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Il piano dei servizi stranieri per liberare le ragazze rapite da Boko Haram

Pio Pompa

Il primo problema affrontato dagli specialisti americani, britannici, francesi e israeliani che hanno raggiunto la Nigeria per tentare di individuare e liberare le studentesse rapite da Boko Haram è stato quello di stabilire una comune strategia d’azione con le autorità di Abuja avvezze ad agire senza metodo e in ordine sparso. Primo: la rinuncia preventiva a qualsiasi tipo di blitz da parte delle truppe speciali, e a ogni altra iniziativa militare che possa  mettere a repentaglio la vita delle ragazze.

    Il primo problema affrontato dagli specialisti americani, britannici, francesi e israeliani che hanno raggiunto la Nigeria per tentare di individuare e liberare le studentesse rapite da Boko Haram è stato quello di stabilire una comune strategia d’azione con le autorità di Abuja avvezze ad agire senza metodo e in ordine sparso. Primo: la rinuncia preventiva a qualsiasi tipo di blitz da parte delle truppe speciali, e a ogni altra iniziativa militare che possa  mettere a repentaglio la vita delle ragazze. Ciò anche sulla scorta di quanto accaduto l’8 marzo del 2012, quando un raid fallito delle teste di cuoio britanniche e nigeriane provocò la morte dell’ingegnere italiano Franco Lamolinara e del cittadino britannico Christopher McManus.  Secondo: l’assoluto rispetto del vincolo del silenzio e della segretezza sulle decisioni assunte e sulle informazioni acquisite dal comando centrale unificato cui faranno capo tutte le attività, tecniche e umane, d’intelligence. Insomma una compartimentazione che salvaguardi le operazioni di liberazione degli ostaggi da possibili azioni d’inquinamento derivanti dai rapporti tra alcuni settori degli apparati di sicurezza del paese e il gruppo jihadista guidato da Abubakar Shekau. Terzo: l’adozione, nella conduzione delle trattative, di stringenti verifiche sulla rappresentatività e affidabilità degli intermediari indicati da Boko Haram. Quarto: la condivisione delle notizie che, di volta in volta, saranno fornite alla stampa dal governo nigeriano per evitare il rilascio di dichiarazioni che potrebbero compromettere il lavoro svolto sul campo dagli specialisti.
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    “Per il momento – ha raccontato al Foglio una fonte d’intelligence – sembra che le autorità nigeriane siano intenzionate ad accettare e rispettare le condizioni imposte dai servizi stranieri intervenuti, tra l’altro, su loro specifico invito. Intanto, dopo le dichiarazioni rese ieri dal ministro nigeriano per gli Affari speciali, Tamino Turaki, sulla volontà espressa dal  governo di voler percorrere la strada del dialogo con Boko Haram, ad Abuja si è iniziato a redigere la lista dei membri del gruppo terrorista, detenuti in carcere, da scambiare con le liceali sequestrate a Chibok. La pratica non è nuova dato che già nel 2013 circa 100 miliziani furono rilasciati per ottenere la liberazione di una dozzina di giovani donne sequestrate nel nord del paese. Anche in questo caso il rapporto di scambio tra il numero di jihadisti da scarcerare e quello delle studentesse rapite sarà grandemente sproporzionato. Ovviamente il leader di Boko Haram, Shekau, ha già fatto sapere tramite alcuni intermediari di essere orientato a richiedere la liberazione di centinaia di miliziani compresi quelli detenuti in Camerun e nel Ciad. Al momento sono almeno quattro i canali di contatto aperti con Shekau attraverso negoziatori sia nigeriani sia di paesi limitrofi e quello dello scambio sembra essere l’unica via perseguibile vista la contrarietà di Boko Haram a qualsiasi ipotesi di amnistia ventilata dal governo”.

    Così il capo di Boko Haram rispose, nell’aprile del 2013, all’offerta di amnistia formulata dal presidente Goodluck Jonathan: “Il governo nigeriano parla di un accordo di amnistia. Cosa abbiamo fatto di male? Al contrario è a noi che dovrebbero chiedere perdono per quanto commesso contro i musulmani”. Una realtà, questa, con la quale dovranno confrontarsi sabato prossimo, nel summit di Parigi indetto dal presidente francese François Hollande, i rappresentanti di Nigeria, Camerun, Ciad, Niger e Benin nell’esaminare, alla presenza anche di Stati Uniti e Gran Bretagna, il dramma delle studentesse e la minaccia di Boko Haram.