L'agenda dei rinvii

Claudio Cerasa

Sulla scrivania del presidente del Consiglio, al primo piano di Palazzo Chigi, vista sul cortile d’Onore, spalle alla mitica sala Deti, c’è una slide particolare con cui il segretario del Pd dovrà fare i conti a cavallo con le prossime europee. Una slide che contiene quella che i maligni chiamano “l’agenda dei rinvii” del capo del governo: con tutte le riforme promesse in questi primi ottanta giorni di governo e non ancora mantenute. Di cosa si tratta? E, allo stato attuale, a dieci giorni dalle elezioni, che cosa c’è nel carrello della spesa di Matteo Renzi? Che cosa manca?

    Sulla scrivania del presidente del Consiglio, al primo piano di Palazzo Chigi, vista sul cortile d’Onore, spalle alla mitica sala Deti, c’è una slide particolare con cui il segretario del Pd dovrà fare i conti a cavallo con le prossime europee. Una slide che contiene quella che i maligni chiamano “l’agenda dei rinvii” del capo del governo: con tutte le riforme promesse in questi primi ottanta giorni di governo e non ancora mantenute. Di cosa si tratta? E, allo stato attuale, a dieci giorni dalle elezioni, che cosa c’è nel carrello della spesa di Matteo Renzi? Che cosa manca? Il nastro del film sul governo Leopolda va riavvolto allo scorso 17 febbraio. Siamo al Quirinale, Renzi ha appena ricevuto l’incarico di formare il governo e di fronte ai giornalisti il segretario del Pd indica le tappe dell’impegno “molto serio e molto significativo” che si era prefisso. “Discuteremo entro febbraio il lavoro urgente sulle riforme costituzionali ed elettorali da portare all’attenzione del Parlamento. Da subito dopo, a marzo, immediatamente la questione del lavoro. Nel mese di aprile la riforma della Pubblica amministrazione. A maggio il fisco. A giugno la giustizia”. A tre mesi di distanza la situazione è più o meno questa. Le riforme costituzionali (riduzione numero parlamentari, Senato, Cnel, Titolo V), che Renzi aveva promesso che avrebbe fatto approvare a Palazzo Madama entro il 25 maggio in prima lettura, sono state rinviate al 10 giugno e su questa materia il governo ha incassato un “sì” di massima solo dalla commissione Affari costituzionali (e dunque, di fatto, Renzi non può dire di aver tecnicamente abolito neppure il famoso Cnel). La legge elettorale, invece, è stata approvata a marzo alla Camera ma per una serie di complicatissime questioni politiche (ieri, per capirci, Berlusconi, forse alla luce dei sondaggi così così di Fi, ha detto che il doppio turno è da rottamare) non si può dire che il percorso di approvazione al Senato sia in discesa e molto del destino della legge dipenderà dal voto delle europee (meno sarà lo scarto tra Fi e Pd e più saranno le possibilità che si faccia l’Italicum). E il resto?

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    Il resto delle riforme si presenta in formato “groviera”: un po’ di formaggio da spolpare c’è ma i buchi sono molti. Sul lavoro Renzi ha approvato un decreto legge (quello Poletti) mentre il famoso Jobs Act (che il premier aveva promesso che sarebbe stato pronto a marzo, prima della visita alla Merkel) è stato sì approvato in Cdm a marzo ma al momento è solo un disegno di legge delega, e prima di avere un testo definitivo occorreranno diversi mesi. Discorso simile per la Pubblica amministrazione: doveva essere approvata entro maggio (riprendetevi il Def) ma quando il governo ha presentato il suo progetto (30 aprile) il Cdm non ha approvato neppure un testo. Sul fisco, promesso entro maggio, nulla di fatto: il ministro Padoan sta lavorando al testo della delega fiscale ma i tempi si sono molto dilatati e prima delle elezioni Renzi non riuscirà a far approvare, sul tema, alcun progetto significativo. A giugno ci sarebbe la giustizia ma considerando il super affollamento del mese (il 10 ci dovrebbe essere la riforma del Senato; il 13 ci dovrebbe essere la Pa in Cdm) è difficile che Renzi e il ministro Orlando riescano a portare a termine una riforma complessiva del settore. Cosa c’è dunque di pronto nel carrello di Renzi?

    Cinque cose. Gli ottanta euro in busta paga con aumento dell’aliquota sulle rendite finanziarie (decreto Irpef, da convertire entro giugno). Il decreto Poletti (una revisione della legge Fornero, non una riforma strutturale). L’abolizione delle province (non si voterà per le province, sì, ma le province sono ancora in Costituzione e la riforma è da considerare a metà). Il decreto sul pagamento dei debiti alla Pubblica amministrazione (anche se su questo punto il commissario europeo Antonio Tajani ha annunciato che l’Ue aprirà una procedura di infrazione per ritardi nei pagamenti). Le riforme che mancano all’appello non sono dunque poche. Qualcosa è stato fatto. Ma molte promesse mancano all’appello. E tutto dipenderà dall’esito delle Europee. Maggiore sarà lo scarto che il Pd riuscirà ad avere da Grillo e maggiore sarà la capacità di incidere sulla velocità delle riforme. E per osservare la capacità che Renzi avrà di rottamare l’agenda dei rinvii sarà utile osservare che fine farà la legge elettorale. Il destino di Renzi, da un certo punto di vista, passa anche se non soprattutto proprio da qui.

    • Claudio Cerasa Direttore
    • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e "Ho visto l'uomo nero", con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.