici, e anzi ha invitato i litiganti a “superare le polemiche”, pur “riconoscendo” a entrambi “l’impegno contro la criminalità” in un momento in cui apprezzare Saviano era più facile che apprezzare Maroni.
Alla ribalta si affaccia lo stretto indispensabile, Cafiero de Raho, che a Napoli c’è nato nel 1952 e mantiene la nomea che aveva quando i cronisti non gli scucivano neanche a morire mezza parola (“tutti senza notizie, ma neppure nessuno che prende il buco”, raccontano), e vive da anni sotto scorta per le minacce ripetute dei clan: prima a Napoli, con la moglie e le figlie bambine gemelle, abituate anche loro, a undici anni, come ha raccontato la moglie stessa al Mattino, a non dire al telefono dove sono e che cosa fanno, e a non andare al cinema con papà come fanno tutti, ma al limite, e soltanto quando papà non ce la fa più, in viaggio verso il Polo nord, dove è possibile – almeno lassù – “fare i normali”. Ora invece Cafiero de Raho vive per la maggior parte del tempo a Reggio Calabria in una caserma, mantenendo entro un perimetro protetto anche il suo svago – fare jogging – e portandosi dietro il volto pensieroso da investigatore di Scotland Yard che deduce anche quando dorme e il suo nome da nobile napoletano defilato, che sa di avere antenati navigatori ma poco concede alla mondanità da Tennis Club.
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