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Perché il calcio portoghese pieno di debiti vince in Europa

Francesco Caremani

Il Benfica sarà la quarta formazione portoghese a giocare una finale di Europa League nelle ultime dodici edizioni. Il Porto ne ha vinte due su due (2003 e 2011), battendo Celtic e Sporting Braga; lo Sporting Lisbona ha perso contro il CSKA Mosca. Il Benfica invece è stato già sconfitto dal Chelsea di Benitez, lasciando la coppa in Olanda, all’Amsterdam ArenA. Se si esclude la doppia finale persa dai benfichisti contro i belgi dell’Anderlecht nel 1983 è come se i club lusitani si fossero accorti di questa competizione solamente nel terzo millennio.

    Il Benfica sarà la quarta formazione portoghese a giocare una finale di Europa League nelle ultime dodici edizioni. Il Porto ne ha vinte due su due (2003 e 2011), battendo Celtic e Sporting Braga; lo Sporting Lisbona ha perso contro il CSKA Mosca. Il Benfica invece è stato già sconfitto dal Chelsea di Benitez, lasciando la coppa in Olanda, all’Amsterdam ArenA. Se si esclude la doppia finale persa dai benfichisti contro i belgi dell’Anderlecht nel 1983 è come se i club lusitani si fossero accorti di questa competizione solamente nel terzo millennio. Una svolta che ha permesso al Portogallo di staccare nettamente la Francia nel ranking Uefa e di avvicinare l’Italia, che mantiene un solido vantaggio. Nello stesso periodo i club italiani hanno vinto tre Champions, conquistando quattro finali; il Portogallo invece ne ha vinta una sola nel 2004. Eppure, dopo l’ubriacatura degli anni Novanta, sono riusciti a farci perdere il quarto posto valido per qualificarsi alla coppa regina.

    Negli Anni Duemila, tra Uefa e Europa League, siamo arrivati in semifinale cinque volte con sei formazioni (Inter, Milan, Lazio, Parma, Fiorentina e Juventus), ma l’atteggiamento rinunciatario di molti club non ci ha aiutato e per migliorare il ranking è importante fare punti con tutte le squadre a disposizione. Una mentalità che il calcio portoghese sembra aver acquisito, un po’ per voglia, un po’ per necessità. Il futebol lusitano è indebitato, come gran parte del calcio europeo: degli oltre 800 milioni di euro di debiti, più di 600 sono di Benfica, Porto e Sporting Lisbona, le tre più forti del campionato che hanno vinto gli ultimi tredici campionati (complessivamente 78 volte su 80 edizioni). La media dei ricavi è di 17 milioni di euro l’anno (fanalino di coda in Europa); il fatturato totale è di 274 milioni, penultimo davanti a quello della Scottish Premier League; il rapporto tra fatturato e indebitamento è del 299%; quello tra fatturato e attivo fisso è invece del 32%. Vale la pena ricordare alcuni casi emblematici: l’Uniao Leiria scese in campo con soli 8 giocatori per il mancato pagamento degli stipendi; l’ammonizione che l’Uefa ha comminato al Vitoria Guimaraes (e pare che siano pronte nuove sanzioni da Nyon).
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    Scouting, allenatori giovani e capaci, campagne acquisti mirate sono i pilastri che tengono in piedi il movimento di un paese particolarmente colpito dalla crisi economica. Negli ultimi cinque campionati il saldo tra acquisti e cessioni delle società portoghesi è in attivo di 373.448.000 euro (fonte transfermarkt.de); mentre i debiti nei confronti delle banche e i costi di gestione restano elevati. Dal Benfica sono partiti giocatori del calibro di Nuno Gomes, Tiago, Simao, Di Maria, David Luiz, Ramires, Fabio Coentrao, Javi Garcia e Matic; dal Porto Jardel, Jorge Andrade, Paulo Ferreira, Deco, Ricardo Carvalho, Luis Fabiano, Maniche, Pepe, Anderson, Lisandro Lopez, Bruno Alves, Falcao, Hulk e James Rodriguez; tutte plusvalenze. Anche gli allenatori sono diventati merce da esportazione: inarrivabile José Mourinho (Chelsea), passabile André Villas-Boas (Zenit), da non trascurare José Peseiro (Al Wahda, Emirati Arabi) e Domingos Paciência (Kayserispor). Mentre in patria Jorge Jesus (Benfica), Nuno Espírito Santo (Rio Ave) e Leonardo Jardim (Sporting Lisbona) stanno dimostrando che il calcio ha bisogno innanzitutto di idee, quello che la Juventus ha dovuto imparare a proprie spese contro Lima e compagni. Curiosità, esiste pure un Benfica Stars Fund gestito da ‘ESAF – Espirito Santo Fundos de Investimento Imobiliario, S.A.’ che possiede percentuali diverse di quindici giocatori di proprietà delle Aquile, tra i quali Gaitan, Cardozo e Garay, potendo così lucrare su eventuali cessioni o prestiti onerosi dei diritti sportivi degli stessi; viste le ultime sessioni di mercato dei lusitani un investimento sicuro.

    Dal 2000 la Nazionale portoghese si è sempre qualificata per Mondiali ed Europei, mostrando una continuità mai avuta prima. Sotto questo aspetto abbiamo poco da imparare, così come sull’indebitamento, che in Italia si misura in miliardi di euro. Udinese a parte, invece, lo scouting italiano si è impoverito proporzionalmente alla mancanza di soldi. I “settori giovanili” (salvo rari casi) restano due belle parole da spendere in occasioni speciali. In Spagna dal 2001, tra debiti e rischio di bancarotta, l’Europa League è stata vinta cinque volte (Valencia, Siviglia e Atletico Madrid) con sei finali, di cui due fratricide, e altrettante squadre impegnate nella competizione. Guardarsi indietro significherebbe scoprire che negli anni Novanta la Coppa Uefa era il nostro naturale crogiolo: sette vittorie su nove finali, quattro tutte italiane, e sette club coinvolti. Questa sera, a Torino, Benfica e Siviglia ci ricorderanno come si fa.