La tv e i mostri elettorali

Così l'Agcom scopre che la par condicio è una boiata pazzesca

Claudio Cerasa

In questi giorni è un incubo ricorrente. Accendi la televisione, ti colleghi a un qualsiasi programma di politica e ti accorgi che non c’è conduttore che non sia costretto a giocare con il contagocce e a dover drammaticamente concedere all’interno del palinsesto lo stesso ma proprio lo stesso ma proprio lo stesso numero di minuti tanto agli esponenti del partito di un presidente del Consiglio quanto agli esponenti di un partito di un signore greco con molti amici al Teatro Valle.

    In questi giorni è un incubo ricorrente. Accendi la televisione, ti colleghi a un qualsiasi programma di politica e ti accorgi che non c’è conduttore che non sia costretto a giocare con il contagocce e a dover drammaticamente concedere all’interno del palinsesto lo stesso ma proprio lo stesso ma proprio lo stesso numero di minuti tanto agli esponenti del partito di un presidente del Consiglio quanto agli esponenti di un partito di un signore greco con molti amici al Teatro Valle. La par condicio, complice la droga proporzionale che regola il sistema elettorale delle prossime europee, non ha mai attraversato un livello di impopolarità simile a quello che sta vivendo oggi e la novità è che, a quanto risulta al Foglio, anche coloro che per mestiere sono chiamati a far rispettare in tv le pari condizioni in termini di partecipazione televisiva alla campagna elettorale, ovvero i consiglieri dell’Agcom, vivono una fase complicata, di scontri, lamentele, mugugni e di sostanziale rigetto di quella legge controversa introdotta nel 2000 dal governo D’Alema e costruita su misura per limitare l’esposizione mediatica di Silvio Berlusconi.

    La novità è che a quattordici anni di distanza anche all’interno dell’Agcom alcuni membri di primo livello dell’autorità si sono resi finalmente conto che la legge così come concepita è una boiata pazzesca, che continuare a seguire l’attuale normativa rischia di essere un suicidio culturale, che chiedere ai conduttori di dare lo stesso spazio a persone che hanno una loro rilevanza e a persone che non hanno alcun tipo di rilevanza significa ingessare la programmazione e uccidere l’informazione e che – è il senso della posizione espressa durante uno degli ultimi direttivi da un membro dell’Agcom, Antonio Preto, posizione condivisa anche dal presidente Angelo Marcello Cardani – “dal punto di vista professionale hanno ragione quei direttori dei tg che si lamentano per le norme ridicolmente rigide fissate dalla par condicio” (il riferimento è al caso Mentana: il suo tg è stato multato dall’Agcom per un eccessivo spazio concesso a Renzi e il direttore del tg ha replicato alla multa definendola “insensata: perché il tg non è una farmacia”).

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    Il senso della posizione del gruppo dei ribelli Agcom non è solo di carattere tecnico (il suggerimento che arriverà al legislatore e al governo è che nella prossima legge venga introdotto un criterio per valutare l’esposizione dei partiti anche seguendo dei parametri non convenzionali come il Web e la tv digitale) ma è anche politico e giornalistico – perché “chi fa notizia non può non essere invitato a discapito di chi deve invece far notizia solo per questioni tecniche”. La linea che avanza nell’Agcom sembra suggerire inoltre che la legge sulla par condicio deve essere e può essere rivista anche perché la stella del berlusconismo non brilla più come un tempo e il Cav. non fa politicamente più paura (che la legge numero 22 del 2000 fosse una norma ad personam contro il Cav. è da sempre la linea di Forza Italia e del Pdl) e la direzione possibile che dovrebbe prendere la nuova legge si indirizza verso un modello simile a quello tedesco, dove il tempo televisivo a disposizione dei partiti è determinato dai risultati ottenuti alle ultime legislative. Lo stesso principio esiste in Spagna, Portogallo e Inghilterra. E chissà che dalle prossime elezioni, per salvare i palinsesti, i conduttori e i poveri telespettatori costretti in campagna elettorale a osservare l’invasione dei signori dello 0,2 per cento figli della legge sulla par condicio, qualcosa del genere non ci sia anche nel nostro paese.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.